Scipione Manni nasce a Palermo nel 1711 sebbene un
"Rivelo" lo registri di anni 42. Non a caso il documento
di "fittanza" di Don Francesco Marullo del maggio 1753
(documento che sarà oggetto di specifica riconsiderazione)
gli attribuisce la nascita al 1711.
Il palermitano architetto Francesco Valenti Soprintendente
di Monumenti di Palermo lo scheda (1929) "palermitano
nato nel 1711 ". Ancora la nascita dell'anno 1711 è unitamente
riportata in Guide, Dizionari ed Antologie. Tutti
concordi, anche, nel conferirgli la patria palermitana.
Il
Manni giunge a Milazzo da Napoli nel 1733, congiuntamente
alla moglie partenopea ed ad una figlioletta, allorquando
la città ed il suo territorio sono impegnati nella
ricostruzione materiale, civile ed economica dopo il rovinoso
assedio spagnolo del 1718-19.
Il perché i l palermitano Scipione Manni, formatosi artisticamente
a Roma e sposatosi a Napoli, abbia scelto di
domiciliarsi a Milazzo resta un enigma. Si può ipotizzare
che sia stato stimolato dalla considerevole notorietà italiana
ed europea acquisita dalla città di Milazzo in occasione
dello storico assedio spagnolo del 1718-19.
Tuttavia, il
Manni predilige di proposito Milazzo rispetto al capoluogo
messinese od ad un suo rientro nella città natale di
Palermo forse sollecitato dalla presenza in Milazzo di due
fratelli che lo hanno preceduto: Francesco e Rodolfo.
Come è emerso -tra l'altro- dai vari riscontri anagrafici
scaturiti dalle complesse ricerche d'archivio operate dal
cittadino Giovanni Lo Presti.
Dunque, il Manni si accasa,
chiede ed ottiene, "per sé ed i suoi", la cittadinanza ed
accresce il nucleo familiare con la nascita di ben quattro
figli. Però lascia perplessi il vuoto operativo intercorrente
tra il 1733 ed i l 1753 anno della prima committenza conferitagli
per la Chiesa della Madonna del Lume.
Un ventennio "silenzioso" per il suo impegno artistico
milazzese segnato da assenza di alcun incarico locale in
una città ancora in emergenza e, quindi, possibili lavori
eseguiti a Messina. Eventuali lavori non documentati e, in
ogni caso, perduti nei due sismi che hanno sconvolto la
città dello Stretto nel 1783 e nel 1908.
Pertanto, è dal 1753
che si snoda il nostro percorso artistico di Scipio Manni
nella città di Milazzo. Un percorso artistico che, anche per
i suoi trascorsi romani, si avvale esclusivamente di fonti
particolari come da risultati scaturiti da indagini articolate
condotte dall'Autore del presente saggio.
Il "milazzese" Scipione Manni -malgrado possegga, tra
l'altro, una casa nel quartiere di "Gesù e Maria Le
Vecchia" (alias Vaccarella)- alla data del primo maggio
1753 assume in ulteriore fitto da Don Francesco Marnili
un'abitazione. "Rinnovo nella Sena picciola di San
Giacomo di fittanza di casa per sé ed i suoi al palermitano Scipione Manni di anni 42 in essa accasato e che con
atto di cittadinanza prescelse questa Città. Onze quattro
l'anno con buonatenenza" ("Repertorio di Beni, Censi
Fittanze" del nobile milazzese).
Pertanto, acquista significato e riferimento appropriati il
doppio toponimo di "Vico del Pittore" e "Piazzetta del
Pittore" -ubicati proprio nell'antica "Senìa di Giacomo "- legato
alla residenza nel X V I I I secolo di un
artista già "non meglio identificato", ma che oggi trova
una specifica relazione con il "palermitano" Manni: il "pittore" per eccellenza a pieno titolo inserito nella comunità
milazzese.
Un secondo documento precede di poco quello di Don Francesco Marullo. Risale al marzo di quello stesso anno ( i l 1753) inserito negli "Esiti mensili" tenuti da Stefano Caravello "tesoriero" della Confraternita della Madonna del Lume dell'omonima Chiesa, per "Pagamento di onze trentotto allo spett. D. Scipio Manni conforme ai lavori convenuti ". La prima committenza milazzese.
La prima d'una lunga serie che avrei
caratterizzato tra i l 1753 ed i l 1765 il Settecento figurativo a Milazzo.
Conferendo una nobiltà artistica a ben sei chiese, che, altrimenti, sarebbero rimaste disadorne in qualsiasi raffigurazione pittorica.
L'intenso impegno del Manni nei lavori di affresco fa supporre la presenza di allievi e/o di aiuti. Forse
una
"Bottega" con la presenza -tra gli altri- degli artisti Tommaso e Lucio Garuffi, suoi congiunti, se non di
dei due suoi fratelli già residenti a Milazzo.
Nelle tele
invece, il pennello è solo suo con una precisa fisionomia
caratterizzante che trova diversa espressione compositiva e cromatica. In ogni
caso, si compiace firmare i suoi quadri con il nome latino di Scipio,
quasi a sottolineare
la
scia dei suoi trascorsi romani la sua passione per la
classicità.
L'esperienza romana di Scipione Manni è impressa
dalla formazione acquisita nell'ambito della fase presso l'Accademia di San Luca insieme al concittadino
d'Anna.
A Roma coglie gli indirizzi pittorici di Carlo Maratti, Sebastiano Conca
fondendo la compassata solennità classica con le gamme coloristiche della più
moderna decorazione del secondo. Ma è soprattutto dal Conca, già allievo
di Francesco Solimena, che il Manni fa propri gli espedienti accademici
dell'affresco.
Pittura religiosa assunta " a genere" ad apparato ornamentale delle chiese, a completamento coloristico dell'architettura.
Significativo che a Milazzo la tecnica impiegata è quella del fresco a secco.
Dove i soggetti e la stesura dei colori a tempera sono resi con la
metodologia della pittura ad olio.
L'omogeneità si avvale efficacemente di numerosi "passaggi" e e di ritocchi
finali. I ricordi del soggiorno romano sono i disegni che fanno parte del suo
bagaglio e di cui si giova in numerose sue opere come meglio si dirà analizzando
le sue opere.
Come già considerato a proposito della committenza, Scipione Manni esordisce per la non più esistente Chiesa della Madonna del Lume (1740-1755) con due belle tele 'Martirio di S. Sebastiano " (pala d'altare firmata e datata 1753) e "Madonna del Lume" (1754). Un quadrone devozionale, quest'ultimo, nel quale l'artista rispetta l ' i conografia classica legata a tale "devozione" diffusasi in tutta la Sicilia per la Congregazione di S. Vincenzo De' Paoli a partire dal 1720. I ricorrenti e fondamentali stilemi compositivi di tale soggetto sacro sono rilevabili in parecchie chiese siciliane. Ma una singolare identità con il dipinto di Milazzo la si riscontra nella tela di Domenico Provenzani (circa 1760-65,) presso la Chiesa Madre di Noto, Siracusa.
Non a caso i recenti restauri di questo dipinto del Manni hanno rilevato una travagliata elaborazione pittorica (con una prima stesura abbandonata) chiaramente per rispettare i canoni iconografici imposti all'artista dalla committenza.
Il "Martirio di S. Sebastiano" (con firma e data) è la prima opera milazzese del pittore palermitano. In esso - rispetto all'impianto stilistico degli affreschi che saranno realizzati in altre chiese di Milazzo- Scipione Manni ci offre una diversa concezione figurativa e un diverso tessuto coloristico. Serenità di spazi e luce, classico impianto delle composizioni, la dolcezza del modellato e la soffice definizione dei fondali e delle architetture. In tale armonia di colore e di luce si colloca la caratterizzazione stilistica conferita al "San Sebastiano", al paesaggio e al dolore del Martire che, espresso con misurata intensità, si tramuta, carico di pathos, in dolce rapimento estatico.
Fanno da fondale architettonico le rovine romane del Colosseo: rinvio al soggiorno romano.
E' del 1755 la terza tela realizzata dal Manni a Milazzo avente per soggetto "L'adorazione dei Magi ", anch'essa oggi nel Duomo di S. Stefano. Committenza del Governatore di Milazzo il Maresciallo da Campo De Partes (Carlo I I I di Borbone) del quale sono raffigurati, nell'angolo basso del dipinto i simboli dell'alta carica: corona, scettro ed una pergamena6. Restauro e nuova collocazione sono del 1990.
In quello stesso anno (1755) inizia nella Badia Benedettina del SS. Salvatore
il grande ciclo decorativo con affreschi firmati e datati. Nell'abside "La
Maddalena che lava i piedi a Gesù ", "Giuditta ed Oloferne " e due centrali
(andati perduti nel 1959), "Rachele" e "L'Assunzione della Madonna ". Sempre per
la stessa chiesa ed attiguo Monastero benedettino abbattuto nel 1922, alcune
tele -tra cui delle pale d'altare, quadri mistilinei ed ovali- (circa 1156-51)
raffiguranti il "Battesimo di Gesù", la "Pastorella ", "S. Benedetto ", "S.
Scolastica", "La vocazione di S. Matteo", "Cristo e la figlia di Giairo",
"Crocefisso ", "La fuga in Egitto ".
Notevoli la "Natività" e la''Adorazione dei Magi", due pale d'altare oggi nel
Duomo di S. Stefano.
Rispetto ai lavori della chiesa della Madonna del Lume ed in quella di S.Giacomo
(che saranno oggetto di considerazione), gli olii del SS. Salvatore si
differenziano in quanto l'artista trasferisce anche su tela alcuni accenti,
sebbene soffusi, della maniera pittorica impiegata nell'affresco.
Proprio nella "Natività " impiega sapientemente -più che in altre pale d'altare,
le variazioni di luci, ombre e colori. Nella "Lavanda dei piedi " un altro
palpitante ricordo della sua permanenza romana dopo quello della Chiesa di S.
Giacomo Apostolo. Sullo sfondo si erge il particolare sommitale centrale della
facciata del palazzo di Montecitorio con l'orologio svettante piccolo fastigio a
torrioni con campane. Stessi stilemi -sempre nella Badia- nel bel paravento
ligneo (di recente restauro) con doppio dipinto "Gesù che caccia i mercanti dal
Tempio ", "La distruzione degli idoli pagani".
Tra i l 1753 ed i l 1761, "...per l'Arciprete Don Domenico Colonna" , il Manni realizza per il Duomo Antico un'opera singolare. Il "Velario Pasquale" che vi si dispiegava solo in occasione della Settimana Santa.
Tale "Velario" andò purtroppo perduto con la sconsacrazione del Duomo secentesco verosimilmente durante o dopo gli eventi bellici del 1860 ed i relativi vandalismi. Dal canto suo nel 1791 la Chiesa di S. Giacomo Apostolo ne realizza uno proprio di altro autore che tutt'oggi -sebbene alquanto degradato- è nel moderno Duomo di S. Stefano. Tale successione -e forse una potenziale identità grafica- ha comportato equivoci legati sia alla datazione come alla paternità artistica.
Per la Chiesa di S. Giacomo Apostolo dipinge nel 1758 due pale d'altare per la committenza di Don Paolo Proto, Senatore della Città:"L'Annunziata" e "La Crocefissione ". Nello schema classico della morte del Redentore, il tragico trapasso ed i l dolore della Vergine, di San Giovanni e della Maddalena sono resi con misura e compostezza. A sua volta è databile al 1761 i l grande ed unico affresco centrale che il Manni realizza nella medesima chiesa e che raffigura "Il processo e martirio di S. Giacomo Apostolo " intentato da Erode Agrippa prima della decapitazione del Martire. L'artista vi riassume -meglio che altrove- gli stilemi amati e congeniali. Intenso cromatismo, effetti raffigurativi, architetture barocche, decori aurei nei costumi e nell'ambientazione, movimento vibrante della composizione, tendaggi teatrali. Il tutto entro una marcata cornice mistilinea, che ritroviamo altrove. L'affresco -eccezionale per i l suo fulgore pittorico in quanto perfetto ed integro- è caratterizzato dal particolare effetto prospettico che si diparte dal martirio posto in primo piano. Forte ed evocativa la teatralità insita nella spartizione del soggetto su tre piani.
La coreografia corale dei personaggi partecipa al movimento vibrante della composizione resa con felice concitazione e significativa drammaticità. Gli aguzzini vigorosamente impegnati nel supplizio citano stilemi delle cultura secentesca continentale. E nello scenario architettonico borrominiano e berniniano (con una originale tra sposizione delle colonne tortili del Baldacchino della tomba di S. Pietro) si leggono palpitanti ricordi ed esperienze della vita artistica romana del pittore. Senza alcun dubbio il migliore lavoro su tempera dell'intero cicli milazzese del Manni.
Nel 1762 l'artista affresca nella Chiesetta di S. Maria e Porto Salvo la
"Madonna e Santa Elisabetta " su commilitenza ricevuta il 4 maggio 1761 dalla
Confraternita di Nostra Signora di Porto Salvo. Opera distrutta con lo storico
Oratorio nel luglio 1943 dai bombardamenti anglo-americani.
A metà dello stesso anno (1762) pone mano agli affreschi della
seicentesca Chiesa di Santa Maria Maggiore qua appendice del
riammodernamento del tempio appena coi elusosi per i l munifico finanziatore
Abate Don Gaetano Siragusa, Vicario dell'arcipretura. Nell'abside "Presentazione
di Gesù al tempio " è firmata e datata, due lunette prossime all'arco di trionfo
"La Madonna che vince sul male e protegge la Chiesa di Cristo " e la "Cecità di
Abramo ". A "Davide" è dedicata la terza lunetta presente all'ingresso.
Nell'abside ' "Ascensione di Nostro Signore" chiude una vasta composizione
corale. Non meno splendida e bella la decorazione delle parti superiori delle
pareti e delle lunette. Rutilanti motivi di gusto rococò con un misurato
cromatismo ed eleganti sfumature perfilate in oro ed argento.
A seguito del modesto e circoscritto incendio del 10 maggio 1908 invece di
procedere alla pulitura delle decorazioni affrescate (affatto danneggiate)
prevalse un insensato ed ingiustificato principio innovativo e si preferì
calcinarle e rifare ex novo affidando l'opera (1910) ai fratelli Raffaele e
Vincenzo Severino i quali intervennero dopo avere calcinato la preesistente
pittura del Manni.
Scelta vandalica ed inqualificabile. Ciò è emerso nel corso degli attuali lavori interni (2006) di restauro eseguiti nel Santuario. Le sole parti scampate a tale radicale rinnovamento distruttivo del decoro settecentesco sono l'ornamentazione che incornicia le dieci finestre, le superiori lunette, l'affresco sotto la cantoria (restaurato nel 1972) e l"'Angelo" sotto l'arco della ribassata porta laterale interna che immette nel chiostro. Nel superstite affresco sottostante la cantoria sono presenti le architetture militari di Milazzo.
Il Manni vi ritrae -accanto a profili di fortificazioni esistenti nel '700-
addirittura progetti redatti da Camillo Camilliani nel
1584. Per cui, l'artista deve avere avuto diretta conoscenza in loco di copie
delle tavole disegnate dall'architetto fiorentino. Purtroppo testimonianze
marginali del grande impegno artistico di Scipione Manni andato distrutto.
Scipione Manni, il pittore palermitano divenuto milazzese, chiude la sua
esistenza terrena i l 16 dicembre 1770 nella propria abitazione del quartiere di
Gesù e Maria la Vecchia retrostante la Chiesa di Santa Maria Maggiore.
Viene sepolto nella cripta del Santuario di San Francesco da Paola.
Gli affreschi -realizzati a "fresco secco" e, quindi, più appropriatamente
definibili come "pittura su intonaco "- sono interpreti della cultura
dell'impianto prospettico.
Ovunque affiora il proposito di rapire lo spettatore, di attrarlo nello spazio
pittorico con un cromatismo luminoso e vibrante, con l'animazione delle scene,
con scorci vigorosi ed ambientazioni suggestive. Uno spazio pittorico che sa
trasformare in spazio architettonico in virtù della rielaborazione personale che
conferisce alla visione sacrale tradizionale, stemperata dai primi echi della
cultura rococò. E la precisa fisionomia scenografica del grande barocco romano è
segnata da una cromia intensa e sanguigna e dal marcato impiego di filettature
auree. Il suo repertorio di scenografie presenti in tutti i suoi affreschi (nel
"Martirio di San Giacomo " la cortina architettonica che fa da sfondo è come un
"muro prospettico" che conferisce spazio figurativo alla composizione posta su
tre livelli) si presenta però appena accennato in alcuni dei suoi dipinti su
tela: "Il Martirio di S. Sebastiano ", "L Annunziata " e "La Natività ".
I suoi ricordi della cultura romana sono trasfusi nel repertorio di reali
fondali architettonici (la "macchina barocca") presente in alcuni affreschi.
Dalle citazioni del Borromini e del Bernini rinvia al Palazzo di Montecitorio (Chiesa
del SS. Salvatore) ed alle rovine del Colosseo (Pala d'altare del "S.
Sebastiano"). Aspetti già meglio considerati. I temi dei suoi affreschi gli
consentono i l costante ricorso ad un linguaggio a lui caro: coralità,
cromatismo, spettacolarità enfatizzata, rigorosa ricercatezza dei costumi e
dell'ambientazione, i l sommesso pittoresco dei personaggi.
Significativo i l regolare e marcato impiego dell'oro negli abiti e negli
arredi: esplicita reminiscenza stilistica del Conca. L'oro che nel congiunto
valore sacrale e decorativo è un impiego estraneo a quest'area culturale della
Sicilia.
Nella fusione tra scenografia e coreografia assumono un ruolo ben preciso
l'architettura romana, i paesaggi (SS. Salvatore e S. Maria Maggiore), le
scalinate marmoree ed i tendaggi da sipario teatrale (S. Giacomo, S. Maria
Maggiore e SS. Salvatore), gli animali (uccelli, agnelli, cani e colombe).
Persino nature morte, argenti e cristalli. I profili marcati, curvilinei e
lobati delle cornici inquadrano un repertorio della migliore tradizione retorica
romana. Nelle tele, e soprattutto nelle pale d'altare, il suo linguaggio
trova, invece, nuove espressioni e diversa tecnica compositiva e cromatica. Alla
luminosità degli affreschi contrappone contrasti luministici più sfumati e
morbidi passaggi chiaroscurali.
Spazi e luci sono sereni e soffusi. Pittura più serena, più riflessiva che nasce
da equilibrio classicista. Un impronta realistica nel minuzioso descrittivismo
dei personaggi e dell'ambiente. Ovunque le scene, decisamente spoglie delle
soluzioni retoriche della decorazione barocca, si presentano armoniose e
tragiche in contrasto con lo stile compositivo degli affreschi fatto di masse e
di movimento. E non mancano "segni " ricorrenti e distintivi che "firmano "
alcune opere: i putti alati con fiori, l'Eterno Padre e lo Spirito Santo sotto
forma di colomba, macchie floreali, pètali. Difatti non tutte le sue tele sono
firmate, ma un suo peculiare "sigillo" d'autore segna alcune di queste sue
opere. Raffigurare uno o più angeli con in mano boccioli di fiori. Tale
caratterizzazione -conferita di proposito dal Manni- è precipuamente presente
nelle pale d'altare del
"S. Sebastiano " (tela, comunque, firmata e datata) dell '"Adorazione dei Magi"
e dell'"Annunziata ".E ricorre, ancora, in alcuni quadroni ovali e mistilinei
della Badia Benedettina del SS. Salvatore e dell'annesso Monastero".
Per Scipione Manni Milazzo, invece che una parentesi della sua vita, è i l
momento cruciale ed unico della sua parabola esistenziale ed artistica la quale
s'inserisce nella grande stagione del Settecento. Nelle chiese di questa città
-coinvolte nel clima di rinnovamento di quegli anni- gli è dato di sviluppare e
tramandare, come in un frammentato museo urbano, la sua "antologica " e con essa
l'essenza stessa della sua identità artistica.
Interprete del suo tempo e malgrado legato convenzionalmente alla pittura
romana, il Manni presenta una sua indubbia originalità espressiva ed uno stile
caratterizzante che ha decisamente connotato la sua personalità. Figura
emblematica del Settecento milazzese e dell'arte pittorica siciliana di
quell'arco di Secolo, Scipione Manni può essere restituito nella sua vera
dimensione solo attraverso considerazione e valorizzazione adeguate che
travalichino gli angusti confini provinciali.