di ANTONINO MICALE - tratta da La Voce di Milazzo
Con orgoglio per il pregio ricevuto nel pubblicare questo documento del grande e compianto storico di Milazzo, prof. Antonino Micale, pubblichiamo il suo prezioso lavoro per i posteri Milazzesi, ! Ad majora.
Claudio Italiano per il sito Milazziano
Quando nel numero dello scorso settembre del periodico ,'Incontro"
abbiamo,
tra l'altro, preso in considerazione
(a proposito della realizzazione nel
Duomo di S. Stefano della nuova cappella del SS. Sacramento) la fruizione
e la valorizzazione dell' antico tabernacolo
marmoreo già nel Duomo antico. Ci
siamo limitati a definirlo - ed in quella
sede non si poteva altrimenti - "scolpito con linguaggio rinascimentale".
Adesso ci si propone di
ritornare adeguatamente sulla pregevole opera d'arte e sulla sua identità
storica, avvalendoci anche del contributo di fonti inedite.
Dal Direttore della R. Soprintendenza ai Monumenti della Sicilia, arch.
Giuseppe Patricolo, che in sopralluogo del febbraio 1896 vide il tabernacolo
"...in una cappella absidata della Matrice Vecchia", rileviamo la
classificazione "...di fattura gaginesca. degna di migliore conservazione. Già
della vicina chiesa dell'Annunziata".
Più esauriente ed illuminante quanto annotato dal Sac. Don Lorenzo Antonio
D'Amico nel manoscritto del 1690 "Sulle Chiese di Melazzo..." quando si sofferma
sulla "Rea] Cappella Castigliana dell'Annunciata" nella "Cittadella".
"L'altare di marmo scolpito fu compiuto per devozione del nobile Domenico Leonte non molto prima che i Re Cattolici rendessero Granada alla Cristianità".
Lo schema architettonico e stilistico - classicamente rinascimentale - rinvia all'opera del maestro e della sua bottega e suggerisce il nome di Domenico Gagini (c. 1420-1492).Stesso linguaggio inconfondibile è riscontrabile nella leggiadra decorazione del corpo centrale, delle due paraste e nelle teste dei cherubini. Alle opposte estremità della predella l'insegna araldica del committente (il leone rampante dei Leonte) fronteggia l'aquila della città nella sua più antica raffigurazione iconografica. Il motivo dei due angeli adoranti lo si ritrova nella splendida e coeva trabeazione della cappella dell'ex chiesetta.
Una raffigurazione altamente simbolica in quanto aderente
all'iconografia dell'evento sacro. I due dadi emergenti e retrostanti il
frontone del tabernacolo ipotizzano un raccordo architettonico-ornamentale con
la sezione sovrastante l'altare: il dossale con nicchia dove campeggiava la
scultura in marmo della Vergine Annunziata. Anche in quest'opera la Madonna è
chiaramente riconducibile all'ambito della bottega di Domenico Gagini. In
particolare - a parte altri dettagli - per la scalpellatura del viso e delle
mani, per l'inanellarsi dei capelli in due regolari bande ad incorniciare il
volto e per il fluire del panneggio dell'abito, con la veste trattenuta in vita
da un cordoncino. Motivi cari all'artista e ricorrenti nei suoi lavori. E
persino nella citata acquasantiera, o pila lustrale, la "firma" di Domenico
Gagini è leggibile (quale peculiarità del grande scultore) nel tondo che
iconograficamente rinvia al nume tutelare della chiesa. Nella fattispecie al
mistero dell'Annunciazione.
Un tema sottolineante persino presente nel piedistallo in marmo della statua
della Vergine. Peculiare connotazione artistica di Domenico Gagini.
Andati in rovina sia la chiesa che l'altare, il rivalorizzato tabernacolo,
l'Annunziata in marmo e l'acquasantiera rappresentano - nel nuovo e definitivo
sito unificante del Duomo di S. Stefano - testimonianze significative del
passato artistico di Milazzo e del panorama scultoreo siciliano del
Rinascimento.
Opera di Gagini, Madonna col Bambino
Santa Lucia del Mela
La puntualizzazione tramandataci dal memorialista milazzese ci consente di
datare nel decennio che precede il 1492 (l'anno della "reconquista" della città
spagnola) la realizzazione dell'unico altare quale momento centrale legato
all'edificazione e consacrazione del piccolo tempio. Dunque, stessa
collocazione temporale è da assegnare alle altre opere d'arte che adornavano la
chiesa dell'Annunziata e giunte sino a noi dopo complesse traversie: il trittico
marmoreo, la pila lustrale ed il coevo dipinto del messinese Antonio Giuffrè,
pittore antonellesco attivo sino al 1493.
La rimozione delle opere - oggi tutte riunite nel Duomo di S. Stefano - è da
porsi attorno al 1866, anno del parziale cedimento del muro sul precipite
roccioso e causa dell'abbandono, del degrado e del successivo crollo del sacro
edificio, oggi, tra rovine e rovi, l'elegante e precaria trabeazione
dell'altare è la sola documentazione ad attestare in loco la valenza dell'antica
chiesetta, accentuando rimpianto ed amarezza per quanto è andato
irrimediabilmente perduto.
In quanto alla paternità artistica è la
stessa a suggerirci il nome di Domenico Gagini (c. 1420-1492). Lo schema
architettonico e stilistico - classicamente rinascimentale - rinvia all'opera
del maestro e della sua bottega. Stesso linguaggio inconfondibile è
riscontrabile nella leggiadra decorazione del corpo centrale, delle due paraste
e nelle teste dei cherubini. Alle opposte estremità della predella l'insegna
araldica del committente (il leone rampante dei Leonte) fronteggia l'aquila
della città nella sua più antica raffigurazione iconografica. Il motivo dei due
angeli adoranti lo si ritrova nella splendida e coeva trabeazione della cappella
dell'ex chiesetta. Una raffigurazione altamente simbolica in quanto aderente
all'iconografia dell'evento sacro. I due dadi emergenti e retrostanti il
frontone del tabernacolo ipotizzano un raccordo architettonico-ornamentale con
la sezione sovrastante l'altare: il dossale con nicchia dove campeggiava la
scultura in marmo della Vergine Annunziata. Anche in quest'opera la Madonna è
chiaramente riconducibile all'ambito della bottega di Domenico Gagini. In
particolare - a parte altri dettagli - per la scalpellatura del viso e delle
mani, per l'inanellarsi dei capelli in due regolari bande ad incorniciare il
volto e per il fluire del panneggio dell'abito, con la veste trattenuta in vita
da un cordoncino. Motivi cari all'artista e ricorrenti nei suoi lavori. E
persino nella citata acquasantiera, o pila lustrale, la "firma" di Domenico
Gagini è leggibile (quale peculiarità del grande scultore) nel tondo che
iconograficamente rinvia al nume tutelare della chiesa. Nella fattispecie al
mistero dell'Annunciazione.
Un tema sottolineante persino presente nel piedistallo in marmo della statua
della Vergine. Peculiare connotazione artistica di Domenico Gagini.
Andati in rovina sia la chiesa che l'altare, il rivalorizzato tabernacolo,
l'Annunziata in marmo e l'acquasantiera rappresentano - nel nuovo e definitivo
sito unificante del Duomo di S. Stefano - testimonianze significative del
passato artistico di Milazzo e del panorama scultoreo siciliano del
Rinascimento.
Altre opere del Gagini:
Messina e provincia
"Madonna con Bambino", Chiesa di San Francesco di Paola di Milazzo.
1477, Monumento, manufatto marmoreo dedicato a Artale Cardona con le
raffigurazioni delle quattro Virtù Cardinali in stile gotico-rinascimentale,
opera custodita nella chiesa di Santa Maria del Gesù del convento dell'Ordine
dei frati minori osservanti di Naso.
1484, Sarcofago, manufatto marmoreo, monumento funebre di Laura commissionato
dal marito il barone Enrico Rosso opera custodita nella chiesa dell'Annunziata
oggi chiesa del Rosario di Militello Rosmarino.
XV secolo, Santa Lucia, statua marmorea, attribuzione per stile contesa per
periodo artistico con Francesco Laurana, opera custodita nella concattedrale di
Santa Maria Assunta di Santa Lucia del Mela.
XV secolo, Madonna con Bambino, statua in alabastro, opera custodita nel
santuario di San Francesco di Paola di Milazzo.
1481, Sarcofagi, manufatti marmorei della Cappella Filangieri, opere custodite
nella chiesa di Santa Maria dell'Aiuto del convento dell'Ordine di Sant'Agostino
di San Marco d'Alunzio.[16]
XV secolo, Madonna della Catena, statua marmorea, opera destinata alla chiesa
del Rosario e oggi custodita nel duomo di Maria Santissima Assunta di Alcara Li
Fusi.
XV secolo, Chiostro, manufatti marmorei realizzati in collaborazione con Giovan
Battista Mazzolo e Giandomenico Mazzolo, Antonello Freri, opere documentate nel
convento di San Francesco all'Immacolata di Messina.
XV secolo, San Giorgio, la principessa e il drago, bassorilievo marmoreo,
attribuzione, opera custodita nel Museo Regionale di Messina.[17]