a cura del dott. Claudio Italiano
Si trova in Sicilia quando viene chiamato alla corte di Francia. Prima di lasciare
la nostra amata terra, benedicendola profetizzò che né terremoti, né maremoti, l'avrebbero
mai distrutta. Il re Luigi XI, ammalatosi gravemente e venuto a conoscenza, tramite
il mercante Matteo Coppola, della santità di Francesco, lo vuole a corte per ottenere
la guarigione. Si rivolge al Papa Sisto IV e al re di Napoli Ferrante di Aragona
perché esaudiscano il suo desiderio, obbligando a partire Francesco, che all'inizio
si mostra riluttante.
Per obbedire al Papa, Francesco, a malincuore, lascia
la sua terra il 2 febbraio 1483, all'età di 67 anni, con tre frati ed alcuni nobili
francesi. Parte a piedi da Paterno. Tutto il viaggio è segnato da tripudio di folla
che accorre a venerare il Santo Eremita. Anche i miracoli si susseguono. Giunto
sul Pollino, manda l'ultimo saluto alla Calabria e lascia l'impronta dei suoi
piedi sulla roccia.
La pietra venne asportata e divisa tra il proprietario del suolo, don Troiano Spinelli e l'Ordine dei Minimi. La prima è conservata a Morano Calabro e l'altra a Paterno. Compie a piedi il viaggio sino a Napoli dove viene accolto a Porta Capuana dal re, dalla corte e, come sempre, dalla folla osannante. Il faccia a faccia con il re è drammatico. La benevolenza di Ferrante sembra dettata dalla convenienza politica. L'Eremita è sempre la voce della sua coscienza, ed egli lo teme e lo odia allo stesso tempo. Comunque il re gli raccomanda la stabilità del suo regno sul quale il re di Francia avanzava pretese e minacciava azioni di forza. Francesco approfitta di questo incontro per richiamare ancora una volta il re sui problemi della giustizia nei confronti dei più poveri. E' la prima volta che può dire personalmente al re quanto sia errata la sua condotta. è in questa occasione che egli avrebbe spezzato una moneta tra quelle offertegli e dalla quale fece scaturire sangue, dicendo: "Sire, questo è sangue dei poveri, che grida vendetta al cospetto di Dio"
Da Napoli a Roma compie il viaggio in nave. L'incontro con Sisto IV è affettuoso.
Il Papa lo fa sedere accanto a sé e si intrattiene con lui in lungo colloquio a
più riprese. Gli affida il compito di perorare la causa della Santa Sede presso
il re di Francia per le diverse questioni politiche che interessavano la Chiesa
e in genere l'Europa. Francesco ha l'occasione di manifestargli le sue preoccupazioni
per la riforma della Chiesa. Parla della sua congregazione eremitica, del suo programma
penitenziale, molto utile per la riforma tanto desiderata da tutti. Gli sottopone,
perciò, la questione dell'approvazione della Regola del suo Ordine che conteneva
questo suo progetto di vita evangelica, nuovo e originale, fondato sulla penitenza.
Ripreso il viaggio in nave, nel marzo del 1483, dopo una serie di difficoltà affrontate
sul mare in tempesta e per il tentativo di assalto di alcuni pirati, sbarcano a
Bormes.
Di qui prosegue a piedi per Fréjus, trovata deserta per l'imperversare della peste
dalla quale l'intero paese viene salvato per l'intervento prodigioso di Francesco.
A piedi la comitiva si dirige, quindi, verso il castello di Plessis-les-Tours, dimora
del re malato. Francesco rimane sotto stretta vigilanza, perché gli inviati del
re temono sempre un suo ripensamento. A Lione, infatti, per un attimo pensano che
egli si sia dato alla fuga, solo perché si era ritirato in preghiera in una chiesa.
Anche in viaggio Francesco non muta il suo stile di vita, fondato sulla preghiera
e sull'ascesi.
A Tours gli va incontro il figlio dì Luigi XI, Carlo, con alcuni dignitari della Corte. Il re è molto malato. Molto diffidente dell'eremita, lo fa spiare nei suoi movimenti. Lo tenta anche con monete d'oro e con una immagine della Madonna in oro. Francesco rifiuta e ammonisce anche lui, come già aveva già fatto con il re di Napoli: "Sire, restituite queste monete d'oro a chi le avete estorte con le vostre tasse ingiuste." Francesco non opera il miracolo della guarigione, ma prepara il re a morire serenamente e cristianamente e gli promette di rimanere in Francia fino a quando il delfino Carlo avrebbe raggiunto la maggiore età per prendere in mano le redini del regno.
Per riconoscenza, il re risolve alcune questioni politiche per le quali Francesco aveva chiesto l'intervento. Dopo la morte del re Luigi XI, benché desideroso di ritornare nella sua terra, Francesco è trattenuto a corte ancora per diversi anni. In Francia Francesco nulla muta del suo stile di vita, improntato a forte austerità, a lavoro manuale, alla preghiera intensa dinanzi ad un crocifisso di legno. Nel parco reale di Plessis-les-Tours trova una grotta, dove si ritira per pregare durante le pause di lavoro. Rivive così la contemplazione delle origini a Paola. Anche qui molti giovani sono attratti dalla sua vita. E lo seguono con entusiasmo. Presso la corte dei re francesi, molti uomini di Chiesa, desiderosi di riforma, vedono in lui un segnale concreto di rinnovamento. L'Ordine dei Minimi cresce sempre più. E Francesco si occupa della Regola che ne deve regolare la vita, e che il papa approva. Inoltrai si occupa personalmente della costruzione dei conventi di Genova sul colle Caldetto e di Roma sul Pincio e della preparazione del Capitolo Generale per il dicembre del 1507.
La domenica delle Palme del 28 marzo 1507 Francesco si ammala di una febbre insistente
fino ad aggravarsi durante la settimana santa. Il giovedì, nonostante la febbre
e l'età avanzata, 91 anni, si reca in chiesa per partecipare alla Messa in Coena
Domini. Riceve con grande devozione tra le lacrime la comunione e dopo assiste alla
cerimonia della lavanda dei piedi. Il venerdì santo, convocati tutti i religiosi,
li esorta ad osservare la Regola, alla carità scambievole e, soprattutto, alla osservanza
del voto di vita quaresimale. Per vincere le perplessità di alcuni, egli prende
ancora una volta i! fuoco tra le mani per ricordare il principio che lo aveva guidato
per tutta la vita: A chi ama Dio tutto è possibile. Poi, dopo avere designato
come suo successore nel governo dell'Ordine, padre Bernardino Otranto da Cropalati,
si fa leggere la Passione del Signore secondo Giovanni, si asperge più volte con
l'acqua benedetta, guardando ripetutamente verso il Crocifisso. Poco prima di spirare,
pronuncia l'ultima preghiera:
Signore Gesù Cristo, buon pastore delle anime nostre,
conserva i giusti,
converti i peccatori,
porta in cielo le anime dei defunti
e sii propizio a me
miserabilissimo peccatore "
E così muore verso le ore 10 del 2 aprile (venerdì santo) del 1507.
II suo corpo viene sepolto e venerato a Tours nella chiesa conventuale. Nel
1562 gli Ugonotti, nel corso delle guerre di religione, per recare oltraggio
all'Ordine dei Minimi, impegnato nella difesa dell'ortodossia cattolica, ne disseppelliscono
il corpo, trovato ancora intatto, e lo danno ad fiamme, inutilmente, fino a quando
viene utilizzato il legno di una croce per tenere vivo il fuoco. Dopo cinquant'anni
dalla morte il suo corpo subisce, dunque, quel martirio tanto desiderato in vita.
L'immagine di Cristo, al quale cercò di conformarsi continuamente in vita, fu il
materiale e a| strumento del suo martirio. Si sono salvate solo poche ossa.
Infatti, un testimone, Rene Bedonet, sconvolto dalla furia sacrilega degli Ugonotti,
riuscì a salvare solo alcuni frammenti conservati ora, in parte a Paola, ove sono
stati portati nel 1935, e in parte nella Chiesa parrocchiale di Notre Dame di La
Biche a Tours. Nel novembre 2006 sono stati ritrovati alcuni frammenti nell'archivio
del Santuario di Milazzo.