a cura di BARTOLO CANNISTRA'
Il webmaster, dott. Claudio Italiano, (STV MD), milazzese, ringrazia per la cortesia ricevuta l'autore
di questo saggio, il prof. Bartolo Cannistrà e celebra con orgoglio le gesta
dell'Eroe Affondatore. Se arrivate a questa pagina di storia, leggete anche
le gesta del C.te STV Giorgio Rizzo e godete del mare
e dell'ambiente di Milazzo, dove nacque, visse
ed acquisì il suo modus vivendi l'Eroe vendicatore di Lissa. Le foto, i cimeli, i busti
ed i dipinti sono esposti presso il Museo di Luigi Rizzo a Milazzo (ME).
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Luigi Rizzo e Storia Milazzo C.te STV Giorgio Rizzo
Su Luigi Rizzo manca una bibliografia ragionata,[1] né questo contributo, per lo spazio di cui dispone, può tentare un esame esaustivo di tutte le pubblicazioni e dei problemi che esse pongono. Ci soffermeremo, pertanto, su uno solo dei temi possibili: l'evoluzione della figura -e, cioè, dell'immagine, ma anche del giudizio sull'opera- di Rizzo come emerge dalle biografie, dagli scritti di storia militare, dagli articoli di stampa e anche dai componimenti poetici.
La scelta di questa angolazione nasce dal fatto che nella storiografia e nella pubblicistica esiste una vistosa contrapposizione fra due immagini, fra due approcci antitetici alla figura di Rizzo. Da una parte l'Eroe impavido, freddo e audace fino alla temerarietà, l'eccezionale protagonista di folgoranti imprese di guerra, il dannunziano "siculo corsaro, distruttore di navi, che osa l'inosato": l'immagine che ha prevalso per più di un ventennio. Dall'altra, l'uomo dalla schietta semplicità, dalla profonda serietà morale, col suo fastidio per la retorica e il suo "odio per la guerra", sottolineati nelle opere più recenti. è evidente che queste due antitetiche interpretazioni corrispondono a due diversi momenti politici, e che il nuovo approccio è stato determinato dal nuovo clima culturale dell'Italia repubblicana, ma non è meno evidente che la nuova immagine fissata dalle opere degli ultimi decenni -non enfaticamente marziale e granitica, ma più "normale" anche nei momenti eccezionali- è quella più fedele alla realtà. Tuttavia è lecito chiedersi se non sia stata la stessa vita di Rizzo a rendere in qualche modo legittime entrambe le interpretazioni, perché , in realtà, esse riflettono due diverse stagioni della sua vita, quella delle imprese folgoranti e clamorose concentrate nell'arco di meno di due anni, e quella, lunga tre decenni, apparentemente "normale", in cui egli fu soprattutto un manager industriale.
Ma, forse, proprio dalla diversità di queste due stagioni si può ricavare il fil rouge che consente di mettere a fuoco la dimensione autentica della personalità di Rizzo: essa, infatti, appare fondata, in entrambe, sulla determinazione etica e la professionalità pragmatica con cui -senza esibizionismi, sempre con lo stesso spirito di paziente perseveranza che è propria del marinaio- nel biennio epico prepara accortamente l'affondamento della Wien e tesse pazientemente la rete di appostamenti che consentirà l'affondamento della Szent Istvan, e poi, nel trentennio successivo, presiede, in momenti difficili e talora drammatici, la cooperativa "Garibaldi" di Genova fino all'ascesa del fascismo o i Cantieri riuniti di Trieste fino all'occupazione tedesca produzione, oppure mette in atto la sua dignitosa resistenza morale nella prigione nazista di Klagenfurt. In tutti questi momenti Rizzo è sempre lo stesso: solo che la sua determinazione e la serietà del suo impegno, fra il 1917 e il -18 produrranno -e non solo per lo scoppio dei siluri- effetti deflagranti, mentre lo stesso clamore, ovviamente, non poteva accompagnare l'impegno quotidiano del manager o risuonare dall'isolamento della prigione.
Questa sottolineatura -che ci è sembrato corretto anticipare per indicare quale sarà la nostra chiave di lettura delle opere che esamineremo- consente di capire perché la rappresentazione delle sue imprese come estemporaneo atto di sovrumana audacia costituisca un tradimento della verità: se si approfondiscono antefatto e contesto, il suo gesto eroico si rivela sempre come la naturale conclusione di un lungo, accurato, e perfino oscuro, lavoro di preparazione, al cui riconoscimento egli ha mostrato di tenere non meno che a quello della conclusione clamorosa di esso. La riprova sta nella sua indifferenza (ma forse si dovrebbe dire insofferenza) per le celebrazione della "Beffa di Buccari" (esaltante per l'estetismo di D'Annunzio, quanto deludente per la pragmatica concretezza di Rizzo) o nella sua puntigliosa difesa -contro chi insinuava che fosse opera del "caso o destino"- della consequenzialità dell'azione di Premuda rispetto all'ininterrotta opera di controllo del mare, fatto di "centinaia e centinaia di ore di navigazione deserta e snervante, di lunghi agguati, di interminabili attese". Goethe diceva che il genio è una lunga pazienza; noi potremmo dire che lo è anche l'eroismo di Rizzo.
Porto di Milazzo: un bozzetto in bronzo
che raffigura il MAS di Luigi Rizzo
Esaminando, dunque, da questa angolazione le opere su Rizzo, cercheremo di mostrare come un realistico profilo dell'Eroe, inteso come proiezione coerente dell'Uomo, vada emergendo gradualmente man mano che ci si allontana dalla comprensibile retorica legata all'evento bellico. Cominciamo da un primo gruppo di testi del 1917-18. Sono stati scritti quasi tutti immediatamente dopo l'affondamento della Wien e della Szent Istvan, ma il primo di essi è anteriore alle due imprese: risale al febbraio del '17 ed appare su un settimanale milazzese [2]. E' la prima volta che su un giornale si parla di Rizzo: egli non è ancora l'Affondatore, ma la sua figura è già circonfusa da un alone particolare, perché ha al suo attivo audaci azioni militari, e a Grado e dintorni si è distinto tanto da meritare la prima medaglia d'argento. Poi, la notte del 10 dicembre 1917, l'eclatante affondamento della corazzata Wien nel munitissimo rifugio di Trieste fa entrare nel mito la figura di Rizzo. Non è solo il giornale della sua città[3] ad esaltarlo con toni epici, ma anche il più importante e popolare settimanale nazionale,[4] che gli dedica la copertina di Achille Beltrame commentata da una didascalia la quale, con la sua stessa imprecisione (si parla di "audacissima incursione di navi italiane nel golfo di Trieste"), rivela quanto sia ancora difficile accettare come verosimile l'idea che un piccolo guscio di legno possa affondare un colosso d'acciaio. E, poco dopo, ecco la prima trasfigurazione poetica dell'impresa: il lungo carme latino di Lorenzo Rocci[5] -l'autore del celebre vocabolario greco- che esalta "Rizzius ille Mylis sicula generatus in urbe". La narrazione è magniloquente ma fedele alla realtà, lo stile epico ma controllato, forte ma non ridondante, con aperture che ridestano ricordi virgiliani ("Nox atra incumbit, suadetque silentia terris", "Dux inclitus tacita breviter sic voce locutus"); inizia con uno squillante "Fronda nova decoret fulgenti luce renidens Gloria virtutem" e si chiude con l'alba luminosa in cui i Mas ritornano a Grado, dopo l'impresa: "Interea roseis devecta aurora quadrigis / Ausoniam primo lustrabat lumine terram".
Rocci coglie con efficacia e compostezza quel che di epico e di mitico risuonava in un'impresa così incredibile: esprime un sentimento diffuso, aprendo la strada a quello che poi diventerà un cliché, e che altri non sapranno tenere sullo stesso piano di sobrietà.
Affondamento della Santo Stefano
Il secondo affondamento, quello della "Santo Stefano", avvenuta la notte del 10 giugno 1918, in un delicato e angoscioso momento di sospesa drammaticità, quando l'Austria dopo la vittoria di Caporetto si prepara a dare la definitiva spallata sul Piave, determina l'esplodere di un comprensibile sentimento di esaltazione che produrrà deliranti manifestazioni di entusiasmo popolare verso quest'uomo che, con i soliti due gusci di legno, penetra con tranquilla audacia nello schieramento di una possente e numerosa squadra di giganti d'acciaio, silura due di quelle corazzate che orgogliosamente si definivano dreadnoughts ("che non teme nulla"), ne affonda una, e ne esce illeso e irridente. è ancora una tavola di Beltrame[6] la migliore raffigurazione del sentimento generale: raffigura il Mas tripudiante di "Luigi Rizzo e i suoi pochi compagni, vendicatori di Lissa", che con la bandiera spiegata al vento e le braccia protese "vedono affondare un colosso della flotta austriaca vittima della loro audacia". Disegno e didascalia icasticamente concentrano tutti e tre i temi che connoteranno l'impresa nella fantasia popolare e che ritroveremo nei versi di tanti volenterosi "poeti": il colosso nemico, l'audacia di pochi, il ricordo di Lissa. Fra le prime descrizioni giornalistiche spicca quella di Cesareo[7], che, con scelta efficacissima, riporta l'impressione di uno dei marinai di Rizzo, un siciliano, che sembra ancora attonito per l'incredibile impresa compiuta, e così descrive la nave austriaca che, subito dopo il siluramento, li aveva inseguiti incombendo minacciosamente su quel loro piccolo Mas e fulminandolo coi suoi cannoni: "Paria un liuni, signori, un liuni chi s'abbintava supra di nui". E lo stesso attonito stupore traspare dall'articolo di Maffi: "L'azione era durata in tutto un quarto d'ora. Lo stesso Rizzo, ripensandola, dice: Mi pare un sogno!" [8]
Porto di Milazzo: parata militare in onore di Luigi Rizzo
in occasione dell'inaugurazione
del monumento al MAS
è significativo che, in questi primi scritti, l'obiettivo non
sia puntato tanto su Luigi Rizzo, come protagonista dell'evento, quanto sull'evento
stesso, che colpisce per la sua inimmaginabile "enormità", e di cui ognuno cerca
a suo modo di mostrare, il più efficacemente possibile, l'eccezionalità. Riportiamo
un solo esempio, l'articolo di Paolo Giordani
[9] che
punta sulla descrizione dello stato d'animo del piccolo collettivo del Mas, il loro
"sentirsi più vicini e fratelli dinanzi all'improvvisa gloria o alla morte sicura
... l'ansia e il tormento di una notte d'agguato a bordo di una delle nostre siluranti,
dove comandanti ed equipaggio s'irrigidiscono ai loro posti di manovra quasi sepolti
del tutto nella cavità del battello, condannati dall'economia dello spazio all'immobilità
quasi assoluta", finché, avvistato il nemico, "gli uomini si raccolgono nella concentrazione
dello sforzo di tutte le facoltà, accarezzano con gli sguardi accesi i dorsi lucenti
dei siluri" e "tutti gli occhi si fissano in quelli del loro comandante per capire
il lampo del segnale supremo". Questa rappresentazione della coralità dell'azione
dovette essere particolarmente gradita a Rizzo se, un decennio dopo, in una sua
pubblicazione,[10]
riporterà proprio questo articolo, e non uno dei tanti che enfatizzavano soprattutto
il suo ruolo.
Vediamo qualche saggio di queste "composizioni poetiche".[11] Un amico milazzese di Rizzo, Paolo Lucifero, lo descrive come un "angel di vendetta, assiso / sulla fragil prora...sereno, circondato da fulmini e securo / nell'anima robusta" e, per esaltarlo, coinvolge le Termopili e Sansone, Pietro Micca e San Michele arcangelo.
Anche Egeo Carcavallo lo vede "sulla prora, immoto: la pupilla / affisa all'orizzonte." E aggiunge: "Un fremito / di desiderio dalle tempie irriga / tutte le arterie fino alle latèbre / dell'anima e del cuore più profonde... / Il duce, fermo sulla prora, immerge / ne le fiamme del sole il bronzeo volto / e chiede dall'astro l'ispirazione..." Poi immagina un concitato discorso che è una mescolanza fra quello dell'Ulisse dantesco e quello del carducciano Alberto di Giussano: "Compagni d'arme e di vittoria, / noi siamo un pugno sol contro una roccia / titanica ... morte oppure vittoria ... Decidete! / Frementi con indomito / ciglio gli arditi .... Avanti! verso la Gloria..."
Nel carme latino di Mario Micalella (con "versione metrica" di M. Brunetti) dedicato ad "Aloysio Rizzo Mylaseni, navium eversori", tutta Milazzo è un palpitare di eroismo, in una cavalcata storica che parte dall'astuto Ulisse e dall'antro in cui tacciono le giovenche del Sole, per arrivare, attraverso il maschio ardire di Duilio e di Agrippa, all'invitto duce Garibaldi, e concludere col peana a Rizzo: "Gloria a te, prode, cantino i fanciulli! Gloria le spose, le trepidi madri!" La stessa luce di gloria si riverbera sulla citta natia dell'Eroe anche per Colonna Romano: "La storia ha inciso: sul Mar brilla la intrepida Milazzo".
La poco realistica descrizione che molti di questi rimatori danno di Rizzo a Premuda è quella di un esagitato. Alessandro Caja: "Lissa! -egli grida come un folle- Lissa! / Intanto che la nave agonizzante / si sbanda e s'inabissa". Pietro Vulpetti : "Di Milazzo il figlio ebbro di gioia, / collo sguardo alle sagome nefande / e la mano stesa al cielo, grida: / "O vecchi e donne lacerati e bimbi, / Morti di Lissa, siete vendicati!"
E così, con ingenua naturalezza, appena due settimane dopo Premuda, ci si avvia verso l'apoteosi. Vincenzo di Stasi: "Sul rosseggiante mar, fra pèrleo velo / Rizzo rifulge di divino ardore". Al reggino Napoleone Vitale appare come chi "reca sopra di sé tutto il destino! / Emulo antagonista della morte / ai fatti segna il termine e l'avvio.../ In sé nasconde / una sì formidabile possanza / che l'opera di un dio persin confonde."
Fino al culmine del processo, nei versi dedicati al "Sagittario azzurro e insonne e al suo incorruttibile fegato" da Arturo Insinga: "Un ampio batte opaco anelito la carne.../ il sangue è ardente melo che scoppia / ne l'odor come l'accetta nella luce .../ ha le vene di canapo... la folgore scocca immite,/ sferra un urlo d'oro il bel centauro / la vittoria s'inginocchia e mozza l'ala..." Per dirla in breve, Rizzo "le gesta dell'Altissimo travalca ... "
Certo, il poeta della "Canzone del Quarnaro" [12] non si nega nessun abbandono alla più maschia e marziale retorica: "Siamo trenta, d'una sorte, / e trentuno con la morte... / Tutti tornano o nessuno, / se non torna uno dei trenta, / torna quella del trentuno, / quella che non ci spaventa / con in pugno la sementa / da gettar nel solco amaro. / Eja, carne del Carnaro, / alalà..." Sono i trenta dei tre Mas della cosiddetta "beffa di Buccari" ed hanno, manco a dirlo, "secco fegato, cuor duro, / cuoia dure, dura fronte, / mani macchine armi pronte, / e la morte a paro a paro. / Eja, carne del Carnaro, / alalà..."
Ma quando si tratta di descrivere direttamente Rizzo questo registro stilistico non funziona, e D'Annunzio lo capisce bene. Certo, ne scolpisce un profilo che sa sempre di maniera: colui che "osa l'inosato, il marinaio nato dal popolo più schietto, semplice e rude che non pregia alcun serto più della rozza berretta, il prediletto della gloria vera, il distruttore di navi nemiche perdutissimo e tranquillo, che conduce la prua disperata al di là della morte e ne torna con la fortuna attonita". [13] Ma questa è la posa statuaria del "monumento"; se, invece, deve descriverne l'azione, il ritratto che ne disegna, al di là del lessico aulico e delle immagini ad effetto, è ben diverso.
Ecco Rizzo, mentre stanno partendo per Buccari [14]: "nella sua casacca di pelle nera e la sua berretta corsaresca" sorride tranquillo con gli occhi ironici "toccandosi la bazza, che è come una bietta aguzzata a guisa di conio da ficcare nelle spaccature per fendere e rompere". Quando stanno entrando nella baia di Buccari D'Annunzio gli tasta per scherzo il polso e scopre che lo ha "quieto come quello di un arabo che abbia trascorso la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato ad un muro bianco". Quando, poi, il poeta posa nel mare di Buccari, la prima bottiglia col suo irridente messaggio, i nastri tricolori e "l'aria giuliva di una piccola balia brianzola che galleggi dalle poppe in su e si allontani ballonzolando", ecco Rizzo che "si china guardarla, la segue con gli occhi burlevoli e non può tenersi dall'imitarla come un bambino che senza volere imita il gioco della sua marionetta". E quando, infine, tornando, sfuggono ai colpi della difesa austriaca che fa cilecca, eccolo ironizzare su di essa "pensando agli attributi del Colleoni". In questo Rizzo, descritto in modo così vivo e affettuoso, è facile riconoscerne la vera figura, fuori di ogni retorica.
Maschera in bronzo che raffigura l'eroe sul letto
di morte.Museo di Luigi
Rizzo, Milazzo
Come i primi versi, così anche i primi tentativi di analizzare
il significato dell'impresa di Premuda appaiono già nei giorni immediatamente successivi
ad essa: il 13 giugno escono due articoli, di Roberto Forges Davanzati e di Benito
Mussolini. Cominciamo da quest'ultimo.[15]
In verità, in esso, su Rizzo non c'è molto, e Premuda sembra quasi un pretesto per
considerazioni di ordine militare e filosofemi autoreferenziali: "La nuova audacissima
impresa del marinaio Rizzo mi richiama alla mente le mie considerazioni sulla guerra
qualitativa...Il macigno è la massa, la mina la volontà. La mina fa saltare il macigno.
Le masse umane hanno la stessa inerzia delle masse inorganiche. Ponete una volontà
di acciaio, tesa e implacabile, contro una massa e voi riuscirete a sgretolare la
massa." Solo alla fine sembra che si torni a Premuda: "Pensate a Rizzo e ai suoi
compagni. In pochi hanno vinto una battaglia. Per lanciare un siluro, non c'è bisogno
di essere molti: basta un uomo. E un siluro manda a picco la corazzata... Per un signore
che sta chiuso nell'ufficio di Roma può sembrare a priori impossibile forzar una
scorta di torpediniere e silurare due corazzate austriache; per Rizzo è stato possibile.
Possibile perché è stato tentato, perché esisteva la volontà di tentare." La verità
è che a Mussolini l'impresa di Rizzo serve soprattutto per dar forza alla sua esaltazione
dell'individualismo, del volontarismo, della "guerra qualitativa", cioè della necessità
di "valorizzare l'individuo, non frenare gli audaci, non lasciare nulla di
intentato", tanto che l'articolo si conclude con questa esplicita richiesta: "Un
po' di follia, signori, di intelligente e raziocinante follia".Diverso il taglio
dell'altro articolo, quello del nazionalista Roberto Forges Davanzati,
[16] il
quale, ricordato che indubbiamente a consentire l'affondamento della Szent Istvan
ci fu un concorso di circostanze casuali, sottolinea che però, se è vero che
"il
caso ha voluto che le siluranti di Rizzo si imbattessero nella divisione austriaca
... è altrettanto vero che questo caso tanto straordinario non si sarebbe neppure
verificato se le nostre navi avessero l'abitudine di rimaner ferme nei porti, invece
di svolgere, giorno e notte, un'azione ininterrotta, paziente, logorante, snervante
di vigilanza. Questo episodio è frutto di centinaia di ore di crociere vuote, di
navigazione deserta e snervante, di lunghi agguati, di interminabili attese." è
significativo che Rizzo, nel citato scritto del '27, riporti quest'articolo e lo
definisca "bellissimo", evidentemente perché esso, in antitesi alle esaltazioni
del gesto estemporaneo di audacia e "raziocinante follia", valorizza la serietà
e il sacrificio oscuro del lungo, paziente, meticoloso lavoro di preparazione.
Anche a proposito di Premuda, Manfroni enfatizza il ruolo degli alti Comandi
di Venezia e di Ancona, ma con strane incongruenze: per esempio, volendo sottolineare
la cura con cui essi prepararono le azioni, ricorda che avevano "espressamente raccomandato
di abbandonare l'impresa qualora si fossero avvistati velivoli o navi nemiche che
non si potessero attaccare", trascurando il fatto che, se Rizzo si fosse attenuto
a questo prudente avvertimento (come, per fortuna, non si sognò di fare), a Premuda
non sarebbe successo nulla, considerato che i due Mas attaccarono in mare aperto
addirittura una squadra composta da due corazzate e una decina di unità leggere.
Infine, nel descrivere l'avvistamento della Szent Istvan, commenta: "E qui
entra in azione l'elemento fortuna, o caso che dir si voglia."
A questo, che ci appare come il tentativo di un esponente dell'alta burocrazia militare di sminuire il significato dell'impresa di un outsider che era entrato in Marina come ufficiale di complemento, Rizzo, qualche anno dopo, nel suo opuscolo sull'azione di Premuda, replicherà, indirettamente ed elegantemente, riportando il passo di Davanzati citato sopra, per ricordare che quel "caso o fortuna" era figlio di centinaia di "crociere vuote, di navigazione deserta e snervante, di lunghi agguati e interminabili attese".
Un
altro ammiraglio, Ettore Bravetta, pubblica nel '25 un'altra ricostruzione storica
della "grande guerra sul mare"[18]
in cui su Rizzo è riportato un ampio brano delle memorie di Alberto Pucci, che era
stato segretario al Comando della Difesa marittima di Grado. Poi. qualche anno dopo,
nel '29, si cimenta, con abbondanza di rutilanti dannunzianismi, nella ricostruzione
delle "audaci imprese dei Mas",
[19] che
definisce "rapidi e rapaci mostri grigi dal rombo di tempesta" che piombano come
"falchi famelici sulla preda agognata", mentre sommerge il siluro in un mare di
aggettivi: "diritto, dorato, testardo, capriccioso, beffardo, veloce, sprezzante".
Rizzo qui è tutt'altro che sottovalutato, anzi, se v'è eccesso, è in senso opposto,
e cioè nella mancanza di controllo, e talora di realismo: è corretto raffigurarlo
come "maestro di agguati" o descriverlo mentre si staglia "nell'alba grigia e brumosa
di novembre, oppure sulla prua del mas scruta con il suo occhio sagace di marinaio
sicuro", ma è del tutto inverosimile un Rizzo che "ride in faccia a un
nemico il suo chiaro riso di uomo sempre soddisfatto"
[20] o
si rammarica di non avere potuto "scambiare qualche complimento e magari qualche
cazzotto con i guardiani" della diga del Vallone di Muggia.
[21]Si arriva addirittura al
grottesco quando si descrive l'avvistamento della potente flotta austriaca nella
notte di Premuda: "C'era o da morire di paura o da morire di gioia a seconda
degli eccessi di temperamento. Con perfetto equilibrio italiano Rizzo e i suoi
mirabili compagni non morirono, ma vissero e si disposero ad operare con
perfetta calma."[22]
Infine, per conferire al ritratto un rude colore marinaresco, non esita a ricorrere
a qualche espressione forte: riferendo di quel francese che aveva attribuito la
vittoria di Premuda al "capitaine de corvette Louis de Milazzo", Bravetta
avanza l'ipotesi che Rizzo lo abbia gratificato di quella che lui definisce "una
espressiva e salace interiezione napoletana".[23]
In occasione del decennale della prima incursione notturna sulla grande diga foranea del Vallone di Muggia, viene pubblicato a Trieste un fascicolo [24], che contiene, fra l'altro, due scritti di gradesi. Il primo è quello del poeta Biagio Marin,[25] che ci dà un ritratto di estrema vivezza di Rizzo, comandante a Grado della squadriglia di Mas dal 1915 ai primi del '17: "Benché giovane, aveva un volto di persona matura e i capelli brizzolati di argento...col berretto un po' all'orza, la mantellina grigioverde, un po' traversa, il camminare sbilenco e bilanciante dei nostri marinai. A Grado lo chiamavano il capitano Rizzo. La gente marinara riconosceva il lui consanguineo, l'uomo di mare, bonario ed energico, rude e pieno di delicata sensibilità." Pur pagando lo scotto alla retorica del tempo (ricorrono espressioni come " razza di garibaldino, bella razza italica che non perirà mai"), di Rizzo si sottolinea giustamente l'umana cordialità e la frenetica operosità, "il gran coraggio e la disinvoltura nel pericolo, la bravura di marinaio esperto".
francobolli che raffigurano Luigi Rizzo
Il secondo profilo, quello tracciato dall'ex sindaco di Grado, Giovanni Marchesini,[26] è più formale, quasi una scheda personale di note caratteristiche: "Intelligentissimo, sapeva provvedere a tutto con saggio criterio, e instancabile attività. Sereno, calmo, riflessivo traluceva dagli occhi lo spirito di ardimento e la ferrea volontà di osare di cui dava prova ogni giorno."
Più significativo ed affettuoso, è il ritratto che di Rizzo disegna il suo comandante
di Grado, Alfredo Dentice di Frasso,[27]
colui che lo mise, prima, a capo dei Mas e, poi, ritrovandolo alla fine della guerra,
alla Direzione traffico del porto di Trieste. Dentice dice: "Compresi subito che
era antiburocratico come me, che non era fatto per la stasi, per questo gli affidai
nel maggio del -16 il comando della Squadriglia Mas", e, per dare la misura dell'impegno
fattivo e dell'attivismo frenetico di Rizzo, aggiunge che dalla nomina "non erano
passate quarantott'ore e Rizzo eseguiva già la sua prima missione al Vallone di
Muggia. A notte fonda, con l'immancabile sigaretta -fumava nascondendo la testa
sotto il cappello cerato del marinaio nato- attraccò alla diga foranea" (da
cui staccò due pietre per donarle all'ammiraglio Thaon de Revel, come promessa di
altre incursioni).Seguono alcuni vivaci quadretti. Una volta, dopo una notte di
combattimento sul mare, "ai primi albori Rizzo tornò a Grado con la faccia salmastra
e gli occhi lucenti, tutto sorridente, con l'immancabile sigaretta fra le labbra,
e mi disse: Comandante, ha sentito la sparatoria?" Un'altra volta, Rizzo era
uscito in mare in appoggio ad alcuni aerei e gli idrovolanti austriaci avevano sganciato
numerose bombe sui Mas. Da Grado, vedendo da lontano alzarsi le colonne d'acqua,
li credettero perduti, ma Rizzo rientrò con i tutti i suoi senza alcun danno, portando
al suo comandante un bellissimo dentice che una bomba aveva fatto schizzare a bordo,
e dicendo: "Ecco l'unica vittima della sparatoria". Il pesce, legato con un nastro
tricolore e con questa presentazione, fu inviato al duca d'Aosta.
Se si considera che l'opuscolo è stato pubblicato in occasione dell'anniversario dell'azione di Premuda e in piena età di retorica fascista, si apprezza ancor meglio il significato delle espressioni riportate. Certo, non si può nascondere che anch'esso paga lo scotto allo "spirito del tempo", alle necessità politiche e, perfino, all'icona simbolica che dell'impresa era stata subito disegnata dalla pubblicistica e dalla fantasia popolare. In apertura ci sono i versi dannunziani "Emerge dalle sacre acque di Lissa / un capo e dalla bocca esangue scaglia -Ricordati! Ricordati! e s'abissa" e la significativa dedica "alla memoria di mio zio Giovanni Rizzo, morto nelle acque di Lissa il 20 luglio 1866" ). Segue la foto di Thaon de Revel con due sue frasi sul ruolo che avrebbero dovuto avere i Mas, Infine, la riproposizione di pagine di D'Annunzio e (nell'ordine) dell'articolo "Osare" di Mussolini, verso il quale Rizzo -chiamandolo "S. E. Mussolini"- usa sobrie parole di apprezzamento per "l'abituale chiarezza e precisione" e di gratitudine per la "simpatia e benevolenza" sempre dimostrategli. Ma la chiave per intendere lo spirito con cui Rizzo si pone davanti al significato della sua impresa di nove anni prima e alla realtà degli anni in cui scrive, ci pare stia nella frase finale della Premessa: "Pubblicando queste pagine il mio pensiero si rivolge a tutti i nostri Morti in guerra, mentre un fervido augurio parte dal mio cuore: che superati alfine contrasti e dissidi nocivi, un sentimento di fraterna solidarietà ci avvinca sempre, o Combattenti, per ritrovarci, con unica volontà di vittoria, ogni volta che Italia chiamasse."[30]
Negli scritti degli Anni Trenta si consolida, com'è ovvio, questo
concentrarsi dell'attenzione sulla figura di Luigi Rizzo, e sulla sua storia personale
oltre che sulla sua impresa: escono le prime due biografie dell'Eroe, quella di
Pucci-Marcuzzi e quella di Guido Po. Esse sono precedute da due scritti che, per
la loro diversità, appaiono complementari: l'uno, infatti, disegna un profilo
colorito e simpatico dell'uomo, l'altro abbozza un'analisi del significato militare
delle sue imprese.
A questo elogio della gloria "tipicamente italiana" di Rizzo -di cui esalta "non
solo il coraggio ma l'abilità superlativa con cui ha saputo condurre i suoi attacchi"-
si accompagna una critica esplicita a quella che chiama la "condotta prudente del
nostro Stato maggiore navale", che non aveva mai applicato il piano di guerra presentato
nel 1915 dall'ammiraglio Bettolo (da lui ritenuto l'unico "grande stratega navale"
italiano, e stimato tale, e temuto, dallo stesso ammiragliato austriaco) costringendo
così a "un ben duro compito le nostre siluranti, prive della protezione
delle corazzate e degli incrociatori, distanti molte centinaia di chilometri"
La seconda biografia di Rizzo viene pubblicata nel 1940: l'autore è il comandante Guido Po, la collana " La Centuria di ferro", il titolo "Rizzo l'Affondatore", l'epigrafe la frase della "Beffa di Buccari" che contiene l'appellativo dannunziano da cui resterà connotata sempre la figura di Rizzo. [37] Il "montaggio" del racconto è originale. Si apre a Venezia, il giorno dopo l'azione di Premuda, mentre si festeggia Rizzo che sta raccontandola con vivacità e brio: "Eccolo fra noi, semplice e cordiale come sempre, quasi ignaro che la sua persona è oggetto di ammirazione e di curiosità: a sentir lui tutto è stato così logico, così intuitivo che tutti al suo posto avrebbero fatto stesso... ci divertiamo alle sue risposte pronte, vivaci, condite con qualche motto che risente della nativa isola".[38] Poi arriva Thaon de Revel, e si va a pranzo.Ed ecco il primo flash-back. Si racconta di Rizzo a Grado, poi dell'impresa di Trieste e di quella di Premuda: la ricostruzione della preparazione e l'analisi delle conseguenze militari, politiche, psicologiche, prevalgono sulla descrizione del momento dell'affondamento. Quindi, bruscamente si fa un salto all'indietro, alla fanciullezza a Milazzo, ed ecco la prima descrizione realistica della città, del verde promontorio dal quale il piccolo Rizzo aveva cominciato a guardare il mare, e della famiglia di cui aveva assorbito la tradizione patriottica. Infine si torna di nuovo a Grado, al soccorso prestato da Rizzo all'aereo di D'Annunzio, ammarato fortunosamente con un impatto che al poeta costò la perdita della vista da un occhio, al matrimonio sotto le bombe austriache e alle successive incursioni nella laguna, con cui si conclude il racconto.A questo punto diventa difficile dire se si tratti di un abile montaggio che rompe con i salti cronologici la monotonia del solito schema, o non se non ci sia piuttosto un po' di disordine nella narrazione. Rimane, comunque, il fatto che, mentre quella di Pucci e Marcuzzi era soprattutto una silloge di testi, questa si presenta come una vera e propria biografia, anche se non esplora -come la precedente- tutta intera l'attività di Rizzo, forse a causa del carattere stesso della collana che impone di concentrare l'attenzione sulle sole vicende militari.
L'opera di Guido Po viene stampata mentre l'Italia è già in guerra da un
mese: una guerra durante la quale a Luigi Rizzo non sarà assegnato alcun ruolo significativo,
né si darà ascolto alle sue indicazioni sul modo di impostare la difesa delle navi
nei porti e l'offensiva in mare aperto, di cui lo sviluppo degli eventi mostrerà
la lungimiranza. In quegli anni non c'è più nessuna pubblicazione che lo riguardi.
Invece, nel '44, sarà lo stesso Rizzo, dopo la morte del figlio Giorgio (caduto
all'isola d'Elba durante un bombardamento nei giorni successivi all'8 settembre,
mentre tentava di portare il suo MAS fuori dalla zona occupata dai tedeschi) a pubblicare
per i familiari e gli amici un volumetto, Ignis de Igne, per "onorare
la Sua memoria e per
un bisogno di trovar balsamo attraverso il tormento della rievocazione".Seguiranno
per Rizzo anni di amarezze e di solitudine: dapprima, l'arresto durante l'occupazione
tedesca per aver difeso i Cantieri triestini e i loro lavoratori, la prigionia e
il confino in Austria; quindi, dopo la guerra, il procedimento davanti alla Commissione
per l'epurazione, concluso con il pieno proscioglimento e il riconoscimento da parte
della Marina militare di un comportamento "conforme alle leggi dell'onore". Ma resteranno
la perdita delle cariche, l'isolamento, l'oblio: un solo articolo di giornale in
occasione del trentennale di Premuda,[39]
e poi più nulla. Fino all'estate del 1951, quando la morte fa riscoprire a
tutta la stampa la figura dell'Affondatore.[40]
Un
nuovo interesse è ridestato dal varo, avvenuto il 6 marzo
1960 a Castellammare,
di una fregata di 1500 t. cui viene dato il nome di Luigi Rizzo (e della quale
è madrina la figlia dell'Eroe)[47]
e, poi, dalla consegna della bandiera di combattimento, il 1° aprile 1962,[48]
a Milazzo. Il sindaco dell'epoca, Santi Recupero, organizza solenni cerimonie, aperte,
la mattina del 31 marzo, nel teatro cittadino, dalla "proiezione di un cortometraggio
sull'affondamento della Santo Stefano" e dalla conferenza di un magistrato, dotato
di profondi interessi storici e che aveva avuto una lunga e intensa familiarità
con Luigi Rizzo, Ruggero D'Ondes.
Il fatto che il clima politico e culturale fosse da venti anni radicalmente cambiato
rispetto al tempo dell'ultima precedente biografia, che Rizzo fosse scomparso da
quindici, e che, tuttavia, nulla più fosse stato pubblicato sulla sua figura e sul
significato storico delle sue imprese, richiedeva un'opera con obiettivi, taglio
e tono nuovi e diversi rispetto a tutti gli scritti precedenti: alla celebrazione
doveva subentrare la ricerca della documentazione, l'analisi, lo sforzo di comprensione;
dall'esaltazione dell'Eroe, spesso intrise di una retorica comprensibile, considerato
l'alone leggendario che circondava l'Eroe di Premuda, oltre che il clima storico
degli anni in cui essi nascevano, ma molto lontana dalla sua personalità schietta
e venata di bonaria ironia, si doveva passare al ritratto dell'Uomo.
Luigi Rizzo al Centro e gli eroi dei MAS 15 e 21
La verità è che questa nuova biografia dell'Affondatore della Wien e della
Szent Istvan, in cui si narrano folgoranti azioni di guerra, è, in realtà, un libro
di pace: la chiave interpretativa sta nella frase in cui Rizzo viene definito un
"uomo che odiava la guerra".[52]
L'espressione potrà sembrare un paradosso o uno scadimento nella retorica del pacifismo
(perché esiste anche questa), ma bisogna ricordare non solo tutta la lunga vita
di dirigente industriale e organizzatore della produzione che seguì i due folgoranti
anni di guerra, ma soprattutto l'intervista rilasciata, una dozzina d'anni dopo,
dalla moglie di Luigi Rizzo[53]
e che dal periodico venne titolata proprio con queste sue parole: "Era nato
soldato, ma odiava la guerra".
Se la biografia curata da Pucci e Marcuzzi era essenzialmente un collage di testi, e quella di Guido Po aveva valore diseguale e mancava di linearità e organicità, quella di D'Ondes è la prima vera biografia, ordinata e fondata su una documentazione di cui puntualmente si dà conto in nota, e in cui i documenti vengono non solo trascritti ma interpretati e collocati criticamente nel contesto. C'erano da raccontare gli ultimi undici anni di Rizzo, dal '40 alla morte, anni tristi e difficili, poco "documentati", mai ricostruiti prima. Nessuno avrebbe potuto farlo meglio di D'Ondes, che, per la sua lunga familiarità con l'Eroe, cui era anche legato da parentela, poteva disporre dei suoi ricordi personali, delle testimonianze della famiglia, dei documenti da essa conservati (toccanti le "lettere dal carcere"), per restituirci la memoria di quelle vicende amare, oltre che l'immagine di Rizzo giovane o di Rizzo manager, costruendo così un ritratto completo.D'Ondes, dunque, per la prima volta illumina diversi aspetti della personalità di Rizzo ancora inesplorati, come quelli che emergono dalla partecipazione alla vicenda fiumana,[55] o dall'attività di dirigente e manager, a Genova (alla "Garibaldi" e alla Federazione dei lavoratori del mare")[56], e poi a Trieste (al Lloyd e ai Cantieri Riuniti)[57]. Per la prima volta vengono indagate le posizioni politiche di Rizzo dalla fine della guerra alla drammatica crisi che porterà al fascismo: le ragioni patriottiche della sua collaborazione con l'amico D'Annunzio a Fiume e della successiva rottura politica;[58] gli articoli sulla questione adriatica[59] in cui esprime giudizi consonanti con la posizione dei democratici e rivela la modernità della sua visione sulla politica navale[60]; il suo programma di sfortunato candidato alle elezioni del -21[61]; la sua estraneità al fascismo in ascesa e il suo allontanamento dalla Federazione marinara in opposizione all'alleanza di essa col fascismo stesso[62]. è vero che manca un'indagine sul successivo atteggiamento di accettazione degli onori che il regime ormai trionfante gli tributa, ma, per la prima volta, viene ricostruito il contrasto coi tedeschi che occupano Trieste dopo l'8 settembre,[63] e viene raccontato l'arresto da parte dei nazisti, e la prigionia a Klagenfurt e a Hirscheg: una dozzina di pagine, di cui la metà è riempita dalle inedite lettere, dignitose e umanissime, ai familiari.
In conclusione, un'opera che, pur senza alcuna intrusione indiscreta nella dimensione privata -con un pudore e un rispetto che rendono, non reticente o lacunoso, ma sobrio e controllato, il racconto- ci consegna un profilo psicologico che ha il timbro dell'autenticità. L'autore, come non si è lasciato andare alla deriva della memoria, così non si è fatto prendere dalla commozione: non che questa manchi, ma è sempre tradotta nell'icasticità di un'immagine o nell'oggettività di un racconto o -come d'altronde lo stesso Rizzo aveva fatto nella sua descrizione dell'impresa di Premuda- celata sotto la citazione di parole di terzi. Sta in questo spirito, oltre che nella qualità della scrittura, la valenza letteraria dell'opera: esso anima le pagine sulla notte di Premuda o sul dolore per la morte del figlio, la descrizione dell'intervento operatorio (affidata alle parole del chirurgo, un altro antico Affondatore, Paolucci, il quale racconta la sua emozione quando, aprendo quel povero torace malato, vede sotto i suoi occhi pulsare il cuore che non aveva tremato a Premuda), l'immagine dolente dell'anonima vecchia, che, come se volesse rappresentare le madri di tutti i marinai morti sul mare, accompagna l'Ammiraglio morto nel suo viaggio verso il colle più silenzioso della sua città.
Nel '68, il milazzese Antonino Micale, in un'opera
[65] che
comprende le biografie dei suoi concittadini illustri, traccia un profilo di Rizzo
che, nell'economia del lavoro, è uno dei più lunghi e accurati. Pur nella necessaria
essenzialità imposta dal carattere della pubblicazione, il profilo è preciso, documentato,
aggiornato: certamente molto più che una scheda biografica.
Ci sembra particolarmente significativo che questo nuovo scandaglio, operato in un'ottica diversa e fondato sull'utilizzazione di nuovi documenti, confermi, a distanza di parecchi decenni, il profilo tracciato da D'Ondes: lo storico che ha lavorato solo sui documenti approda alla stessa definizione della figura di Rizzo data dal biografo che aveva avuto una lunga consuetudine di vita con l'oggetto della sua ricerca. E questo ci consente di concludere che ormai possiamo considerare definitivamente acquisita alla "verità storica" questa immagine, dopo le raffiche di retorica degli anni successivi alle imprese del 1917-18.
Sorprende, perciò, che il prefatore, Alessandro Valentini, definisca la l'opera di Andriola la "prima biografia di Rizzo",[74] e che lo stesso autore si domandi come mai si sia dovuto attendere la sua opera per avere "una seria e documentata biografia di Rizzo".[75] Se quella di D'Ondes non fosse un'opera "seria e documentata", come si spiegherebbero le significative consonanze sopra indicate, e, soprattutto, come si giustificherebbero le continue e puntuali citazioni di essa che Andriola riporta in nota? Ma questo è il piccolo neo di un lavoro pregevole. Quel che ci sembra importante che la Marina militare italiana abbia finalmente promosso la pubblicazione di un'opera documentata che, senza esasperazioni retoriche, ma con sobrietà e realismo, rende per intero il dovuto onore all'uomo che più di tutti la illustrò nel secolo XX.
[1] Esiste però -in appendice alla biografia Luigi Rizzo, l'Affondatore, di Ruggero D'Ondes, ristampata nel 2001 dal Comune di Milazzo- un elenco, curato da Girolamo Fuduli, di tutte le pubblicazioni apparse in Italia.
[2] Un nostro valoroso, L'Avvenire di Milazzo, 10-11 febbraio 1917
[3] I nostri eroi, L'Avvenire di Milazzo, 15-16 dicembre 1917
[4] La Domenica del Corriere, 23-30 dicembre 1917
[5] L. Rocci, Luigi Rizzo, ed. Dante Alighieri, Milano, 1918
[6] La Domenica del Corriere, 23-30 giugno 1918
[7] G.A. Cesareo, L'Eroe di Premuda, L'Ora, 28 luglio 1918
[8] M. Maffi, Come Luigi Rizzo silurò la "Viribus Unitis" (sic) nelle acque dalmate, La Tribuna , 16 giugno 1918
[9] Il Giornale d'Italia, 15 giugno 1918
[10] L. Rizzo, L'affondamento della Santo Stefano, Trieste, 1927
[11] Tutti i versi che saranno citati sono tratti da Luigi Rizzo, ultimo mito popolare del Risorgimento a cura di Girolamo Fuduli, in appendice alla citata ristampa di Luigi Rizzo l'Affondatore,+ dove sono riportati integralmente
[12] Gabriele D'Annunzio, Tutte le opere, Milano 1939 e segg.
[13] Testo della pergamena offerta a Rizzo, con una medaglia d'oro, dalla Città di Milazzo dopo l'impresa di Premuda.
[14] Gabriele D'Annunzio, La Beffa di Buccari, op.cit., Milano 1939 e segg.
[15] B. Mussolini, Osare!, Il Popolo d'Italia, 13 giugno 1918
[16] Roberto Forges Davanzati, L'idea Nazionale, 13 giugno 1913
[17] Maffio Maffi, Italia Marinara (rivista della Lega Navale Italiana), luglio 1923
[18] E. Bravetta, La grande guerra sul mare, Milano 1925
[19] E. Bravetta, Le audaci imprese dei Mas, Roma 1929. p.
[20] op. cit., p. 60
[21] op. cit., p. 75
[22] op. cit., p. 154
[23] op. cit., p. 165
[24] "In onore di Luigi Rizzo", Trieste 1926
[25] ibid., ripubblicato in C. Medeot, Grado 1914-1919 ,Udine 1980, pp. 161-163
[26] ibid., pp, 163-65.
[27] Luigi Rizzo nei ricordi dell'ammiraglio Dentice di Frasso, "Il Popolo d'Italia", 12 dicembre 1926; Il comandante Luigi Rizzo nei ricordi dell'ammiraglio Dentice di Frasso, Il Piccolo, 12 dicembre 1928; Rizzo a Grado nei ricordi del suo comandante in C. Medeot, op. cit., pp.137-142
[28] "Giovinezza eroica. Il Comandante Rizzo nei ricordi di un coetaneo" in "Luigi Rizzo l'Affondatore" Trieste, 12 dicembre 1926, p. 15
[29] L. Rizzo, L'affondamento della Santo Stefano, Trieste 1927, premessa.
[30] Ibid.
[31] Edmondo Turci, Ricordi di un marinaio motorista, Roma 1934
[32] Guido Re Riccardi, Rizzo e l'Adriatico, in "Memento audere sempre", Istituto Nautico, Messina, 1938, pp. 39-43
[33] A. Pucci e E. Marcuzzi, Luigi Rizzo, Bologna 1938, pp. 5-6
[34] op. cit., p.7
[35] op. cit., p. 119-133
[36] op. cit., p.118
[37] G. Po, Rizzo l'Affondatore, Milano, 1940
[38] op. cit., p. 10-14
[39] A. Da Zara, La vittoria di Premuda, Il Tempo, 12 luglio 1948
[40] E' morto Luigi Rizzo due volte medaglie d'oro, Giornale di Sicilia, 28 giugno 1951; L'ammiraglio Luigi Rizzo è morto ieri a Roma, Il Messaggero, 28 giugno 1951; L'Ammiraglio Luigi Rizzo è morto ieri a Roma, Il Tempo, 28 giugno 1951; E' morto Luigi Rizzo l'eroe di Buccari e di Premuda, Corriere del Popolo, 28 giugno 1951; Il colpo di Premuda, Il Mattino, 30 giugno 1951; Milazzo si prepara ad accogliere la salma del comandante Rizzo, Giornale di Sicilia, 30 giugno 1951; Vecchi ammiragli in borghese si ritrovano per l'ultima volta con l'eroe di Premuda, Corriere della Sera, 1 luglio 1951; L'affondatore è tornato. Per sempre, Giornale di Sicilia (Palermo), 2 luglio 1951; Atti parlamentari del 3 luglio 1951, Roma, Tip. del Senato; A Premuda improvvisò un'altra epica gesta, Giornale di Sicilia, 3 luglio 1951; Luigi Rizzo, L'Arena di Pola (Gorizia), 4 luglio 1951; Nel cielo luminoso degli Eroi Luigi Rizzo l' "affondatore", L'Italia d'Oggi, 4 luglio 1951; Luigi Rizzo. Corriere Militare (Roma), 21 luglio 1951; E' morto l'affondatore Luigi Rizzo - Due siluri nella "S:Stefano", La Domenica del Corriere (Milano) 8 luglio 1951; Luigi Rizzo, Corriere Militare (Roma), 21 luglio 1951; Due volte col siluro fece mattanza, Grazia n. 542, 1951.
[41] Un anno dalla morte di Luigi Rizzo. Il Notiziario di Messina e delle Calabrie, 27 giugno 1952
[42] S. Recupero, Nella città di Milazzo un monumento a Luigi Rizzo, Stampasud 1/3 1955; e Il Giornale d'Italia, 27 febbraio 1955
[44] Giornale di Sicilia 19 giugno 1957; Gazzetta del Sud, 10 giugno 1958; Giornale di Sicilia, 10 giugno 1958; La Tribuna del Mezzogiorno, 11 giugno 1958; Gazzetta del Sud, 7 agosto 1958; La Tribuna del Mezzogiorno, 7 agosto 1958; Il Giornale d'Italia, 3 novembre 1958; Giornale di Sicilia, 4 novembre 1958
[45] Completata la commissione per il monumento a L. Rizzo, La Gazzetta del Sud, 10 aprile 1959; Milazzo ancora attende il monumento a Luigi Rizzo, Ivi, 18 ottobre 1959
[47] La Tribuna del Mezzogiorno, 6 e 7 marzo 1960; Gazzetta del Sud (Messina), 7 marzo 1960; Gazzetta del Mezzogiorno, 7 marzo 1960
[48] La Giustizia ,1 aprile 1962; La Tribuna del Mezzogiorno, 2 aprile 1962; Giornale di Sicilia, 5 aprile 1962
[49] La Tribuna del Mezzogiorno 3, 5, 12, 15 gennaio 1963; I Vespri d'Italia, gennaio 1963; Gazzetta del Sud,7 febbraio 1963
[50] F. Andriola, Luigi Rizzo, Ufficio storico della Marina, Roma, 2000, p. 8
[51] D'Ondes, op. cit., p. 19
[52] ibid,
[53] Historia, marzo 1977, pp. 104-109
[54] D'Ondes in un altro suo libro, "Uomini e sabbia" (Ed. Spes, Milazzo, 1985), aveva descritto, con accenti scevri da ogni retorica ma con la rattenuta commozione di un animo turbato dal ricordo di tanti caduti, la sua esperienza di ufficiale (decorato con medaglia d'argento al valor militare) della divisione "Ariete", in Libia, durante la seconda guerra mondiale. "Nitore di stile e pietas cristiana -è scritto nella presentazione del libro- trasfigurano queste -cronache di guerra' in un libro di meditazione, in un'accorata esortazione alla Pace".
[55] op, cit., pp.125-187
[56] op, cit., pp. 187-209
[57] op, cit., pp. 213-224
[58] op, cit., pp. 175 e segg.
[59] op cit., pp. 195-96
[60] op. cit., pp. 196-97
[61] op. cit., pp.190
[62] op. cit., pp. 191-92
[63] op. cit., pp. 220 e segg.
[64] op. cit., pp. 225 e segg.
[65] A. Micale, Milazzo nella storia, Milazzo 1968
[66] Historia, marzo 1977, pp. 104-109
[67] Una conferma viene da un pensiero "privato" di Rizzo ricordato dalla figlia in un'intervista: "Maledetta la guerra...quando penso ai fratelli austriaci che ho dovuto uccidere per difendere la mia patria, vorrei sprofondare e sento tutto il ribrezzo di essere uomo." (G. Billè, Un antieroe del nostro tempo, La voce di Milazzo, agosto 1987)
[68] Per Luigi Rizzo, nel I centenario della nascita, Milazzo 1987
[69]
Ignis de Igne, Trieste 1944
[70] op.cit., p. XXI
[71] G. Iacono, Luigi Rizzo di Mylae, l'uomo, l'eroe, il mito, Roma, 1987
[72] op.cit., p. 37
[73] op.cit., p.9
[74] op.cit., p. 5