Il tempo ha intrecciato numerose leggende attorno a Milazzo e, sfogliando un antico libro, ho repertato questo curioso episodio, narrato con dovizie di particolari e riferimenti storici, che poco mi sembra leggenda ma sa davvero di evento sovrannaturale, accaduto il 16 luglio del 1684, cioè risalente al periodo in cui Milazzo era soggetto alla servitù spagnuola; al fatto fa riferimento il famoso letterato Pitrè di Palermo. In quegli anni, narrano gli studiosi, le estati erano particolarmente torride, sicchè era usanza delle famiglie cercare conforto e refrigerio tra le acque del mare, o forse, come tradizione, andare a mare, passando in pellegrinaggio, prima, dalla Chiesa della Vergine Addolorata. Venivano da varie distanze, da molto e da poco lontano, dai villaggi desolati e dai paesi d’altura, con le casupole accavallate, come, sembrerebbe dalla narrazione, fose facendo riferimento al monte Makkarrone ed alla stessa S. Lucia del Mela o piuttosto si parlerebbe del Capo di Milazzo (?).
Talora sul proprio asino, con l’intera famiglia, i più facoltosi con carri, i più nobili con le carrozze, si recavano dunque in ispiaggia. Mentre essi procedono, la natura di allora si apriva ai loro sguardi con “ la sua beltade svariata, tra l’ombre violente e brume di sogno, tra cespi spioventi e tra pinnacoli nerastri in equilibrio”. In mezzo a queste sparute carovane fatte di povera gente, va su un carro con aria gradassa e boriosa, una raccolta di soldatacci spagnoli, con a capo un sergente, tutti messi là per provocare le più belle ragazze delle comitive che vanno a piano, povere creature con altri pensieri per la testa, che quelli di ascoltare “le smancerie di quella soldataglia”! Il mare è finalmente vicino, quando le carovane trovano riposo e refrigerio tra le antiche fronde che s’ergono attorno alla Chiesa parrocchiale della Madonna dei Dolori (ma non sapremmo dire di quale chiesa si tratti, che comunque è sita in Milazzo, nei pressi del mare).
Qui una giovane donna insieme alla sua famiglia, per sfuggire
alle prepotenze degli spagnoli si rifiugia nella Chiesa, ma la marmaglia, “briaca
di vino e di lussuria”, insegue la bella montanara anche nella inviolabile
casa del Signore, dove la povera ragazza prega genuflessa ai piedi della Gran Madre
di Dio. E la notizia di quell’insulto si propaga e i pellegrini che vanno a mare
scendono nella piazza e si accalcano nella Chiesetta, come per stringersi anch’essi
attorno ai pellegrini importunati. La ciurmaglia spagnola allora, vedendosi accerchiata,
desiste dal continuare l’impresa per la folla che” va crescendo minacciosa sempre
di più”. Pertanto i soldatacci decidono di rifarsi saccheggiando il quadro
sito sull’altare maggiore che raffigura la Vergine e che è incorniciato da pietre
preziose incastonate ed altre ricchezze. Si tratta, secondo quando riportato nel
manufatto, di un quadro del pittore Antonio Barbalonga, di Messina, allievo dell’insigne
maestro Domenichino, morto giovane nel 1649. Il quadro rappresenta la Madonna Addolorata
si piedi della Croce, col Divin Figliolo nelle braccia. Il sottoufficiale che comanda
il branco sale per primo sotto l’altare e si avvicina all’immagine della Madre,
fremendo d’ira, con l’idea di conquistare la tela preziosa e le pietre incastonate.
Ma ogni tentativo di staccare i preziosi riesce vano. Perciò fuori di sé colpisce
con l’alabarda un puttino dipinto sul braccio sinistro della Croce e, “portentosamente
da questo venìa a scorrere sangue in gran copia”. Il sangue continua scendere senza
arrestarsi, fino a bagnare tutto l’Altare, passando sulla bianca mano della Vergine
dei Dolori e sul Corpo del Redentore Gesù. Allora il soldato, spaventato, ricorperto
anch’egli del sangue che scorre copioso, decide di prendere della calce per tappare
il foro che ha inferto al puttino. Ogni tentativo risulta, però, vano. Scappa,
quindi, dalla Chiesa, inseieme alla soldatesca e giunge a poco distanza dalla Chiesa
dove vi è una polveriera. E mentre questo accade, improvvisamente si sente un immane
boato, con uno spostamento d’aria spaventoso, “ immane folata di vento per l’aere”.
Scoppia, pertanto, la polveriera e quel branco di sacrileghi è inghiottito dallo
scoppio, senza lasciar traccia di sé, mentre un fumo nero e denso avvolge i miseri
resti. Narra la leggenda che un demone nero volle sottrarre alla vista dei visitatori
di quell’immane disastro, perfino l’ultima reliquia delle ossa annerite e bruciate
di quegli sciagurati, su cui discese tremenda l’ira di Dio. La dolce effice della
Madonna dei Dolori, da allora fu nomata de “la Madonna Insanguinata”.
Claudio Italiano