PROCESSO A SAN FRANCESCO DI PAOLA

vedi prima processo cosentino 1

TESTE VENTUNESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Andrea de Santo, di Paola, testimone esaminato con giuramento.

Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che soffrendo di un male ai reni, da non poter stare dritto, tanto da essersi curvato quasi sino a terra, avanzando carponi, un giorno si portò piano piano da fra Francesco e lo trovò nel mezzo del fiume che rom­peva pietre; questi gli disse: «Per carità! Prendi la mazza e dai quattro colpi sopra questa pietra!». «E come potrei prendere la mazza», rispose il teste; «non ti accorgi che non mi è possibi­le?». «Prendila, ti dico», replicò fra Francesco; «per carità, e vedrai che ti sarà possibile!». Il teste allora, pian pianino, prese la mazza e ci provò; all’istante fu guarito e sanato dal male che lo affliggeva come se non avesse mai sofferto di niente. Così, per conoscenza personale e diretta e ciò da circa quaranta anni. Lo stesso teste ha inoltre detto, che avendo un figliolo gravissimo, in punto di morte; si recò da fra Francesco, conducendo seco l’ammalato perché gli suggerisse un qualche rimedio. «An­date in quella fonte, dove troverete un granchio e portatemelo». Vi andarono; trovato il granchio, lo portarono a fra Francesco, il quale lo prese e lo pose nella mano dell’ammalato, che si trovò guarito all’istante, tornandosene a casa come se niente mai avesse avuto. Per diretta e personale conoscenza. Luogo e tempo come sopra. Circa il decimo, ha detto di sapere che fra Francesco visse sempre nella maggiore esemplarità possibile e menò una vita ve­ramente santa, operando miracoli, edificando conventi e perseve­rando sempre di bene in meglio. Questo sa perché egli è citta­dino di Paola. Tempo come sopra.

 

TESTE VENTIDUESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Giovanni Stutzio di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto di conoscere la fi­glia di Antonio Catalana, Giulia, cieca al cento per cento. Par­tito da Paola fra Francesco e dimorando in Paterno, il testimone con sua moglie e uno zio, vi andarono, portando la figliola cieca in braccio; pregarono quindi il frate che impetrasse grazie per la suddetta figlia. Fra Francesco si trovava nell’orto, si chinò in terra e prese alcune foglie di una certa erba, ponendole sugli occhi della piccina, la quale fu subito guarita e riacquistò la vista. Per conoscenza personale e diretta. Paterno. Da circa trentacinque anni. Lo stesso testimone soffriva ad un ginocchio tanto grave­mente da non potersi muovere; volendo il giorno dopo recarsi a Fiumefreddo, distante da Paola otto miglia, da un dottore, che lo teneva in cura e lo aveva visitato già prima alla marina di Paola; trovatolo, però, assai peggiorato, questi nonostante le molte in­sistenze del paziente, prese a gridare: «Non voglio più metterci mano!». Quella stessa mattina una persona mandata da fra Fran­cesco, personalmente gli consigliava di non recarsi da quel medico, meglio sarebbe stato rivolgersi a fra Francesco direttamente. Vi andò, mostrò il ginocchio dolorante a fra Francesco, il quale vi pose sopra una certa erba, che mangiano i porci, e gli disse: «Abbi fede in Dio». Così guarì in brevissimo tempo. Luogo e tempo come sopra.

Lo stesso ha detto pure, che ammalatosi gravemente sino ad arrivare al pericolo di morire non conoscendo alcuno a Paola mandò a suo nome un inviato a Paterno, dove si trovava fra Francesco, dicendogli la reale situazione in cui egli versava. Fra Francesco, come se niente fosse, invitò la persona a far tranquillamente co­lazione; rifocillatosi costui, gli disse: «Ebbene, puoi pure tornar­tene e digli che il Signore gli ha fatto la grazia»; in quell’istante stesso l’ammalato si trovò guarito in Paola. Questo sa e afferma per diretta e personale conoscenza. In Paola e Paterno; avvenuto questo fatto quaranta anni or sono.  

 

TESTE VENTITREESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Luca Zandella di Paola, testimone esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri; lo stesso testimone con Pietruccio de Giovanni di Andrea di Giacomo, accompagnavano una loro ni­pote cieca al cento per cento, da Paola a Paterno, dove trovavasi fra Francesco, naturalmente tenendola in braccio, giacché non ci vedeva affatto. Giunti alla presenza di fra Francesco, insieme alla madre della piccina lo pregarono che impetrasse dal Signore la grazia della guarigione per quella loro povera creatura. Fra Fran­cesco ebbe soltanto a dire loro: «Abbiate fede», e insieme a Lui andarono all’orto vicino, dove fra Francesco si abbassò e il te­stimone non sa dire cosa raccogliesse da terra e unse gli occhi della piccola Giulia cieca; subito costei riacquistò la vista. Il te­stimone e gli altri della comitiva se ne tornarono lieti e contenti della grazia ricevuta. Giulia, poi, passò a nozze in Paola. La causa della conoscenza è diretta e personale. Paterno. Tempo, circa trentacinque anni prima. Ugualmente egli ha affermato che essendo lo stesso suo zio Giovanni Ciccuzzo, in gravissime condizioni ormai, tanto da es­sere dato per spacciato dagli stessi medici, mandò il testimone stesso a Paterno da fra Francesco, affidandosi alle sue preghiere, per ottenere la grazia. Fra Francesco com’egli sopraggiunse lo mandò a far colazione nella dispensa del convento: «Andate a man­giare perché siete arrivato stracco morto per il lungo cammino».. Tornato dopo da fra Francesco, questi lo rassicurò dicendogli: «Per questa volta abbiamo ottenuta la grazia per Giovanni!».. Tornato il testimone a Paola, constatò che era stata esattamente quella l’ora in cui il frate aveva pronunziate quelle parole in cui l’ammalato aveva cominciato a sentirsi meglio. Per conoscenza diretta e per­sonale. Paterno. Tempo come sopra. Lo stesso ha detto che curando la vigna perché non venisse in­vasa dalla peronospera e che questo stesso male non si estendesse ai terreni arativi, fu assalito dal colpo cosiddetto della strega, un grande dolore alla schiena. Si recò a Paterno da fra Francesco, chie­dendogli di liberarlo da quel dolore; il frate gli consigliò di ri­posarsi alquanto da quel lavoro, e guarì. Da diretta e personale conoscenza. Paterno. Tempo come sopra.

TESTE VENTIQUATTRESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Andrea Rossano di Paola; testimone esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che, essendo egli mastro calzolaio, serviva i frati professi del convento, quindi godeva della buona amicizia di fra Francesco. Una sera, suonato di già il vespro, fu chiamato dal suddetto fra Francesco al convento e come arrivò questi ebbe a dirgli: «Provvediti di grano per quest’anno venturo per la semina». Il teste allora gli rispose: «Il grano costa tanto poco da non calcolarsi affatto; un tomolo viene a costare appena quindici grana!». Replicò fra Francesco: «Ascoltami, fa’ come ti dico io». E il teste lo ascoltò e provvide secondo il bisogno della sua famiglia. L’anno appresso, il grano, in realtà, rincarò e un tomolo veniva a costare sei canini. Così da conoscenza diretta e personale. Paola, da circa quaranta anni. Lo stesso ha aggiunto che molte volte gli predisse pure alcuni avvenimenti futuri, che, in effetti vennero a verificarsi come predetti da fra Francesco. Questi godeva di ottima fama e conduceva una vita santa e intemerata; andava scalzo anche sopra le spine nei boschi; sempre e dovunque andava, edificava conventi grandi e ammirevoli e operava molti miracoli, accorrendovi molta gente per domandargli rimedi per guarire dalle loro malattie. Tutti se ne tornavano contenti e lieti per la salute recuperata; perciò lo ritenevano un santo. Inoltre il teste aggiunge pure che sua moglie avvertiva una cisti alla mammella, che nessun medico aveva potuto risanare; andò da fra Francesco, il quale le applicò non saprei cosa e restò guarita. Anche ciò per conoscenza diretta e personale. Paola al tempo come sopra.

 

TESTE VENTICINQUESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Antonio Migliarisio, di Paola, teste esaminato con giuramento.

Circa il primo, ha detto di sapere che la provincia di Calabria è stata sempre cristiana e sottomessa alla obbedienza della S. Ro­mana Chiesa. Paola trovasi in detta provincia, e, similmente, per­ciò, cristiana e sotto la stessa obbedienza di fede cattolica. Paola, dal tempo che si ricorda.

Circa il secondo, a Paola nacque Giacomo di Martolilla, padre di fra Francesco cristiano anch’egli, battezzato e cresimato, il cui figliolo visse sempre santamente e in maniera del tutto onesta e integerrima come conviene a buon cristiano. Egli non mangiava cibi pasquali, ma solo quaresimali. Andava sempre vestito con un abito vile e rozzo sopra le carni e camminava scalzo. Per cono­scenza diretta e personale e ciò da circa sessanta anni. Circa il terzo, ha detto di sapere che Donna Vienna, madre di fra Francesco, era donna dabbene e perfetta cristiana, di buona vita e di buon nome. Causa di tale conoscenza come detto innanzi.

Circa il quarto, ha detto di sapere per fama e aver visto Giacomo di Martolilla e Donna Vienna che erano marito e moglie per matrimonio legittimo, secondo le leggi di 5. Romana Chiesa e tali ritenuti e stimati. Il che è risaputo e riconosciuto da tutti. Tanto per conoscenza diretta e personale come sopra.

Circa il quinto, ha detto che sa per certo che Giacomo e Don­na Vienna misero al mondo Francesco, loro legittimo e naturale fi­gliolo e da loro educato ed allevato come naturale e legittimo pro­prio figliolo e così anche da tutti ritenuto. Il che sa dalla sua di­retta e personale conoscenza.

Circa il sesto, ha affermato che, nato fra Francesco, come tutti i buoni cristiani, lo fecero battezzare e cresimare in Paola, dan­dogli il nome di Francesco) e così ritenuto e reputato. E questo per conoscenza personale e diretta. Come sopra.

Circa il settimo, ha detto di sapere che fra Francesco, sin dalla prima sua infanzia, visse sempre con onestà e secondo gli insegnamenti canonici come conviene vivere a un buono e per­fetto cristiano. Camminava sempre scalzo; edificò in diverse parti grandi e ammirevoli conventi: a Paola, Paterno, Spezzano Grande e altrove, progredendo sempre di bene in meglio. Così per conoscenza. Tempo, da sessant’anni circa. Circa l’ottavo, ha ammesso che andava sempre scalzo e che non l’ha visto mai mangiare. Questo per sua personale conoscenza. Circa il nono, ha detto che il testimone, avendo dato fuoco a certi sterpi secchi, dove aveva costruita una masseria, le fiamme divamparono tanto  veementi da minacciare l’intero abitato circostante. Vi accorse fra Francesco, il quale, per caso si trovava poco distante e a piedi nudi lo spense, dicendo allo stesso testimone che, veramente, l’intero paese aveva corso un serio pericolo di incendio e distruzione. Dal luogo sopra la montagna di Paola. Ciò dal tempo di quasi cinquanta anni. Il testimone ha pure ricordato il miracolo della fornace di calce, la quale minacciava di crollare, come già affermato da tanti altri testimoni prima. Per conoscenza, anche questa personale. Luogo e tempo come sopra.

Circa il decimo, ha ammesso di sapere che fra Francesco go­deva di buona fama e vita; dormiva sopra una tavola e con una tegola per guanciale; camminava sempre scalzo anche attraverso boschi, luoghi scoscesi e impervi, e mai fu visto mangiare; vestiva sempre un abito logoro sopra le carni. Dovunque andava edifi­cava conventi grandi e ammirevoli, e faceva grandi miracoli, e accorreva a lui gente in continuazione, e se ne tornavano contenti e magnificavano i miracoli che operava. Il testimone sa pure e ri­tiene per cosa certissima che fra Francesco sia morto vergine. Questo da comune e generale conoscenza. Tempo, da quando si ricorda.

 

TESTE VENTISEIESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Giovanni Bionda, di Paola, teste esaminato con giuramento.

Circa il nono, omessi gli altri, ha ammesso che avendo egli una figliastra, una volta, bevendo ella ad una brocca, storse im­provvisamente gli occhi, cominciando a gridare e dare in ismanie, e a gettare schiuma dalla bocca, tanto che quattro persone non riuscivano a fermarla. Lo stesso testimone e gli altri figliastri la portarono a Paterno, dove si trovava fra Francesco, il quale, guar­datala, l’asperse con l’acqua santa e d’un subito restò guarita e tornata come prima, e sen venne a Paola sana e normalissima come prima. Per conoscenza diretta e personale. Paterno. Dal tempo di quasi trentacinque anni. Lo stesso ha pure detto che un suo figliastro aveva fatto una ruota di timone per una sua imbarcazione; con altre tre o quattro persone e un paio di buoi, non era possibile alzare questo legno da terra. Trovandosi vicino al convento, che fra Francesco edificava, il Coletta andò ivi a cercare qualche altro per aiutarlo ad alzare il legno; ma non vi trovò alcuno. Fra Francesco gli do­mandò cosa cercasse, ed egli disse il bisogno in cui si trovava. Fra Francesco allora disse: «Be’, andiamo perché mancando altri, voglio venire ad aiutarti, in carità». Il Nicola suddetto rispose: «Pur venendo voi solo non potremo smuoverlo». Al che fra Francesco disse: «Andiamo, per carità, che potremo trasportarlo». Sul posto, lui solo mise le mani sui legno e i buoi si avviarono senza l’aiuto di alcuno e trasportarono tale legno. Per conoscenza diretta e personale. Paola. Da quaranta anni. Lo stesso ha pure detto che trovandosi al convento, col sud­detto fra Francesco, arrivò un uomo di Castello di Arena, della diocesi di Squillace, distante da Paola due giornate di cammino. Era uno spiritato e da sette o dieci uomini era stato strettamente le­gato, perché capace di arrecare guai assai seri. Lo presentarono a fra Francesco, il quale disse loro di scioglierlo. «Sì, lo sciogliamo, ma vedrete cosa sarà capace di combinare». Così, nel dubbio, non osavano ascoltare quanto suggerito. Si avvicinò allora fra Fran­cesco e lo slegò e l’infelice se ne stette buono buono e tranquillo; gli diede tre fichi secchi perché li mangiasse, e si avviarono in­sieme verso il fiume, che scorreva più in alto, ciascuno con un legno per la fabbrica del monastero. E da allora anche l’invasato dal demonio tornò normalissimo a casa sua, non dando più segni di stranezze e violenze di alcun genere. Per conoscenza personale e diretta. Paola. Da circa quaranta anni.  

 

TESTE VENTISETTESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Pietro Cestaro, di Paola, teste esaminato con giuramento, toc­cate le Sacre Scritture. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto: mentre ero intento al lavoro in un suo campo, una spiga o un qualcos’altro del genere gli andò nell’occhio sì da non vederci. Si recò allora a Paterno dov’era fra Francesco, supplicandolo che gli gua­risse l’occhio. Fra Francesco ordinava ad un frate ivi presente: «Vammi a prendere di quell’erba bianca, sai, l’assenzio, che se ne trova tanta a Paola; la ridurrai in polvere e gli dirai di applicarla sull’occhio». E il teste: «Ma, Padre, di questa erba bianca, che Voi dite, a Paola se ne trova in abbondanza; c’è bisogno di portarla di qua?». Fra Francesco aggiunse: «Voglio che porti questa erba di qua e abbi buona fede». Ascoltò quegli e riprese la strada per il ritorno verso Paola, senza aver ancora fatto ri­corso al rimedio suggeritogli. Prima però di arrivare a casa si ac­corse di essere perfettamente guarito, né avvertì in seguito fastidio alcuno. La conoscenza è diretta e personale. Avvenne questo a Pa­terno e a Paola circa trentacinque anni.  

 

TESTE VENTOTTESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Nicola de Bernardo, di Paola, testimone esaminato con giu­ramento. Circa il nono, omessi gli altri, egli ha detto che aveva un figliolo ancora in tenera età in imminente pericolo di vita. Senza punto scoraggiarsi lo portò da fra Francesco, il quale, come lo vide, gli fece il segno di croce e lo congedò. In quell’istante stesso il bambino si riebbe e restò guarito. La conoscenza è diretta e personale. Paola da circa quaranta anni.

TESTE VENTINOVESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Francesco de Rogato, di Paola, teste esaminato con giura­mento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che un giorno gli comparve un gonfiore alla gola; incontrandosi con un uomo dab­bene di Paterno, questi osservò il male e gli fece certi incante­simi, suggerendogli di applicare delle cannucce con le quali piegarsi sino a toccare la terra. Non riuscendo a guarire, si portò al­lora da fra Francesco, il quale, come lo vide, gli disse: «Per ca­rità! Hai sbagliato, dando credito alle cannucce». Il teste vi aveva fatto ricorso segretamente, per cui credette che lo apprese per ispirazione divina, e lo inviò a un buon medico di Cosenza, va­lido nella cura di questi mali; costui, però, non ne volle sapere, prevedendo il peggio, trattandosi, a suo avviso, di un tumore ma­ligno. Il testimone fece ritorno da fra Francesco, riferendogli la diagnosi di quello specialista cosentino. Fra Francesco consigliò allora di consultare un medico paternese, il quale neppure volle intervenire, rifiutandosi come già l’illustre chirurgo del capoluogo, affermando: «Io non mi sento assolutamente in grado di prendere in considerazione un caso del genere, perché assai pericoloso, trat­tandosi di un organo così delicato come la gola, a meno che la Paternità Vostra non voglia metterci la propria mano». Fra Fran­cesco allora con il dito segnò il punto dove incidere l’apostema, dicendo al chirurgo: «Taglia qua!». Il medico incise la parte e la curò. In pochi giorni, il paziente guarì perfettamente. Chi così depone ritiene per certo che fu questa una grazia ottenuta per le virtù e le preghiere di fra Francesco e non per merito di questo o quell’altro medico, i quali non volevano cimentarsi di intervenire se non vi avesse posto lui le mani. Si ha questo da cono­scenza diretta. Paterno. Dal tempo di trentacinque anni. Ugualmente lo stesso testimone ha affermato che essendo egli caduco per certi vizi segreti, che riteneva da altri non conosciuti se non dal Signore; si portò allora da fra Francesco, il quale gli disse chiaramente: «Per carità, correggiti da queste cattive abitu­dini; potresti incorrere oltre che in gravi conseguenze a danno del­l’anima tua, anche del tuo stesso corpo». Sentendo il teste un parlare tanto aperto e manifesto, ne rimase stupefatto, e ritiene che tutto ciò fra Francesco sapesse per ispirazione divina. Da co­noscenza diretta e personale. Paterno. Tempo come sopra. E’ lo stesso teste ad ammettere che, recandosi egli in Paterno con tre altri giovanotti; tra di loro si andava dicendo: «Vorrei avere cento ducati; l’altro, invece, ne desiderava duecento; il terzo ottanta, similmente il quarto». Arrivati essi a Paterno, alla pre­senza di fra Francesco, questi disse loro: «In carità, non sarebbe meglio se i vostri discorsi fossero stati ben altri, e, anzziché: “Io voglio cento ducati; tu ne vuoi duecento”, e così via, foste an­dati recitando Pater noster e altre preghiere per il bene della  vostra anima?». A sentir questo il teste e gli altri tre della comitiva restarono attoniti ed esterrefatti, sentendo come fra Francesco aveva udito le sciocchezze e le insulsaggini che essi si andavano dicendo per la strada. Paterno. Tempo come sopra.

Similmente lo stesso ha affermato che sistemandosi certe travi in Paterno, dove c’erano molte querce, arrivò un tale da Mangone, casale di Cosenza, portando un paniere di fichi, che aveva colto nel fondo di un suo vicino, presentandoli a fra Francesco, il quale gli disse: «Per carità, ti sei sbagliato, mio caro; questi fichi non sono tuoi, perché li hai colti dall’albero di un vicino! Comunque, giacché sono qui, offrili a questi lavoratori», aggiungendo: «guardati dal farlo un’altra volta!». Quegli se ne tornò tutto rosso in viso. Per conoscenza personale.  

TESTE TRENTESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Antonio Zarlo, di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che l’Arciprete di Lattarico, diocesi di Bisignano, congiunto del teste stesso, soffriva di un favo maligno al naso e al labbro, il quale male è ritenuto per cancro; pur da un anno intero in cura da diversi medici, non po­teva guarire, né vedeva miglioria alcuna, anzi di giorno in giorno più si aggravava. Esortato dal teste, venne a Paola da fra Fran­cesco. Questi appena lo osservò; voltatosi verso un confratello, disse: «Prendimi, per carità, dalla mia cella quel bicchiere, in cui c’è dentro una certa sostanza; portamelo qui». Tornato que­gli col bicchiere, egli prese un batuffolo di bambacia, ve lo inzuppò di quell’unguento, che non era altro se non acqua e ne unse il naso e il labbro del suddetto Arciprete, dicendogli: «Po­tete pur andare, per carità! E abbiate fede nel Signore, che vi farà la grazia. Domani potrete anche celebrare la Santa Messa, venendo ancora nel nostro convento». L’Arciprete se ne partì, tornando­sene a Lattarico. Arrivata la mezzanotte si toccò il naso e il labbro infermi e si trovò risanato e senza alcuna macchia come se mai avesse patito alcunché. La mattina seguente, sua premura fu di mettersi nuovamente in cammino verso Paola a celebrare la Messa al monastero. Se ne tornò, quindi, a Lattarico, risanato e mondato. Per conoscenza diretta e personale. Paola. Da quaranta anni. Lo stesso testimone ha pure detto che, avendo egli una so­rella, da due mesi sofferente di un male al collo, da costringerla a tenere sempre la testa curva sopra le ginocchia, e non poterla neppure alzare e parlare con alcuno, furono consultati parecchi medici, e tantissime le medicine che avevano consigliato, senza poter guarire. Il teste, un giorno, si decise di accompagnarla al monastero da fra Francesco. Appena questi la vide, disse allo stesso teste: «Vai vicino alla fornace di calce, e fa’ un poco di quell’erba che vi cresce dappresso chiamata “centauria” e portala qui da me, sperando che, se voi avrete fede nel Signore, Egli vi farà la grazia». Prese di quell’erba, la tritò con una pietra e ne pose un tantino sotto il naso della poveretta dicendole di annusarla for­temente. Ella si addormentò così per quasi un’ora; al risveglio, alzò la testa e prese a parlare. In quell’istante restò guarita e fece ritorno a casa dai suoi senza alcuna lesione. Lo sa perché vi fu presente, vide e ascoltò. Paola. Dal tempo di quaranta anni. Circa il decimo, ha detto di sapere che fra Francesco fu uo­mo di santa vita e di edificante conversazione. Camminava scalzo, ma conservava i piedi bianchi e belli come se calzasse le pianelle; dovunque egli andava costruiva conventi grandiosi ed ivi accor­revano numerose persone per i miracoli che operava continua­mente e tutti tornavano alle proprie case contenti e con tanta grazia nel cuor loro per tutto ciò che avevano ottenuto in pro della propria salute. Il testimone ritiene per certo e lo sa dalla fanciullezza che fra Francesco morì vergine. Questo asserisce il te­ste come cittadino di Paola e per averlo saputo da altre persone di luoghi diversi. Dal tempo come sopra.

 

TESTE TRENTUNESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, l5° dall’indizione  

Il Venerabile uomo Pietro Polita, di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che a un certo Bartoluccio Pecoraro, era caduto un pezzo di legno su un occhio, ricoprendolo di sangue da impedirgli la vista. Il teste si premurò di accompagnarlo al convento di fra Francesco, che tro­varono appunto fuori la porta della chiesa quasi ad attenderli. Ap­pena li vide disse: «Siete qua venuti contro la vostra volontà!». Mostrato, il teste, l’occhio di Bartoluccio, tutto coperto di sangue, a fra Francesco, questi vi mise non si sa bene che cosa, legandolo con una benda di lino, quindi mandò entrambi a far colazione. Il testimone, poi, volle vedere che vi avesse messo sull’occhio e osò anche togliere la benda, constatando che l’occhio era perfettamente guarito e senza alcuna cicatrice. Paola. Da circa quaran­tadue anni.Lo stesso testimone ancora ha affermato di essere andato con fra Francesco sopra un’imbarcazione, con dieci altre persone, per caricarvi una trave, fatta apprestare per il convento, a Guardia. Quivi giunti, trasportarono tutta la legna dal bosco alla marina, eccetto una trave sola, troppo grande, che si trovava in un luogo assai difficile da raggiungere e non era facile che quegli uomini potessero portarla. Vedendola fra Francesco disse al personale al suo seguito di andare a far colazione. Appartatisi, quelli, per ri­focillarsi presso una fonte d’acqua alquanto distante, tornarono sul posto, e allora videro la trave con le altre e fra Francesco solo sul posto; gli chiesero come si trovasse anche quella trave tanto grossa assieme alle altre: «La Grazia di Dio — rispose così ha voluto!». Uno poi, Antonio Bolotta,  più degli altri, doman­dava insistentemente come ciò fosse avvenuto: «Noi tutti assie­me non abbiamo potuto prenderla e qui non c’è altri che tu solo: chi ti ha aiutato a portarla qua?». A lui fra Francesco, con la sua solita bonomia: «Essa è cascata con l’aiuto di Dio». Così portarono tutte quelle travi al mare e arrivarono a Paola. Per conoscenza diretta, in quanto vide, fu presente e ascoltò. Paola e nella marina di Guardia, diocesi di Cosenza. Tempo, da circa cin­quanta anni. Circa il decimo ha detto di sapere che fra Francesco ha operato sempre del bene; è stato di vita santa; ha edificato conventi dovunque è stato, operando miracoli numerosi; continuamente ac­correva da lui gente in gran folla per cercare sollievo nelle loro infermità e tutti se ne tornavano contenti, esaltando il loro bene­fattore, ritenendolo santo, anche per il modo di vivere. Cammi­nava scalzo e i suoi piedi erano sempre bianchi sia d’inverno come anche di estate, restando morbidi e puliti senza macchia alcuna, e lo stesso teste ritiene per certo che egli sia morto vergine.  

TESTE TRENTADUESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Nicola Giaquinta, di Paola, teste esaminato con giuramento: riguardo al nono, omessi gli altri, ha detto che, frequentando egli lo studio del notaio Tommaso Pissuno, come praticante, aveva un fratello colto da un male terribile alla faccia, chiamato cancro del viso. Andarono in cerca di un chirurgo, il quale, purtroppo, sen­tenziò che non v’era niente da fare, se non avesse avuto prima un colombo. Non avendo potuto trovare in nessuna maniera un colombo né domestico e né selvatico, perché non se ne trovavano colà, Notar Tommaso con il teste, che era suo discepolo, si reca­rono al convento da fra Francesco al quale esternarono la causa della loro visita, cercare, cioè, un colombo. Il suddetto fra Fran­cesco rispose: «Dio può provvedere!». i tre s incamminarono al­lora verso la chiesa, passeggiando una, due, tre volte; quand’ecco arrivare alla terza volta un gatto con un colombo in bocca, lascian­dolo ai piedi di fra Francesco, il quale lo prese e lo diede a Notar Tommaso dicendo: «Ecco, il Signore si è compiaciuto di provve­dere». Il teste vide che il colombo era selvatico; poiché si era ancora all’inizio della costruzione del convento e animali di que­sto genere non potevano ancora nidificare. Notar Tommaso e il suo discepolo se ne tornarono a casa con il colombo desiderato e il paziente guarì. Per conoscenza diretta. Paola dal tempo di circa cinquantacinque anni. Ugualmente lo stesso ha detto che era ammalato l’Arciprete di Paola e due medici lo avevano in cura, uno di Cosenza e l’altro di S. Lucido. L’infermo era grave e li lasciava preoccupati, tanto da nutrire perplessità circa la guarigione. Il teste allora si recò da fra Francesco, mettendolo al corrente del caso. Fra Francesco lo tranquillizzò:

 «Per questa volta non è il tempo della sua morte; il Signore gli farà la grazia, però avvertitelo che provveda a mon­dar bene la casa, cioè la coscienza; fategli sapere, per carità, che se la mondi bene!». Condusse, poi, con sé il testimone e gli diede due biscotti e due foglie di un’erba, raccomandando di tenerli con sé per devozione e consegnarli all’Arciprete ammalato. Ascoltò que­sti il consiglio e guarì. Per conoscenza diretta e personale. Paola, al tempo di circa quarantadue anni. Lo stesso teste ha pure aggiunto che, due anni dopo, lo stesso Arciprete ricadde ammalato; il teste un’altra volta si portò da fra Francesco, dicendogli come l’Arciprete era nuovamente a letto, in­fermo; Francesco gli rispose: «Ora non può rifiutarsi all’invito del Signore, il quale lo vuole con sé, anzi, ripetigli che provveda a mondar bene la propria coscienza; avant’ieri, ha celebrato la Santa Messa, non avendo la casa perfettamente a posto; digli an­cora per la terza volta, per carità, che si preoccupi di questo su­premo affare: tenere ben pulita la casa, giacché il Signore adesso lo vuole con sé, ed egli non può rifiutarsi». Tornato il teste dall’infermo, gli riferì quanto Francesco con tanto calore raccoman­dava, soprattutto di pensare al bene della salute della sua anima. La mattina dopo l’Arciprete lasciò questo mondo. Da personale e diretta conoscenza. Paola, da circa quaranta anni.  

 

TESTE TRENTATREESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Nicola de Chirico, di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che dovendosi egli recare a Napoli, via mare, con una imbarcazione carica di vino, fu assalito da un fortunale, che non consentì di procedere, e quindi, fu costretto a tornare a Paola. Appena sbarcato, non si premurò di entrare in paese, ma si diresse senz’altro da fra Francesco al convento, il quale era davanti alla porta della chiesa; appena vicino, fra Francesco gli domandò: «Donde venite?». Il testimone allora rispose: «Eravamo diretti a Napoli, carichi di vino, senonché siamo stati colti dal cattivo tempo e abbiamo invertito la rotta, facendo ritor­no». Fra Francesco lo prese per mano e lo condusse a far colazione. Dopo aver preso qualche boccone, ancora fra Francesco disse: «Cola, abbi pazienza! Tuo figlio è passato all’altra vita; il Signore lo ha voluto con sé». Naturalmente il povero padre ruppe in pianto. Fra Francesco a consolarlo: «Non piangere, per amor di Dio; fra un anno diverrai ancora padre di due altri figlioli maschi». Lo sconsolato genitore fece ritorno a casa. Alla esatta scadenza dei nove mesi, la moglie lo rese nuovamente felice dei due maschietti preannunziati. La conoscenza è quella diretta e personale. Paola, da circa quaranta anni.

Circa il decimo, ha affermato che fra Francesco camminava sempre scalzo;  con un abito sdrucito immediatamente sopra le carni e operava molti miracoli, perseverando ognor più nel fare il bene. Edificava conventi importanti e conduceva una vita vera­mente santa. In quanto alla purezza, il teste ritiene per certo che fra Francesco sia morto vergine. Per sua personale conoscenza e anche per detta di tanti altri.

 

 

TESTE TRENTAQUATTRESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Giacomo Carratello, di Paola, teste esaminato con giuramento, circa il nono, omessi gli altri, ha detto del miracolo della fornace di calce, che rovinava e dei pesci morti che tornarono a vivere, come già attestarono i testi precedenti. Da conoscenza come sopra. Lo stesso ha detto pure che avendo circa quindici anni andò da fra Francesco e gli mostrò la gamba pregandolo di guarirgliela e il suddetto fra Francesco gli segnò col dito la croce sul punto malato e vi sovrappose un’erba, chiamata nepita, e menta silvestre. Il giorno dopo era sano, come è oggi. La conoscenza è di un fatto personale. A Paola. Da circa quarant’anni. Inoltre ha parlato del miracolo già deposto da altri testi di quei due sui quali sprofondò quel terreno, che il Padre, chiamato, fece scavare e furono trovati vivi. Ha aggiunto che egli vide uno dei due, di nome Fiorentino, che si ritenne davvero morto e il sud­detto fra Francesco lo prese nelle sue braccia e lo portò nella sua cella, e subito fu sano e salvo. Da conoscenza come sopra.

 

TESTE TRENTACINQUESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Donna Polisena Cingona, di Paola, teste esaminata con giu­ramento, in quanto al nono, omessi gli altri non necessari, ha detto che una volta, durante il tempo in cui fra Francesco veniva costruendo il convento, lo trovò che faceva il bagno ad un ammalato; nel riscaldare l’acqua, mise sotto la caldaia, al posto della legna, le pietre, che, accese per bene, come fuoco, la testimone vide con i propri occhi che fra Francesco le prese con le sue mani nude; erano quelle pietre accese e fumiganti come tizzoni accesi, tenendole in mano, e attraversando tutta la camera per metterle sotto la caldaia per riscaldare l’acqua, le mani di fra Fran­cesco non ne avvertivano benché minimamente il fuoco e le por­tava senza suo danno come fossero rose. E’ conoscenza sua diretta. Paola. Da quarantacinque anni.  

TESTE TRENTASEIESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Il nobile uomo Giacomo Carbonello, di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che egli aveva una sorella, Donna  Chiara, contratta tanto agli arti inferiori quanto ai superiori, ed era impossibilitata da un anno a mantenersi nella posi­zione eretta. Per mangiare era necessario che qualcuno la imboccas­se e le desse da bere, come per metterla a letto e alzarla. Cosa non ebbero fatto i genitori della povera ragazza! Si ricordarono di fra Francesco e se ne facevano una colpa per essersene ricordati con molto ritardo! Si rimproveravano, dicendosi: «Come? Ne vengono tanti di forestieri da tutti i paesi ad implorar grazie da fra Fran­cesco e noi che abbiamo la gran felice sorte di averlo in casa nostra, non vi andiamo! Andiamo da lui a scongiurarlo di impetrare anche per noi una grazia dal Signore in pro di questa nostra disgraziata figlia, o che pure il Signore se l’abbia con sé, non possiamo tenerla così rattrappita». Pertanto la fecero portare in braccio a una domestica al con­vento di fra Francesco e lo pregarono di intercedere per la di lei salute presso Dio o che se la prendesse. Li accolse benevolmente, dicendo loro che avessero sicura fede e trattenendoli a parlare d’al­tro per un pezzo. Li asperse con acqua santa e nell’atto di allonta­narsi, consigliò di raccogliere delle ortiche, di cuocerle e di met­terle sulle mani della paziente, una volta tornati a casa. La infelice figliola si fece poggiare per terra dalla persona di servizio che la teneva in braccio per fare i suoi bisogni; si accorse allora di poter reggersi in piedi; quindi si scosse, completamente libera, in tutti i suoi movimenti, senza aver fatto ricorso a quelle ortiche o ad altro rimedio. Il testimone perciò asserisce e depone con tutta l’av­vertenza e conoscenza sua diretta e personale di aver visto sua sorella rattrappita e storpia di mani e di piedi, e il miracolo tanto evidente, operato da fra Francesco, lo testifica anche per averlo riconosciuto dal defunto suo padre e sua madre, oltre ancora per sua personale e diretta conoscenza, essendosi recato anch’egli al convento di Paola trentasette anni or sono. Lo stesso ha testimoniato che, essendo ancora in vita il de­funto suo padre, Francesco Carbonello, al tempo in cui fra Fran­cesco veniva costruendo il suo convento, gli faceva osservare che la terra sovrastante la fabbrica poteva sommergere il mulino sotto­stante, di sua proprietà. Conservando sempre tra di loro la buona amicizia e la scambievole stima, un giorno il mugnaio andò per lavorare, ma non poté far niente; la terra che cadeva non consen­tiva di azionare le macine; fece presente perciò a fra Francesco la difficoltà in cui era venuto a trovarsi, ciò che il mugnaio riferì al suo padrone, mastro Francesco, il quale avvicinò, alquanto ri­sentito un frate chiedendo dove fosse fra Francesco. Questi si tro­vava nella sua cella, perciò il fratello incaricato riferì che attendesse alquanto, perché fra Francesco sarebbe venuto tra poco. Mastro Francesco attese pazientemente in chiesa per quasi un ‘ora, per cui pregò nuovamente di andarlo a chiamare a nome suo, ma invano!

Mastro Francesco allora cominciò a scaldarsi alquanto e a sentir salire i nervi; decise perciò andare di persona alla di lui cella. La cella era al piano superiore e per accedervi bisognava salire alcuni scalini. Quando fu per salire l’ultimo scalino, gli venne di ascoltare voci e melodie soavissime, come da un coro di angeli scesi dal cielo. Tra il credere e l’ascoltare quelle melodie, mastro Francesco provava una gioia indefinibile. L’incollerito padrone del mulino capì donde provenivano quei canti celestiali e fece le scale a ritroso, tornandosene in chiesa, dove era prima, ringraziando il buon Dio di quei momenti particolari così intimamente provati. Ancora tutto preso, mastro Francesco se ne stava, muto, nella chiesa; quand’ecco comparire fra Francesco, il quale con tanto garbo e il suo modo di fare a saper calmare gli animi turbati e indispettiti, gli fece le sue scuse per averlo fatto attendere tanto tempo. Mastro Francesco quindi: «Padre, del mulino non ne parliamo proprio; fate como­damente ciò che intendete fare, e il mulino se ne vada pure a mare con tutte le sue macine e con quanto v’ha dentro!». Per conoscenza, avendo sentito questo dalla bocca del suo defunto padre, il quale era un vecchio veramente signore e di vita integra, e raccontò questo fatto appena tornato a casa ancora pro­fondamente compreso e ammirato di quanto gli era capitato di sentire e ascoltare. Paola. Da circa quaranta anni.

 

TESTE TRENTASETTESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Il nobile Antonio Mendolilla di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che trovandosi egli con il suo capomastro e i coetanei lavoranti assieme a fra Fran­cesco nella chiesa del convento da lui edificato, i cui muri erano da poco innalzati, si presentò un giorno un frate, vestito con un abito di frate francescano, chiedendo che cosa facessero. Fra Fran­cesco rispose che si costruiva una chiesa. Quegli allora: «Che chiesa è questa che edifichi? Infatti è troppo piccola». Fra Francesco osservava: «E come posso, padre, edifìcarne un’altra più ampia, se mi mancano i mezzi?». L’altro a insistere: «Non preoc­cupatevi! Il Signore vi provvederà». E fece abbattere i muri già innalzati, designando un perimetro più largo e scomparve d’un subito, senza profferir nome, né aggiungere altro donde era venuto e dove diretto. Il teste e quanti erano presenti a quell’incontro singolare ritennero si trattasse di una persona inviata direttamente da Dio. Dopo due giorni arrivarono due signori dai casali di Co­senza con larghe e generose offerte in denaro e bestiame, in un momento così opportuno per la fabbrica del convento. Così da conoscenza diretta e personale. Paola. Da circa sessanta anni.  

 

TESTE TRENTOTTESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione

Antonio Caputo di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha detto che essendo andato alla masseria con un suo zio paterno per portare i manipoli del grano, fu colto, improvvisamente, da un dolore acuto alla regione auricolare e cadde per terra quasi morto. Portatolo in luogo vicino dove fra Francesco si trovava, una donna lo informò di quanto accaduto. Fra Francesco le diede una radica da mettere in bocca e masticarla, e aver fede in Dio. Arrivati in casa egli cominciò a vo­mitare. La stessa donna tornò dal suddetto fra Francesco dicen­dogli quanto il povero teste stava attraversando; questa volta le fu data una polvere da versare dentro un uovo e sorbirlo. Fatto come detto, immediatamente scomparvero e la indisposizione di stomaco e il dolore all’orecchio. Il teste ritenne sempre essere stato guarito e per grazia del Signore prima, e poi per la inter­cessione di fra Francesco. Questo sa in persona propria. Paola. Da circa quarantacinque anni. Lo stesso ha ammesso il fatto della pietra rimossa dal posto in cui fra Francesco costruiva il convento; un masso che dieci uomi­ni non avevano potuto smuovere. Fatto constatato di persona in Paola, al tempo come sopra.

TESTE TRENTANOVESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Il Reverendo fra Francesco, Priore di S. Agostino, di Paola, teste esaminato con giuramento. Circa il nono, omessi gli altri, ha affermato che essendo stato da adolescente comandato dal suo su­periore di andare a far legna nel bosco, si ferì con un’accetta, piut­tosto grande, ad un piede tra l’alluce e il secondo dito, procurandosi una vistosa ferita con abbondante perdita di sangue. Così ferito e tanto sangue intorno, si vide perduto e gli vennero meno le forze. Girandosi intorno, vide fra Francesco con una accetta sul collo, il quale si dirigeva verso di lui; il malcapitato se ne rallegrò e sentì dire: «Fra Francesco, hai fatto sanguinaccio?» «Padre mio» — fu la risposta — «legnando nel bosco mi son fatto male al piede, come vedete!». Fra Francesco, con viso bonario, dolce­mente, toccò il piede, aggiungendo: «Guarda che cosa è la santa obbedienza! Tu ti sei ferito con una pesante accetta e non hai toc­cato alcun nervo, ciò che nessun barbiere avrebbe potuto fare senza ledere i nervi; questo perché hai voluto fare la ubbidienza del tuo Superiore!». Prese così alcune erbe che si trovavano nello stesso luogo e le pose sopra la ferita; all’istante il disgraziato frate ago­stiniano fu guarito e fece ritorno con i suoi stessi piedi al suo convento. Per conoscenza sua personale e diretta. Paola. Da circa quaranta anni. Il teste ha affermato ancora che, avendo egli un apostema ad un braccio, che non lo aveva fatto dormire per cinque giorni, si portò da fra Francesco, mostrandogli l’apostema. Fra Francesco vi mise su una polvere, che al teste parve come una specie di acqua tosata e subito fu guarito. La causa della conoscenza, giacché vide e sentì. Luogo e tempo come sopra. Circa il decimo, ha ammesso che fra Francesco visse sempre godendo fama di una vita santa, perseverando continuamente di bene in meglio, edificando conventi e operando miracoli numerosi, così come detto sopra. Conduceva pure una vita assai penitente; camminava sempre scalzo, sia d’estate che d’inverno, e usava un abito logoro, con cui copriva le carni come pure già detto prima.

 

TESTE QUARANTESIMO

Stesso giorno 18 luglio 1512, 15° dall’indizione  

Il Reverendo fra Giovanni de Andriotta, di Paola, Priore del­l’Ordine di S. Agostino, esaminato con giuramento; sopra il nono, omessi gli altri, ha confermato il miracolo di quelli che il masso travolse, come hanno ammesso gli altri. Sa da personale conoscenza. Lo stesso ha detto che l’Arciprete di Lattarico, aveva un male al naso e alle labbra, come detto innanzi, che gli aveva quasi con­sumato del tutto il naso e il labbro, come detto prima; andò da fra Francesco, il quale vi pose sopra certi empiastri, legandolo con un pezzo di stoffa; il mattino seguente il paziente si trovò guarito, come se non avesse mai sofferto niente; poté celebrare la Messa nel convento e se ne tornò quindi a casa sano e salvo. La causa della conoscenza è diretta e personale. Circa il decimo, ha detto che fra Francesco visse santamente, ancor più dei moltissimi che l’hanno affermato e tuttora affermano; che ha sempre perseverato di bene in meglio. Ciò per conoscenza diretta, come sopra.  

>> segue processo 2