Manuale del perfetto sposino

( Da leggere insieme, ovviamente)

Premessa

Love’s bugs, cioè “ i bachi dell’amore”, ossia gli errori della coppia, ovvero: “tutto quello che dovete sapere sull’amore e sull’intimità della coppia e non avete mai osato chiedere alla mamma ed alla suocera!”. Elsa è un’amica che fa un lavoro molto bello e molto impegnativo: consulente coniugale e familiare; è una psicologa, ha un’ampia esperienza e della sua esperienza parla. Ci dice alcune cose con una particolarità: unisce la psicologia e la fede perché l’una e l’altra non hanno nulla in contrario, anzi nel Vangelo troviamo - dice - tanti spunti che, sviluppati, portano a comprendere meglio alcuni meccanismi psicologici, quali siano gli atteggiamenti da assumere in alcune situazioni di difficoltà in cui possiamo trovarci. Pertanto cedo la parola ad Elsa che ci parlerà ci sfoglierà alcune margherite. Ha scritto con Enzo Bigi, suo marito, il libro “Le margherite nella vita di coppia” per darci degli spunti di riflessione personale, quindi per comprendere i nostri comportamenti personali, non quelli del vicino, neanche quelli del nostro coniuge, ma proprio i nostri personali, per migliorare la comunicazione di coppia.

 

Sfoglieremo le margherite nel senso che sono fiori molto semplici, molto comuni che nessuno guarda mai, sono un po’ come il simbolo delle cose che succedono nella vita della nostra coppia, che sono proprio le cose più semplici che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni e ci permettiamo di non vedere, di dimenticare; quindi le margheritine saranno tredici. La premessa è che ogni margheritina delle tredici che vi dirò che sono il simbolo di queste dinamiche nella vita di coppia, ha una pagina corrispondente del Vangelo che dice la stessa cosa proprio perché Vangelo e psicologia si integrano e non sono mai in contraddizione; poi può capitare, mentre io parlo, che qualcuno pensi: “Ma secondo me non è così, io non la vedo cosi come dice lei; il fatto che non vediate le cose come dico io non significa che non siano così, significa che voi non riuscite a vedere le cose come le vedo io, così ho già sistemato tutti, nel senso che quello che vi dico viene proprio da questa esperienza di lavoro con le coppie quindi vi dico la realtà; poi alcune realtà si fa fatica a vederle però non è detto che non siano così.
1. La responsabilità condivisa.
Allora cominciamo dalla prima margheritina: una parola che non dovremo mai pronunciare nella nostra vita di coppia. Ce n’è un’altra che non dovremo mai pronunciare ed è la decima margherita. Questa parola che non dobbiamo mai pronunciare, in realtà è quella che usiamo di più, da Adamo ed Eva in poi è la parola più usata dall’umanità ed è la parola “colpa”. Per cui quando succede qualcosa in una coppia viene sempre fuori “è colpa tua”, magari non si usa la parola ma si sottintende: “se tu fossi diversa, se tu fossi diverso ecc.”.Quello che succede in una coppia non può essere considerato una colpa; sarebbe una colpa se uno lo facesse apposta, cioè uno si sveglia alla mattina e dice: “Aspetta che oggi faccio un po’ del male a mio marito, a mia moglie, ai miei figli”; nessuno di noi apposta farebbe mai del male agli altri, quindi non possiamo parlare di colpa. Se seguite qualche processo sappiamo che il codice penale prevede la riduzione della pena o addirittura la sospensione della pena, se la persona che ha commesso il reato l’ha commesso ma non era in piena coscienza; noi nel matrimonio ci troviamo nella stessa situazione: non siamo nella piena consapevolezza di quello che ci succede. Anche la Chiesa ci ricorda le stesse cose: noi commettiamo tanti peccatucci ma una colpa grave è difficile da commettere ; perché ci sia una colpa grave vi ricordate sicuramente dal catechismo che ci vogliono tre cose: che si tratti di materia grave. Quindi non parliamo di sciocchezze, che ci sia la piena avvertenza, cioè la piena consapevolezza e il deliberato consenso, cioè bisogna proprio, come dicevo prima, che uno si metta lì e dica: “Io so benissimo che questo è male ma decido coscientemente e lucidamente di farlo lo stesso”.E’ ovvio che queste cose non succedono nella coppia; ci facciamo del male ma non ce ne rendiamo conto quindi dicevo non possiamo parlare di colpa. C'è però questo però. E se capiamo il però credo che almeno un buon settanta per cento dei litigi di coppia se ne va perché quasi tutti i litigi sono basati sul fatto che uno dà sempre la colpa all’altro. Qual’é questo però? Che tutto quello che succede in una coppia succede col contributo di tutti e due, cinquanta per cento ciascuno, anche se a noi non sembra, ma c’è sempre il cinquanta per cento di ciascuno, metà e metà. Facciamo qualche esempio. Ci sono delle mogli che si lamentano e dicono :”Devo fare tutto io, in questa casa mio marito non fa mai niente, quindi è colpa sua “. Ma in realtà se fai tutto tu, come fa tuo marito a fare qualcosa? Se fai tutto non gli lasci spazio, e sono quelle mogli che se una sera il marito osa dire: “Aspetta che questa cosa te la faccio io”, la moglie dice: “Spostati che io sono più svelta di te”. Parlo sempre al femminile ma è sottinteso per ovvie ragioni che lo stesso discorso vale al maschile. Se mio marito ha un difetto io dico che è lui che ha quel difetto lì, però se ho capito questa prima margheritina devo invece chiedermi qual è il mio cinquanta per cento che sostiene il difetto di mio marito? Perché può anche darsi che con un’altra donna, con un’altra moglie non avrebbe avuto quel difetto lì; ce l’ha con me quindi ci sono dentro anch’io e di solito ce la prendiamo tanto col difetto dell’altro perché ci sta dicendo, come uno specchio, che quel difetto ce l’abbiamo proprio esattamente anche noi solo che si esprime in un modo diverso, ma se ci dà tanto fastidio il difetto del marito o della moglie è perché quel difetto ce l’abbiamo anche noi se no non ci darebbe tanto fastidio. Quindi ce la prendiamo con un altro perché ci fa da specchio e ci dice: “Guarda che sei così anche tu” allora combattiamo lui perché non vogliamo che ci dica queste cose ( a livello inconscio, non sono consapevole di queste cose). Ci sono quasi tutte le mogli che si lamentano perché i mariti con loro non parlano, poi però le mogli si inquietano anche perché vedono che il marito con gli amici al bar parla poi viene a casa e con la moglie non parla e la moglie dice: “E’ colpa sua, io vorrei parlare” però se ci badate bene è con te che non parla, con gli altri parla, ci sarai dentro anche tu in qualche modo; quale è il tuo cinquanta per cento che sostiene il non parlare di tuo marito? C’è anche un esempio che ha a che fare con le malattie; di solito, secondo le statistiche, sono le mogli che sono le più esaurite, depresse. Di fronte alla moglie depressa, il marito cosa dice? “Guarda che devi andare dal dottore a farti curare che sei ammalata tu”. Questa moglie potrà andare in cura per tutta la vita ma difficilmente guarirà. Il marito invece che ha capito questa prima margherita, può dire alla moglie depressa. “Io so che con questa malattia stai urlando qualcosa a me solo che io non riesco bene a capire quello che stai dicendo” perché la malattia è un modo di urlare qualcosa all’altra persona; “dimmelo in un altro modo”; il marito potrebbe anche dire: “Sei ammalata tu però è anche un problema mio” meglio ancora se il marito dice: “E’ un problema nostro per cui andiamo tutti e due a farci curare”. In terapia ci deve sempre andare la coppia, di qualunque problema si tratti, perché il problema di uno è sempre il problema di tutti due, solo che uno dei due se lo addossa all’interno della coppia e lo urla per tutti e due quindi in terapia bisogna sempre andare insieme perché il problema è di tutti due. Se io curo soltanto la moglie depressa, cosa che cerco di non fare mai, perché non posso tagliare a metà una mela e curare solo metà mela, l’altra metà si dice è fatta della stessa pasta, quindi bisogna curare tutti e due, bisogna curare la coppia. Ma ammettiamo che io riesca a guarire quella moglie lì, che viene da sola perché il marito non è disponibile, io sono sicura che dopo un anno, massimo due anni, arriva anche il marito, stavolta ammalato lui o di depressione o di crisi d’ansia o di qualcos’altro, perché la moglie guarendo ha rispedito al marito il suo cinquanta per cento che adesso esprime lui; cioè non è la moglie depressa, sono depressi tutti due, è depressa la coppia solo che il marito ha ceduto alla moglie il suo cinquanta per cento di depressione che esprime lei per tutti due. Infatti dico sempre come battuta: "I mariti delle depresse sono tutti allegrotti" perché hanno ceduto la loro parte di depressione quindi se la moglie guarisce si ammala il marito perché adesso la moglie, guarendo, ha rispedito al marito il suo cinquanta per cento che adesso esprime lui: Quindi nella coppia bisogna sempre vedere non “io e tu”, siamo “noi” e questo “sistema coppia” in cui ci siamo dentro tutti e due siamo la stessa mela, la stessa metà. É chiaro anche che non è ammalata la moglie, la moglie esprime il problema ma è ammalata la comunicazione nella coppia. Se la coppia imparasse a comunicare bene, la depressione se ne andrebbe, anche senza psicofarmaci, perché se io fossi in grado di comunicare chiaramente a mio marito: “Guarda che ultimamente c’è qualcosa che non va, mi sono rotta le scatole di questa roba qui”, lo dicessi chiaramente, non avrei bisogno di ricorrere alla malattia che è una strada lunga di sofferenza , e tanto mio marito la depressione non la capisce, quindi è una strada praticamente inutile e di sofferenza.
C’è un altro esempio che vi farà arricciare un po’ il naso però io lo faccio apposta.
Ascoltando le mogli tradite, e vale anche per i mariti, c’è sempre un momento in cui la moglie tradita dice: “Ho perso la fiducia in mio marito” e io chiedo sempre: “Ma scusi che cavolo c’entra la fiducia?”. Se mio marito mi tradisce io posso fare soltanto una cosa, dire a mio marito: “Siediti che io e te dobbiamo parlare di quello che noi due insieme abbiamo combinato”, perché a letto con quella là c’ero anch’io, non fisicamente, ma se mio marito mi tradisce vuol dire che noi due insieme, cinquanta per cento ciascuno, abbiamo costruito una situazione di coppia che ha permesso a mio marito non di tradire me, ma noi due insieme, di tradire la nostra coppia perché se fosse andato tutto bene tra noi due, mio marito non mi avrebbe tradito. Quindi il tradimento non è la causa di una separazione, il tradimento è la conseguenza di una separazione che nella coppia c’era già; i due erano già separati e hanno lasciato spazio a una terza persona per entrare altrimenti non sarebbe entrata e questa cosa l’abbiamo costruita insieme: Quindi se mio marito mi tradisce io devo andare a confessare la mia metà e finché non capiamo questa cosa qui la coppia non esiste: sono sempre io di qua e l’altro di là, invece essere coppia vuol dire sentire profondamente che tutto quello che ci succede, succede col contributo di tutti due, cinquanta per cento ciascuno. Allora è possibile costruire qualche cosa e allora di fronte a qualunque cosa che succede nella coppia, noi possiamo sederci e chiederci: “Qual’ è il mio cinquanta per cento? Dimmelo tu perché tu lo vedi più chiaramente di me, io dico a te il tuo cinquanta per cento perché lo vedo più chiaramente di te e sicuramente vien fuori un dialogo diverso nella coppia quindi anche le discussioni hanno una dinamica diversa: “Cosa ci sta succedendo?, vediamo un po’, a me sembra che tu non mi aiuti in questo modo, forse c’è anche questa mia parte qui, fammela capire” e allora ci si sente tutti due coinvolti nella situazione, altrimenti è sempre colpa dell’altro che scantonava dalla fatica di cambiare e di crescere.Vediamo nel Vangelo questa margheritina qua. Questa margherita la troviamo nel Vangelo quando Gesù dice che siamo tutti fratelli e se siamo tutti fratelli vuol dire che siamo tutti nella stessa barca ma a maggior ragione la coppia per cui quando marito e moglie si fanno la guerra non hanno ancora capito che sono tutti e due nella stessa barca. E quando Gesù dice: “Non giudicate” non perché non possiamo anche giudicare qualche volta ma perché il Signore ci ricorda che soltanto Dio lassù può giudicare perché dall’alto vede a 360 gradi, quindi vede tutti i punti di vista dell’animo umano, noi ne vediamo soltanto uno: “Tu hai fatto un torto a me”. Vi ho fatto vedere un altro punto di vista stamattina. Ci sono alcune frasi del Vangelo che noi facciamo un po’ fatica a digerire, tipo quando Gesù dice: “Le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli” e una dice: “Ma questo è un po’ troppo, io ho fatto la brava bambina tutta la vita e lei deve precedermi”. Oppure quando Gesù racconta la storiella degli operai dell’ultima ora che sono pagati con la stessa moneta di chi ha lavorato tutto il giorno sotto il sole e allora uno dice: “Non è mica giusta questa cosa qua”. Invece è proprio questa la vera giustizia. Allora se io sono qui stamattina, è il mio lavoro, lo faccio volentieri sicché se non sono sulla strada come una prostituta, è perché io sono stata più fortunata di lei, perché ho ricevuto di più nella mia vita se no potrei essere sulla strada anch’io, non è merito mio se non ci sono. E quindi se io ho capito qualcosa, prima che del Vangelo, di un sano buon senso, dovrei essere io a dire: “Dio, ascolta, io sono stata al caldo tutta la vita, posso aspettare un attimo, lei falla passare prima di me” perché anch’io come mamma mi occupo di più di un figlio che ha qualche difficoltà; ma perché Dio non deve fare la stessa cosa? Quindi la vera giustizia è questa qui: chi è stato al freddo può passare prima, io posso aspettare un attimo. E a proposito degli operai dell’ultima ora che sono pagati allo stesso modo di chi ha lavorato tutto il giorno, anche qui diciamo: “Beh, non è mica giusto”; ai fidanzati dico sempre: “Se i vostri genitori avessero regalato un appartamento al fratello che si è sposato due anni fa e a voi non lo dessero, cosa direste? “Non è mica giusto, sono figlio anch’io come quello là”, e avreste ragione: Allora perché Dio deve fare differenza con i suoi figli?, per lui siamo tutti figli uguali giustamente, anche noi non facciamo differenze con i nostri e perché Dio le deve fare?; quindi Dio darà a tutti i suoi figli la stessa moneta. Dobbiamo aggiungere: per fortuna nostra farà così, per fortuna nostra ci tratterà tutti allo stesso modo.
 

2. Dare e ricevere.
La seconda margheritina ha a che fare con il significato dell’amore che di solito noi predichiamo di amare e donarsi; questa frase è anche sostenuta dal Vangelo che dice: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” e questo è altrettanto vero, ma c’è anche tanta gioia nel ricevere; bisognerebbe aggiungere anche questo. Allora è vero che amare è donarsi, certamente, non possiamo negarlo, però non dimentichiamo l’altra metà che è il saper ricevere. Di solito faccio questo esempio. Se ad una festa, san Valentino, compleanno o l’anniversario ecc., arrivassimo tutti due col regalino, tutti due vogliamo dare, regalare e l’altro non è disposto a ricevere il regalo, come la metteremo? Si ferma il gioco tra noi due; cioè se uno porta un regalo è sottinteso che l’altro è disposto ad accoglierlo ed è anche vero che se uno riceve un regalo volentieri, fa un regalo a me perché io mi sento contenta d’avergli fatto un regalo e di averlo azzeccato.
Quindi chi è che dà e chi riceve?
Chi ha dato ha ricevuto, chi ha ricevuto ha dato praticamente.
Riportato alla coppia, le mogli che hanno una certa età a volte escono con questa espressione: “Io sono stata una buona moglie, non ho mai detto di no a mio marito (loro intendono a letto) allora questa moglie pensa di aver donato molto a suo marito perché ha sempre detto di sì a letto; in realtà questa moglie sta dicendo un’altra cosa, che è sotto il tavolo, e che io adesso vi traduco; questa moglie sta giocando con suo marito al gioco del più bravo:
“Chi è stato più bravo tra me e te?”. Sottinteso: “Sono stata io perché sono sempre stata io a donare a te qualche cosa; tu a me che cosa hai dato? Niente perché io a letto non te l’ho mai chiesto”. E’ amore questo qua? .
Quindi le donne che non chiedono a letto non è che non desiderano, spesso desiderano ma non chiedono perché se chiedono devono poi riconoscere di avere ricevuto qualcosa e magari anche di dire “grazie” al marito. Sarebbe bello dircelo a vicenda tutti e due, dopo aver fatto l’amore, ma se io non te lo chiedo mai sono sempre in credito, cioè sono stata più brava di te. Ma questo non è amore.
Allora è vero che amare è donarsi ma anche, e - io dico - soprattutto, saper ricevere, apprezzare quello che l’altro ci dà, nel modo in cui ce lo sa dare, perché la persona che sposiamo non è che ci ami esattamente come noi desideriamo; fargli i complimenti è renderlo migliore.
Se il marito esce con qualche cosa non a posto, i calzini non abbinati alla camicia ecc. la moglie cosa dice? “Cambiati che mi fai fare brutta figura” ed è anche vero. Ma se mio marito dopo un anno o tre o cinque di matrimonio non è migliorato come persona, lì sì che faccio una brutta figura perché il più bel complimento che possono farci è: “Da quando l’hai sposato è diventato un uomo più in gamba!”. Lì sì che faccio una bella figura perché significa ho saputo ricevere e apprezzare quello che mio marito mi ha dato.
Quindi è vero che amare è donarsi ma anche - ripeto - soprattutto ricevere, apprezzare quello che l’altro ci dà.

Le mamme soprattutto peccano in questa cosa qui, le mamme vogliono solo dare, provate solo a fare un regalino a certe mamme; dicono che non dovevate disturbarvi, non dovevate spendere i soldi e dicono: “Tienilo tu che io non ne ho bisogno”. La fatica di ricevere. Le mamme vogliono solo dare per sentirsi brave ma la prova più grande dell’amore è quella di saper ricevere.
Questa margherita la troviamo nel Vangelo quando Gesù dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso” ma siccome noi siamo tutti masochisti, l’abbiamo tradotto con “più di te stesso” ma Gesù non dice “più”, dice: “Ama il prossimo tuo come ami te stesso”, sottinteso che se non amo me stessa agli altri arriva poco, quindi l’amore per me stessa è la misura dell’amore che avrò poi per gli altri.
E il prossimo più prossimo per noi chi è? E’ il marito ed è la moglie, ama tuo marito come ami te stessa; ma se non amo me stessa, cosa arriva a mio marito? Arriverà ben poco.
E Gesù prende dall’Antico Testamento una frase che è scritta al negativo: “Non fare all’altro quello che non vuoi che sia fatto a te”. Gesù prende questa frase e la trasforma al positivo: “Fai all’altro quello che vuoi che sia fatto a te”.
Tradotto nella coppia: “Fai a tuo marito quello che vuoi che tuo marito faccia”.
Un esempio. Siccome noi donne, tutte, nel matrimonio ci lamentiamo: “Non mi corteggi più, non mi coccoli più come nel fidanzamento”, allora anche qui è meglio tacere; comincia tu a corteggiare tuo marito e a coccolare tuo marito; sicuramente capisce prima di tanti litigi; se litighiamo l’altro si mette sulla difensiva. Un altro esempio è questo. Mi lamento con te perché non mi fai più sorprese, sai che a me fan piacere le sorprese. Anche qui se io non dico a mio marito che non mi fa più le sorprese e lo tormento per questo, la prima volta che mi fa una sorpresa non saprò mai se me l’ha fatto perché l'avevo tormentato io o perché aveva voglia lui di farmelo, e così mi rovino la soddisfazione della sorpresa. Per cui anche qui taci, comincia tu a far la sorpresa a tuo marito, sicuramente capisce senza tante discussioni. Questo vale anche per l’aspetto sessuale perché noi, noi donne siamo un po’ tremendine; noi ci aspettiamo che il marito sappia già tutto quello che ci fa piacere, ci aspettiamo che il marito capisca quello che fa piacere a noi senza dirglielo, che è una bella pretesa. Se non glielo dico, già lui ha una testa diversa dalla mia, se poi non gli dico neanche quello che mi fa piacere. Allora, anche in questo caso, sono inutili i litigi, musi eccetera; basta una sera prendere il marito e dire: “Ascolta tu stasera stai fermo, ti faccio vedere io quello che mi fa piacere” sicuramente capisce prima. Invece noi siamo sempre lì e aspettiamo il principe azzurro che sa tutto, invece i mariti non sanno niente. E a proposito del giudizio, siccome ama il prossimo tuo come te stesso e noi sappiamo che il giudizio di Dio sarà sull’amore per gli altri, sulla carità, ma se l’amore per gli altri dipende da un amore che ho per me, allora quando io arriverò là sopra, il Signore mi chiederà solo questa cosa qui: “Ma tu quanto ti sei voluta bene?”. Questo mi chiederà, non mi chiederà altre cose, mi chiederà solo se io ho voluto bene a me stessa e siccome noi pensiamo sempre al giudizio di Dio come il castigo (ci castigherà, ci punirà), quando non arriviamo addirittura al concetto di vendetta di Dio, in realtà il giudizio di Dio sarà questa cosa qui: noi arriveremo là e lui sarà per noi uno specchio chiarissimo, lucidissimo e grandissimo in cui ciascuno di noi si vedrà esattamente com’è, quindi sarà una cosa bellissima il giudizio. 3. Consapevolezza.
Terza margheritina, è la più importante quindi la richiameremo alcune volte.

Di solito si predica che basta volersi bene, soprattutto i fidanzati, “basta che vi vogliate bene” il che è anche vero ma non è del tutto vero perché tutte le coppie che si sposano si sposano perché si vogliono bene se no non si sposerebbero. Chissà poi perché qualcuna, o molte coppie, oggi si fermano per la strada; vuol dire che il volersi bene non è stato abbastanza, ci vuole qualcosa di più. Questo qualcosa di più la chiamiamo “consapevolezza”, cioè sapere sempre quello che ci succede man mano che andiamo avanti nella nostra vita di coppia. Se alle coppie in difficoltà io chiedessi: “Come avete fatto ad arrivare a questo punto?” la risposta sarebbe: “Non lo sappiamo”; cioè ad un certo punto è venuta meno la consapevolezza di quello che ci stava succedendo. Il tema della consapevolezza meriterebbe una conferenza da sola perché è fondamentale; siccome il tempo non ce l’abbiamo perché è solo una margheritina, faccio un ragionamento che mi riassume tutto il discorso che farei in due ore sulla consapevolezza ed è un esempio che io faccio praticamente da trent’anni ma è quello più azzeccato e più chiaro. Se io sono una mamma freddolosa, metto una maglia in più anche ai miei figli; è la famosa maglia della mamma. In questo modo faccio prendere una broncopolmonite in più ai miei bambini perché i bambini soffrono moltissimo il caldo perché hanno un metabolismo molto più attivo del nostro; sono sempre sudati e vanno coperti un po’ meno di noi. Però io penso di essere una brava mamma perché copro bene i miei figli. Il giorno che scopro che la maglia in più ai miei figli glielo metto perché ho freddo io; è solo da quel momento che posso scegliere di continuare ancora a mettere la maglia in più facendogli prendere una bronchite in più oppure dirò a me stessa: “Ma ho freddo io, la maglia me la metterò io e lascerò in pace i miei figli. Cioè è solo nel momento in cui so, cioè divento consapevole, del perché sto facendo una scelta, che divento libera di scegliere, di continuare così o di cambiare strada. Una scelta è felice, anche i matrimoni quindi, quando è libera, fatta nella libertà, perché se una scelta è costretta, come fa ad essere felice? Quindi una scelta è felice quando è libera; e quand’è che una scelta è libera? Quando è consapevole, so esattamente perché faccio quella scelta lì, quindi una scelta è felice quando è consapevole. Se adesso applichiamo il tema della consapevolezza alla scelta che i fidanzati devono ancora fare e che noi abbiamo già fatto, e se io chiedessi anzitutto ai fidanzati ma anche agli sposati: “Perché sposi proprio lei, proprio lui?”, tutte le risposte pressappoco si assomiglierebbero: “Mi piace fisicamente, stiamo bene insieme, mi sento capita, condividiamo abbastanza il modo di vedere la vita, i valori, gli interessi, abbiamo dei progetti insieme da realizzare.”  Apro una parentesi: se si chiede ad una coppia di fidanzati: “Perché vi sposate?”, la risposta è: “Per fare una famiglia”; risposta sbagliata, noi non ci sposiamo per fare una famiglia, ci sposiamo per fare una coppia perché se non c’è la coppia non ci sarà mai neanche la famiglia, ci saranno dei figli, ma non la famiglia; tanto è vero che se una coppia si separa la famiglia non c’è più. Quindi la famiglia è la conseguenza logica di una coppia che va bene. Allora noi ci sposiamo per fare una coppia e fare coppia significa: io e te ci sposiamo o ci siamo sposati perché ci daremo una mano tutti i santi giorni della nostra vita a diventare un po’ più santi; questo è l’obbiettivo. Per cui quando avremo ottant’anni potremo dirci: “Ne abbiamo passate tante insieme ma ci siamo aiutati e siamo diventati un po’ più saggi”: questo è l’obbiettivo. Aggiungo anche un’altra cosa che è alla base purtroppo di tutti i fallimenti del matrimonio. Se io mi sposo pensando di essere felice, cioè mi sposo per essere felice, sicuramente sarò infelice perché io non posso sposarmi per essere felice, perché se dico questo sto dando un potere a mio marito di farmi felice; cioè sto dicendo. “La mia felicità dipende da te”. No non è così perché nessuno può darmi la felicità se io non sono già felice di mio, dentro di me. Facciamo un esempio. Provate a dire a una donna depressa: “Ma dai, non devi essere depressa, ti dò io la mia gioia!” Possiamo passargliela? No, che è poi quello parabola che racconta Gesù delle vergini stolte e sagge; uno dice. “Saranno anche sagge queste vergini ma che antipatiche che sono! Non potevano darglielo un po’ di olio alle altre? “ Ma il significato è proprio questo: saggi – stolti. La saggezza non si può passare ad altri, cioè è come se noi volessimo passare ai nostri figli la nostra esperienza, vorremmo ma non è possibile e li vediamo fare tutte le nostre fatiche. Quindi non potevano dare l’olio alle stolte perché la saggezza non si può passare ad un’altra persona: Quindi se io mi sposo pensando che mio marito abbia il potere, quindi lo investo di una responsabilità pazzesca, di rendermi felice, sicuramente sarò infelice perché lui non ce l’ha questo potere; ce l’ho io il potere di essere felice e di darmi la felicità, dopo lui potrà aumentare, arricchire, aumentare la mia felicità ma non potrà mai darmela;
 
Chiaro questo?

Vedete che cambia completamente la prospettiva di un matrimonio. Allora io mi sposo con mio marito per diventare saggia, solo in questa prospettiva io posso accettare le sofferenze che mi dà mio marito, i tormentoni che lo strozzerei, in momenti di crisi, di difficoltà eccetera, se no non mi accetto perché tutto quello che succede nella mia coppia lo vedo come nel pentolone del mio matrimonio e allora dico: “Va bene, oggi lo strozzerei però questa sofferenza di oggi mi sta aiutando a crescere, mi sta aiutando a diventare più saggia e allora la posso accettare, altrimenti scappo via perché penso che un altro uomo mi possa rendere più felice e ricomincio il gioco con un’altra persona. Per me questo è fondamentale in un matrimonio. Quindi ci sposiamo per la saggezza, non per la felicità; se ci incamminiamo sulla via della saggezza, non se la raggiungiamo, perché non la raggiungeremo mai, però importante è camminare. Se ci incamminiamo sulla strada della saggezza, sicuramente siamo anche felici perché è la saggezza che ci dà la felicità. Se poi la saggezza è illuminata dalla fede, sono doppiamente felice. Di uomini e di donne, cioè di persone ,che hanno le cinque caratteristiche che ho indicato “perché mi piace fisicamente”, “sto bene insieme”, eccetera, ciascuno di noi potrebbe trovarne almeno altre dieci: perché ho scartato le altre dieci e sposato proprio questa persona qua? Perché oltre ai cinque motivi che ho elencato ce ne sono degli altri che voi non conoscete ma sono proprio gli altri motivi che ci hanno fatto sposare una persona e non le altre dieci. Più conosciamo tutti questi motivi, più è probabile che la nostra scelta risulti felice. Sono dei motivi che risalgono molto indietro nel tempo, addirittura ai primi giorni della nostra vita: un bambino di pochi giorni si gira dalla parte di sua madre, non perché la riconosca perché il bambino non ci vede ancora, ma si gira dalla parte di sua madre perché sente il sapore del corpo di sua madre. Quindi ciascuno di noi fin dai primi giorni ha registrato il sapore del corpo della madre e del padre. Due animali, quando si incontrano, si annusano, noi facciamo la stessa cosa. Quando eravamo fidanzati, dopo un po’ che ci frequentavamo, ci siamo baciati che è un modo di avvicinarci col naso e di annusarci, se non ci fosse piacevole il sapore del corpo dell’altro non potremo poi andarci a letto assieme. Quindi abbiamo registrato il sapore del corpo dei genitori, il tipo e il timbro di voce della mamma e del papà, anche se la voce della mamma la si riconosce già al sesto mese di gravidanza, per cui quando la mamma perla, il bambino riconosce la voce della mamma. Abbiamo anche registrato il tipo, la grana della pelle dei nostri genitori; ciascuno di noi ha una pelle diversa da quella degli altri. Queste cose e migliaia di altre, ciascuno di noi le ha registrate come belle, come piacevoli perché se la mia mamma ha quel sapore del corpo, quel timbro di voce, quella grana della pelle, a me risultano piacevoli queste cose perché sono della mia mamma e del mio papà. Quando ci piace una persona non è che la conosciamo quel giorno che poi festeggiamo tutti gli anni, in quel giorno la riconosciamo, cioè riconosciamo in quella persona qualche cosa di conosciuto, ci piace quella persona perché ci ricorda qualcosa di familiare, qualcosa che abbiamo già vissuto nell’infanzia; questo è il nostro innamoramento, poco romantico, poco poetico, ma è questa roba qui. Abbiamo anche registrato un modello maschile e un modello femminile, quello del papà e della mamma e questa è l’educazione sessuale che abbiamo ricevuto; nessuno può fare educazione sessuale, tanto meno la può fare la scuola perché l’hanno già fatta i genitori anche se dicono di non averne mai parlato perché l’educazione alla sessualità non passa attraverso le conferenze e le parole, passa attraverso la personalità maschile e femminile. Quindi ciascuno di noi, sotto il naso, ha visto per tanti anni il modello maschile e il modello femminile nel papà e nella mamma. Questa è l’educazione sessuale e assomigliamo ai nostri genitori.Abbiamo anche registrato un modello di coppia, quello dei nostri genitori perché fino al matrimonio e anche dopo, abbiamo avuto sotto il naso quando papà e mamma erano coppia e anche se noi giuriamo da fidanzati che saremo diversi dai nostri genitori, nella realtà ripetiamo quello che hanno fatto i nostri genitori. Aspettate a brontolare; ci sono due motivi per cui non vedete quello che vi sto dicendo.
Il primo è questo: che quando noi cresciamo indossiamo il vestito di figli e vediamo i nostri genitori nel vestito di genitori, ci rendiamo conto di quanto assomigliamo ai genitori dopo vent’anni di matrimonio. Allora ci rendiamo conto di quanto ci siamo tirati dietro e di come assomigliamo al papà e alla mamma nel modo di litigare, di essere coppia, di affrontare la vita, di educare i figli. Non sto dicendo nei comportamenti, nelle cose superficiali, certo che quelle si cambiano, per esempio mia mamma non è mai stata coccolona era molto severa, io invece sono molto coccolona e sono molto accondiscendente coi figli, queste cose certo che si possono cambiare anche perché cambia la cultura, sto parlando di cose più profonde che non riusciamo a cambiare.
Il secondo motivo per cui non vedete quello che vi sto dicendo è che ripetiamo le cose dei nostri genitori ma in un modo diverso e siccome cambiamo modo, ci sembra di aver cambiato tutto. Esempio: ammettiamo che mia madre e mia padre non siano andati d’accordo, però sono rimasti insieme tutta la vita perché allora era così, ammettiamo che io mi sposo e mi separo da mio marito, io posso giurare che ho fatto qualcosa di completamente diverso rispetto a mia mamma, lei è rimasta insieme e io mi sono separata ma se noi guardiamo sotto il tavolo, come faccio io per mestiere, cosa vedo? Che non è cambiato niente: sia mia madre, sia io abbiamo avuto lo stesso problema; nessuna delle due è riuscita a costruire un buon rapporto con un uomo.
Io cosa ho cambiato? Ho cambiato il modo di affrontare il problema, ma il problema è sempre quello.
C’è un altro motivo per cui sposiamo proprio una persona e non le altre dieci e che è molto importante solo che questa cosa qui la si vede dopo trent’anni di matrimonio, non prima. Sposiamo una persona che ci fa rivivere la nostra infanzia, cioè nell’infanzia c’erano i genitori, gli attori erano loro, nel matrimonio l’attore diventa il marito e la moglie ma le battute del copione sono le stesse, quindi il matrimonio è la ripetizione dell’infanzia per cui sposiamo la persona che ci ama come ci hanno amato i genitori da zero a otto anni di età; io questa cosa qui non posso cambiarla. Nel senso che da zero a otto anni ciascuno di noi ha avuto i due genitori e come figli, siamo stati delle telecamere sempre accese e abbiamo registrato tutto quello che vedevamo in casa, anche l’alzata di sopracciglia della mamma quando il papà usciva dalla porta. Il bambino è eccezionale, ha un’attenzione enorme che noi dimentichiamo ma i bambini capiscono tutto dalla nostra faccia; anche se si chiede: “Ma come andavano a letto i tuoi genitori?” “E io che ne so”, però dopo vien fuori qualcosa, se io chiedo di pensarci un attimo, mi rispondono: “Se devo rispondere a questo in base alla faccia della mia mamma alla mattina, sicuramente no” quindi i bambini intuiscono tutto.
Noi pensiamo che i bambini non capiscano niente, ma se una bambina di quindici giorni piange in braccio alla sua mamma e non in braccio al suo papà, una ragione c’è: la mamma è depressa, la bambina di quindici giorni lo sente. Quindi tutto quello che succede in una famiglia, da come la mamma mette in tavola, da come è stata arredate la casa, da come si risponde al telefono, da come ci salutiamo, da come salutiamo la gente per la strada, da come affrontiamo una difficoltà, un imprevisto, una gioia, una festa ecc., il bambino registra di tutto; da zero a otto anni il computer è programmato su tutto quello che riguarda la vita. Tutto il resto della vita dipende da questi otto anni di età perché è come se entrassero migliaia e migliaia di dati nel computer e il computer poi può ridarci solo i dati che ci abbiamo messo dentro. A questo punto voi direte: “Beh ma allora, chi è stato fregato non ha vie di salvezza?” e quindi che possibilità ho io se non voglio davvero ripetere le cose dei miei genitori.
La via di salvezza c’è ed è la consapevolezza: metto bene a fuoco quello che non voglio ripetere dei miei genitori; ci si impiega molto tempo a mettere bene a fuoco tutto e questo è il primo gradino.
Il secondo gradino è la faticaccia; devo mettermi nell’ottica di fare la faticaccia per eliminare quelle cose lì perché è come dovessi riprogrammare un computer o una parte di computer, allora c’è una possibilità di salvezza.
Comunque al di là di quello che ho detto zero-otto anni che determina tutta la nostra vita, nella vita che cosa è possibile poi a noi? Cancellare qualche dato che non ci piace, che i genitori mi hanno inserito, non è possibile proprio cancellarlo ma è per capirci. Posso inserire nel mio computer dei dati nuovi che i genitori non mi hanno dato, non per colpa loro (abbiamo detto che la parola colpa non esiste); i genitori ci vogliono tutti bene, ci danno tutto quello che hanno, così come facciamo noi coi nostri figli. Non ci possono dare quello che non hanno, se non ce l’hanno è perché non l’hanno ricevuto a loro volta e allora se non l’hanno ricevuto dai nonni, bisnonni, trisavoli, noi torniamo indietro e diciamo: “Ci sarà stato ben qualcuno lassù che l’ha combinata grossa e ce l’ha buttata addosso.” Ecco la colpa originale; poi ne parliamo di Adamo ed Eva. Quindi quella pagina che cosa spiega? I due là sono i progenitori di tutta l’umanità che hanno fregato tutti i figli. Il significato riportato a noi qual’è? Sono i genitori che fregano i figli. Noi che diamo tante cose belle ai nostri figli, anche qualche fregatura, ripeto non per colpa, tenete presente che non esistono colpe in questa cose qui. Io ho tre figli e per il mestiere che faccio vedo con una lucidità estrema più di voi le fregature che ho passato ai miei figli; penso d’aver dato tante cose belle ma anche qualche fregatura. E poi dicono: “Beh, s’arrangerà, mi sono arrangiata io, s’arrangeranno anche loro.” Quindi possiamo inserire qualche dato noi; possiamo combinare un po’ meglio i dati nel nostro computer, si dice “giocare bene le nostre carte” ed è ovvio che carte non tanto belle (traduco “infanzia non tanto felice”) ma giocate bene, possono rendere meglio e di più di carte belle non giocate bene o non giocate affatto. Ma io non posso tornare indietro e rifarmi la vita con altri due genitori, se per esempio ho perso il papà a cinque anni, questo dato non potrò mai più cambiarlo, devo gestirlo in qualche modo. Aggiungo anche: la vita aggiusta tante cose se no chi sopravviverebbe a certe infanzie? la vita arriva prima e meglio di quanto dice la psicologa oggi. Posso anche dire che chi ha avuto un’infanzia poco felice, genitori separati ecc., ha sofferto più di un altro, ha più senso della realtà di un altro, può essere più felice di un altro. Però questa è la legge generale: noi ripetiamo l’infanzia poi possiamo aggiungere e cambiare tante cose e poi bisogna dire che arriva anche il Signore a darci una mano; questo sicuramente. Sto seguendo una coppia che ha una bambina di due anni che ha subito diversi interventi chirurgici, capisco anche la loro sofferenza nel vedere una bambina colpita così pesantemente nel corpo però dico a questa gente: “Ma che cosa ne sapete di che cosa verrà fuori dalla vostra bambina anche perché ha sofferto così; chi farebbe certi mestieri se non ci fossero le sofferenze infantili? Oggi sono venuta da Patti con mia figlia e un’amica che è in una carrozzina e lei mi diceva: “Quando io sono stata operata mi hanno dato la psicologa vicino per le mie ferite gravi” e diceva: “Lei ha un lutto da elaborare.”. Cioè tu devi elaborare, digerire l’immagine del tuo corpo che è tutto rovinato, hai perso l’immagine bella del tuo corpo e devi digerire questa perdita, questo lutto. Chi farebbe il medico, l’infermiere, chi seguirebbe i malati terminali, chi farebbe l’assistente sociale, chi farebbe il missionario, chi farebbe anche la psicologa? Cioè chi farebbe certi mestieri se non ci fossero le sofferenze infantili a predisporci a certi mestieri? Questa ragazza in macchina diceva: “Io voglio fare qualcosa per i bambini, farò l’insegnante dei bambini.” Le ho detto: “Guarda che scegliamo il mestiere che è la migliore terapia per noi stessi, cioè tu ti occuperai dei bambini e lo farai bene perché in questo modo tu farai una terapia alla tua bambina ferita dentro, ecco perchè ti piacciono i bambini e vuoi occuparti di loro.”Quindi vedete che quella che può essere stata una cosa negativa nell’infanzia, può diventare un bene enorme poi nella vita, non bisogna mai vedere solo al negativo le cose, c’è sempre il rovescio, le cose vanno male e c’è sempre una grande grazia dietro. E’ importante a proposito della consapevolezza che nell’andamento di coppia noi possiamo sempre rispondere a queste due domande: che cosa ci sta succedendo e perché ci sta succedendo; se riusciamo a rispondere a queste due domande probabilmente troviamo anche un aiuto, una soluzione al nostro problema. Questa terza margherita, che è la più importante della vita, lo è anche nel Vangelo.
In tutte le pagine del Vangelo Gesù non dice mai a nessuno “cattivo” ma dice tante volte “stolto” cioè "non consapevole" e molti miracoli sono sugli occhi “avete occhi per vedere e non vedete”.
Quello che ho sotto gli occhi io lo avete anche voi sotto gli occhi nelle vostre famiglie, che ci sono le catene di Sant'Antonio, per cui tramandiamo le nostre fregature ai figli, sono sotto il naso solo che non vogliamo vederle; abbiamo occhi e non vediamo.
Quando Gesù è sulla croce pronuncia una frasettina che probabilmente vi sta venendo in mente: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno.” Cioè sono non consapevoli, ignorano quello che stanno facendo.


4. I genitori degli sposi.


Quarta margherita. Quando ci sono i corsi per fidanzati invito sempre anche i genitori perché così sentono questa quarta margherita: per essere felici nella vita di coppia bisogna "mandare al diavolo" le nostre mamme. E aggiungo che sono molto gentile perché le mamme andrebbero ammazzate sul posto, perché combinano troppi danni ai figli; dico le mamme e non anche i papà perché i papà disturbano un po’ di meno, hanno una voce distaccata e più equilibrata verso i figli. Siamo noi mamme che gli stiamo troppo addosso e li roviniamo. Faccio cinque premesse.
PRIMA PREMESSA. Il rispetto per i genitori ci deve sempre essere, anche se non li stimiamo più dobbiamo sempre trattarli con rispetto, il quarto comandamento dice: “Onora il padre e la madre”; attenzione alle parole, Dio non dice: “Ama il padre e la madre”, dice “onora” perché Dio è molto realista, la realtà l’ha creata Lui. Non ci chiede mai niente contro la realtà e Dio lo sa che nella realtà noi potremmo anche arrivare a non amare più i nostri genitori, questo è possibile e Dio non ce lo chiede, ci chiede solo di onorarli, cioè di trattarli con rispetto. Per il resto dice un’altra cosa.
Se vi chiedo quanti sono i comandamenti voi dite dieci, sono uno più dieci, non undici e quell'uno primo dei dieci perché è stato detto prima, è stato detto proprio all’inizio e primo anche come importanza perché è il più importante degli altri dieci in quanto gli altri dieci dipendono da questo. Il “non ammazzare” dipende da questo.
Il primo comandamento è questo: “Lasceranno – che poi la traduzione giusta è abbandoneranno- il padre e la madre e saranno una carne sola”, sottinteso che non possiamo essere una carne sola cioè sposarci dentro se prima non abbiamo abbandonato il padre e la madre.
SECONDA PREMESSA. L’aiuto in caso di bisogno tocca a noi figli verso i genitori, sottolineo in caso di bisogno, non quando le mamme s’ammalano apposta così costringono i figli a passare una volta di più a salutare, perché le mamme ne sanno cento, non una più del diavolo.
Prima manipolano i figli in tutti i modi, quando non arrivano più a manipolarli, arrivano a fregarli con i sensi di colpa: “e come mai non avete telefonato?” “ e come mai non siete passati a salutarmi?” “e chi penserà a noi due poveri vecchietti che restiamo qui?”. E pianti il giorno che i figli si sposano in chiesa, così vi fregano con i sensi di colpa: Se io vi raccontassi quello che sento tutti i giorni e io non è che incontri gente particolare nel mio lavoro, incontro gente come voi.
Faccio un esempio: una ragazza di trentadue anni, fa l’insegnante e decide di andare a vivere da sola; la mamma comincia a dare i numeri: “E io pensavo di essere stata una brava mamma con te e allora tu mi dici che ho delle colpe, cosa ho fatto io di male per avere una figlia come te, qui da sola io morirò se tu vai via”, io dico magari, così risolviamo il problema se muore. Siccome la figlia persiste nell’idea di andar via, la mamma prende le pastigliette, naturalmente in numero sufficiente per non morire, e le mamme sono perfette in questo e queste sono le fregature tremende che danno la mamme ai figli. Basterebbe dire a tua figlia: “Mi fa piacere se sei felice, mi spiace un po’ stare sola, ma guarda mi basta che tu faccia la tua vita”; a trentadue anni non è mai riuscita a trovare il moroso, lo credo bene che non ha il moroso, ci sei tu che le impedisci di averlo; ne ha fatti passare quattro o cinque ma nessuno andava mai bene alla sua mamma.
TERZA PREMESSA. Essere noi i primi da sposati che telefoniamo ai genitori e chiediamo: “Come state, state bene, avete bisogno di qualche cosa” “Sì anche a noi va tutto bene”: tutta la telefonata finisce lì, non una parola di più, il di più è del maligno, direbbe il Vangelo.
QUARTA PREMESSA. Mai rompere i rapporti coi genitori. Non si rompono i rapporti perché si passa dalla parte del torto. C’è sempre il modo giusto. Ma soprattutto neanche con le suocere.
Il problema qual è? Che tra suocera e genero le cose si sistemano prima perché c’è un uomo e una donna, ma tra suocera e nuora ci sono due femmine e in mezzo un maschio che è quello del marito ed è quello da conquistare da parte di tutte due, quindi è lì che i problemi escono di più. Il massimo che ha fatto la suocera nella sua vita, la cosa più bella, è quel figlio maschio e ce l’ha regalato, dunque le suocere poverine hanno perso tutto, siamo noi le vincenti. Allora è una prova di intelligenza non rompere i rapporti con la suocera. E poi c’è sempre un modo “ma io non lo vedo” il fatto che tu non lo veda non significa che non c’è, devi dire che non lo vedi; c’è sempre un modo gentile, educato, elegante ma deciso che può far capire alla suocera che può arrivare soltanto fino qua.
QUINTA PREMESSA. È anche il test più veloce per sapere se una coppia sposata va bene. Andare a mangiare la domenica dalla mamma. Ci si può andare qualche volta, non tutte le domeniche, che poi si va quasi sempre dalla mamma di lei oppure la moglie che dice: “Tanto mio marito ha piacere che io vada dalla mia mamma a mangiare perché sarei da sola”. Appunto! Tu mangia da sola a casa tua, cosa continui ad andare dalla tua mamma tutti i giorni a chiacchierare, sta a casa tua. Una signora mi diceva: “Io torno a casa, sono sempre da sola (fa l’ostetrica), mi preparo da mangiare, prendo il piatto, vado al piano di sotto da mia mamma a mangiare.” Io le dico: “Scusi, ha bisogno di andare giù a far vedere alla mamma che la bambina ha mangiato tutta la pappa??”
Ma sta su a casa tua a mangiare! Cosa vai giù dalla mamma? La coppia che tutte le domeniche è a casa dalla mamma a mangiare significa che come coppia non sta andando per niente bene, non ci si rende conto i primi anni, ci si rende conto dopo, ma siamo su una strada molto pericolosa. Sennò mangiamo pane e cipolla, pane e formaggio ma a casa nostra.

Queste cinque come premesse, ma mandare al diavolo la mamma in un altro senso, nel senso che nel momento in cui ci sposiamo, la persona più importante diventa il marito, diventa la moglie, la mamma verrà subito dopo, ma dopo. Per cui prima salgo a salutare mia moglie, poi scendo a salutare mia madre e non viceversa, anche se faccio tre scale in più perché al primo posto c’è mio marito e non è necessario ridiscendere tutte le sere a salutare la mamma. Perché ci sono dei mariti che vanno a leggere tutti i giorni il giornale dalla mamma, a bere il caffè dalla mamma: ma stai su con tua moglie!!! Allora vuol dire che nel momento che noi ci sposiamo - lo dico ai fidanzati ma vale anche per noi sposati - non dobbiamo più sentire il bisogno di telefonare tutti i giorni alla mamma. Invece ci sono sposini che tutte le sere alla sette e mezza telefonano alla mamma. E se ritardano un quarto d’ora una sera, arriva la telefonata della mamma col tono lamentoso: “È successo qualche cosa che non mi hai telefonato?”. È peggio che timbrare un cartellino! E se poi una mamma si permette di telefonare tutti i giorni, quando si vede il numero, non si risponde ... perché un po’ invadente è la mamma. Esiste anche un altro atteggiamento: i figli non lasciano stare i genitori, allora sono i genitori che devono allontanarli. Si dice: “Oggi non posso proprio tenerti il bambino, devo andare via col papà”, a meno che non sia una necessità. È logico che questo è il caso generale, se c’è un problema particolare, una necessità particolare, si aiutano i figli, altrimenti bisogna proprio staccarli anche da noi. Perché ci sono anche i figli che sono troppo invadenti e si fanno sempre tenere i figli, anche quando non c’è necessità. In questo caso i genitori devono dire: “Guarda la figlia è tua, devi tenertela un po’ tu. Io ho anche la mia vita col papà, la figlia non è mica mia, l’hai fatta tu, quindi tienitela tu con tuo marito.”.
Ripeto se non ci sono casi particolari. Quando ci sono le manipolazioni da parte dei genitori o da parte dei figli, vale sempre lo stesso principio: le manipolazioni non si accettano. Oppure il bisogno di chiacchierare tutte le domeniche pomeriggio con la mamma: si chiacchiera col marito o con la moglie, non con la mamma. Oppure il bisogno, io lo dico sempre ai fidanzati, nel momento in cui si preparano al matrimonio, di andare a fare le spese con la mamma; ma dovrai passare tutta la vita con quell’uomo, cosa c’entra la mamma? Che poi ci sono le mamme che mettono il naso dappertutto, anche nella scelta della camera da letto e pagano apposta così vogliono sceglierla loro, come se ci dovessero dormir loro! Una coppia mi diceva: “Abbiamo cambiato le bomboniere perché non piacevano a mia mamma.” Ma voi siete matti! Ma chi è che si sta sposando? Allora dico ai fidanzati: “Voi scegliete tutto, pagate tutto, arredate la casa, quando l’avete già pronta, chiamate contemporaneamente i quattro genitori, così non fate delle differenze, e fate vedere la vostra casa pronta. Se sentiamo ancora questi bisogni vuol dire che indossiamo ancora il vestito di figli, dipendenti da nostra madre e se indossiamo ancora quel vestito, come facciamo a mettere il vestito di padri, di madri e - ancora prima - di marito e di moglie? Prima dobbiamo toglierci il vestito di figli, poi possiamo metterci un vestito diverso, sennò stiamo con tre vestiti uno sopra l’altro e certamente non stiamo troppo bene.
Due test per la maturità di coppia.
Il primo è questo: ammettiamo che mio marito dica un difetto della mia famiglia, della mia parentela. Se non è vero controbatto, però ricordiamoci che mio marito è molto più obiettivo di me sulla mia famiglia, così come io lo sono più di lui sulla sua.
Per cui, quando l’altro dice qualcosa sulla nostra famiglia, ascoltiamolo con attenzione perché ci azzecca sempre.
Ma io come la prendo?
Se la prendo serenamente dico: “Hai ragione, mia madre è proprio fatta così, la mia famiglia ha proprio questo difetto.” Questa è maturità.
Se invece mi dà fastidio sentir dire quella cosa lì, mi incavolo con mio marito perché osa toccare la mia famiglia e comincia il ping-pong: "...e allora nella tua famiglia, tua mamma, tua sorella ecc...", in quel momento cosa sta succedendo? Stiamo dando il potere alle nostre famiglie di origine di allontanarci, di separarci. Se vogliamo litigare, litighiamo su cose nostre, non sulle nostre famiglie che non c’entrano più.
Oppure comincio a giustificare: “Tu non conosci mia mamma, io so che mia mamma fa cosi perché ....”. La giustifico, ho su ancora il vestito di figlia, non abbiamo ancora lasciato il padre e la madre.
Secondo test: ammettiamo che andiamo a trovare i genitori e la mamma per esempio dica - perché i papà di solito stanno zitti: “Mi ha detto tuo marito che farete questa cosa qua”.
“Se te l’ha detto mio marito vale anche per me”. Se poi non sono d’accordo dopo, a casa, litigo con mio marito perché ha detto una cosa sulla quale io non ero d’accordo ma davanti agli altri che mi chiedono conferma devo dire: “Sicuramente è così”. Se poi una coppia è unita questa cosa non succederà mai perché nessuno dei due si permetterà mai di dire qualcosa ad un altro, senza prima averla concordata con il coniuge.
Per cui l’unico consiglio che dò sempre ai fidanzati è che vadano ad abitare lontano da tutti e se sono vicini, e questo è causa di litigi, immediatamente traslocare perché tante coppie si separano, hanno difficoltà quando sono vicine ai genitori; meglio andar lontano.
E dico anche sempre ai fidanzati: “Se abitate vicino ai genitori, la sera delle nozze la porta si chiude a chiave, la mamma suonerà come qualsiasi altra persona.”.
Se la mamma dice: “Ma ieri sera ho suonato, come mai non mi avete aperto?”. Risposta, sempre gentile: “Stavamo facendo cose nostre, noi non abbiamo sentito” anche se abbiamo sentito.La chiave della porta non si dà ai genitori. Anche se si offendono non si dà, si dice: “Io e mio marito riteniamo opportuno non darvi la chiave del nostro appartamento, se poi voi vi offendete, questo è un problema vostro”.
E date anche le spiegazioni ai genitori, perchè i genitori dicono:
“Ma se succede qualcosa, se piove ti tiro giù le tapparelle, ti ritiro il bucato” “Mi arrangerò”
Sembra sempre che debba succedere qualcosa, non succede mai niente.
Poi una coppia dice: “Ma se si rompe il tubo dell’acqua?” E che diamine! Si rompe il tubo dell’acqua tutti i giorni?Se si rompe il tubo dell’acqua chiamerai i vigili, anche se hai la chiave per entrare, cosa fai?Oppure per il bucato mi arrangerò, laverò una volta di più se piove. Allora si dà la spiegazione ai genitori. Il vostro appartamento è la vostra chiesa domestica, è un luogo sacro e quindi una persona dovrebbe entrare togliendosi le scarpe davanti al vostro appartamento, perché è un luogo sacro: ci sono due persone consacrate dal sacramento del matrimonio. E il vostro lettone è il vostro altare dove si celebra una liturgia sacramentale come l’eucarestia. Nell’eucarestia Gesù dice: “Questo è il mio corpo che offro a voi” e a letto noi cosa diciamo? Magari non a parole, ma diciamo: “Questo è il mio corpo che offro a te”: quella è la nostra eucarestia.E quindi tutte le volte che facciamo l’amore, soprattutto se lo facciamo bene, altrimenti un po’ meno, ci aumentiamo la grazia del sacramento. Questo è quello che la Chiesa ci dà col sacramento del matrimonio: non mi sembra poco! Quindi quando noi arriviamo alla messa che il tavolo è già apparecchiato, l’altare è già predisposto con i fiori, invece quando noi siamo alla nostra tavola in famiglia, stiamo predisponendoci per una eucarestia e quando andiamo a letto è un altro altare. C’è la tavola dove mangiamo ma c’è anche un’altra tavola che è quella coniugale. E quindi nessuno deve permettersi di venir su a guardare il nostro letto, a spiare nel nostro altare a metterci a posto le cose. Se si abita vicino ai genitori, bisogna stare attenti ai pellegrinaggi delle mamme, perché loro cominciano a portarvi le cose pronte da mangiare, naturalmente se è una cosa misurata si accetta, se si va a trovare i genitori e non veniamo mai via a mani vuote e va bene, se la mamma abita vicino e ogni tanto ci dà qualcosa di pronto, va bene anche lì; io sto dicendo quando le cose sono proprio esagerate, quando non c’è la misura. Allora se non c’è la misura bisogna parlare alla mamma, se è la mamma di lei parla lei, se è la mamma di lui parla lui che è più logico oppure si parla tutti due insieme e si dice: “Lei signora”, non si chiama mamma la suocera, “ noi la ringraziamo perché pensa sempre anche a noi due, però sappiamo che è anche intelligente, capirà il perché noi non possiamo accettare tutto quello che lei ci dà. Sempre con gentilezza e con eleganza, perché se è la mamma di lei fa uno sporco gioco, perché portando sempre le cose pronte, sta dicendo, non a parole, ma sta dicendo alla figlia: “Io sono più brava di te a far da mangiare” quindi o la mamma sta seducendo il genero con il minestrone, perché questo è la parola giusta, si chiama seduzione. E se andiamo a mangiare dalla mamma quelle tre volte all’anno, non di più, e la mamma osa servire per primo nostro marito, noi dobbiamo bloccarle il braccio e dirle: “Ascolta mamma, prima servi il tuo di marito, poi servirai il mio, perché quando voi due verrete a casa nostra a mangiare (quelle tre volte all’anno, non di più), io prima servirò il mio di marito e poi servirò il tuo”. Date una lezione anche a certe mamme che trascurano il marito e seducono il genero. Questi sono peccati gravissimi delle mamme: prima si serve il proprio marito, poi si servono i figli, non viceversa perché al primo posto c’è tuo marito. E al primo posto c’è il marito comunque e si trascurano i figli ma non il marito, perché se trascuriamo il marito saranno sempre trascurati anche i figli. Se la mamma è di lui il gioco è doppiamente sporco perché sta dicendo al suo bambino, magari ha quarantadue anni ma è sempre il suo bambino, e alla nuora: “Una donna brava e in gamba come me tu non la troverai mai.” Poi la moglie si incavola di brutto, il marito ingenuo, perché i mariti non capiscono niente di queste cose qui, dice: “Ma perché te la prendi tanto? Guarda che mia mamma voleva solo farci un piacere.”Cioè non ha capito niente di quello che è passato tra le due donne, della rivalità tra le due donne. E poi ci sono dei mariti, io li chiamo “imbesuiti” - insomma si capisce il significato-, se c’è la mamma di mezzo, loro tacciono. Difendi sempre tua moglie, poi a casa, se non sei d’accordo gliene dici di tutti i colori a tu per tu, ma davanti alla mamma difendi sempre tua moglie. Altrimenti si dice gentilmente: “Ascolta mamma, se mia moglie - si sottolinea mia moglie - ti ha detto così, guarda che tra noi due, per noi due coppia, va bene così: tu stattene fuori!”. Altrimenti la moglie si arrabbia e ha tutte le ragioni perché sembra che non l’abbiate ancora sposata, avete sposato la vostra mamma.
Non si porta la roba a lavare e a stirare dalla mamma, a meno che non sia proprio una necessità. Allora ci si dà una mano, naturalmente c’è sempre la misura. Altrimenti o pagate qualcuno che ve lo fa o lo fate di notte di stirare e di lavare o insegnate al marito a darvi una mano, ma non si torna dalla mamma a lavare e stirare. Perché essere adulti significa fare il cavolo che vogliamo ma a nostre spese; se non siamo pronti per questo, non siamo pronti neanche per il matrimonio. Siccome voi state pensando che io sia esagerata con le mamme, vediamo il Vangelo.
Gesù nel Vangelo è più esagerato di me e tratta maluccio sua madre.
Prima pagina.
A dodici anni Gesù si ferma a Gerusalemme, si dice che si perda.
Lui non si perde a Gerusalemme, lui si ferma per i fatti suoi.
Quando va via e lo ritrova Giuseppe, chi è che parla? La Madonna! S. Giuseppe tace, come tutti i papà. E la Madonna cosa dice? “Perché ci hai fatto questo?”.
Sarebbe stato diverso se avesse detto “perché hai fatto questo”: le madri si mettono sempre dentro a tutto.
Allora questi genitori sono stati in angoscia tre giorni, ci dice il Vangelo. A questa mamma in angoscia da tre giorni, Gesù cosa risponde?
“Perché mi cercavate?”
Questa è la prima pugnalata per sua madre; “non sapevate che io devo pensare ai fatti miei?”.
Non sono queste le parole del Vangelo ma il significato è questo.
Seconda pagina.
Una donna tra la folla dice: “Beato il ventre che ti ha portato, il seno che ti ha nutrito”. Sapete già come risponde Gesù: “Beati piuttosto quelli che fanno la volontà del Padre mio”, cioè non dà neanche un contentino a sua madre.
Quando gli dicono: “C’è qui tua madre e i tuoi fratelli”. Dice: “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?”.
Noi siamo sempre a dire “mia mamma”, “di mamma ce n’è una sola”. Siamo tutti mamme, siamo tutti fratelli, i figli sono figli di tutti, non sono i figli miei, sono figli di tutti, il figlio di un’altra è anche figlio mio; questo è il significato del Vangelo.. Gesù dice: “Fuori dai legami di sangue c’è un altro legame più importante che è quello dell’amore reciproco”. “Chi è mia madre?”? Perché la tratta così? Perché la Madonna come santità era miliardi di volte più su di me, ma come mamma, psicologicamente e umanamente, anche lei è una mamma come me. E se avesse potuto stare un po’ più vicino a suo figlio, avrebbe fatto di tutto per evitargli la croce. E allora Gesù dice a sua madre: “Mamma stai un po’ in disparte, fammi fare la mia strada.”.
Quand’è che recupera sua madre (perché la recupererà e alla grande)? Quando è già sulla croce. “Tutto è compiuto”. Sua madre non può più disturbarlo e le dice: “Ecco tuo figlio, sei l’amata di tutta l’umanità”. Più chiaro di così!!
6. Intimità. La quinta margheritina: le cose di coppia non si dicono a nessuno.

Anche qui naturalmente con misura: non è che non possiamo parlare delle nostre cose anche un po’ personali, però ricordiamoci che le nostre cose intime, dette a qualcun altro non sono più intime, possono diventare pettegolezzo. Allora le cose di coppia non si dicono ai genitori: “mio marito mangia così, ha questa abitudine, mia moglie spende cosà”. Non si dice niente, si dice: “Va tutto bene, tutto”. E’ una forma di rispetto per il coniuge. Le cose di coppia non si dicono agli amici. Se vengono degli amici a trovarci e noi stiamo litigando, facciamo finta di niente, sorridenti come se niente fosse, perché gli amici si sentirebbero a disagio a vederci litigare e poi anche perché è questione di prudenza sociale. Io dico sempre che se abito in campagna con una capretta, da sola, posso disinteressarmi di quello che pensa la gente, ma siccome vivo in mezzo alla gente, devo tenerne conto senza farmi condizionare. Quando gli amici se ne vanno, chiudiamo la porta e ricominciamo a litigare come prima perché sono cose nostre. Terzo: le cose di coppia e sessualità non si dicono ai preti che non sono competenti in fatto di coppia e di sesso, bisogna rispettare le competenze; se ho un problema medico, vado da un medico, se ho un problema legale vado da un avvocato, se ho un problema morale, vado dal prete. Se poi avete stima del vostro prete, andate spesso a trovarlo e fate delle belle chiacchierate sul Vangelo, sulla preghiera, sulla spiritualità di coppia; vi saranno di enorme aiuto, ma non sulle vostre cose intime. Quanto alle cose di coppia, non si va a dirle neanche agli psicologi: vedete che mi metto in discussione anch’io.
 

6. Innamoramento.
Passo alla sesta margherita. E’ un brutto segno dei nostri tempi, ed è anche pericoloso, che ci siano in giro tanti psicologi perché una volta c’era il saggio del villaggio! La gente oggi va dallo psicologo per chiedere pressappoco: “Cosa devo fare, mi dia un consiglio, cosa farebbe al mio posto, lei ne saprà un po’ più di me e qual è il mio bene a questo punto?”. “Guardi che io faccio già fatica a portare avanti la mia di vita, non posso portare avanti anche la sua” e io lavoro bene se ad un certo punto la gente mi manda al diavolo perché se ha sempre bisogno di me vuol dire che lavoro molto male; se una persona sta in terapia da me dieci anni vuol dire che c’è qualcosa che non faccio, creo incertezze. Comunque esaminiamo le richieste. “Cosa faresti al mio posto?” L’unica risposta onesta è questa: “Al tuo posto io non ci sono, non so cosa farei, perché nessuno di noi sa cosa farebbe al posto di un altro.”“Mi dia un consiglio” io faccio già fatica a consigliare me stessa, figurarsi se posso consigliare gli altri; stiamo alla larga dalla gente che dà consigli perché non è onesta, il buon consiglio è il consiglio che non si dà, al massimo si fa un consulto con una persona che è competente. “Qual è il mio bene?” Io faccio già fatica a capire quale è il mio di bene, non posso sapere quale è il vostro. Voglio dire che il nostro bene è scritto dentro di noi, il nostro corpo ce lo dice se stiamo facendo una scelta giusta o no e se stiamo facendo il nostro bene o no, solo che noi il nostro corpo non lo ascoltiamo, ma il nostro corpo ce le urla le cose. Quindi bisogna ascoltare il nostro corpo per sapere quale è il nostro bene; allora a questo punto potreste dire: “Perché fai lo psicologo?”. Si va dallo psicologo in un unico caso, il caso della terza margherita che è la consapevolezza. Quando ci succede qualcosa e non sappiamo bene di che cosa si tratta, e non sappiamo rispondere a quelle due domande là - “cosa ci succede” e “perché ci succede” - allora possiamo andare dallo psicologo e cerchiamo di sceglierlo onesto, perché ce ne sono in giro anche, come in tutte le professioni, di disonesti. Se lo psicologo è onesto, vi aiuta a rispondere alle due domande: il nome del problema e vi aiuta a battezzare il problema. Prima seduta, dopo cinquanta minuti, se so fare il mio mestiere devo dire il nome del problema; è come se andassimo da un medico, ci dicesse: “Venga da me un anno poi tra un anno le dico se ha mal di fegato” ma io voglio saperlo subito: tra un anno posso essere anche morto. Quindi se lo psicologo sa fare il suo lavoro deve dire alla prima seduta, dopo cinquanta minuti, “questo è il nome del suo problema.” E vi aiuta a rispondere anche alla seconda domanda, perché avete quel problema lì, la strada che avete fatto nella vostra vita per entrare in quel problema e lo psicologo, se le ritiene opportuno, vi può proporre una terapia, possibilmente breve, poi la fatica di vivere dobbiamo prendercela noi, non è che può prendersela lo psicologo. Vi può dare qualche indicazione, qualche strumento però poi si ferma perché oltre che cosa c’è? La vostra libertà di scelta dove nessuno deve entrare, neanche lo psicologo. Quindi lo psicologo che dà il consiglio non è onesto, non sa fare il suo mestiere e si assume una responsabilità tremenda. Gli psicologi che sono separati consigliano a tutti di separarsi; ci sono psicologi che dicono: “Guardi signora lei vorrebbe che io la tirassi su un po’ così dopo lei si separa”. Ma lascialo decidere a lei se vuole separarsi o no. Psicologi che dicono: “Se lei vuole risolvere i problemi con suo marito, deve andare a letto con qualcun altro” Creare casini vuol dire risolvere i problemi? Questa è disonestà. Allora lo psicologo onesto vi dà il nome al problema, vi fa capire qual è la causa del problema, vi dà qualche indicazione e poi si ferma. Sicuramente state pensando: “Dici di non dare consigli però un bel po’ ce ne hai già dati anche tu. Allora spiego la differenza. Dare consiglio significa, a tu per tu con una persona che conosciamo bene, dire: “Io ti consiglio di fare così” quindi anche in terapia, se poi quella persona non segue il nostro consiglio, magari ci incavoliamo anche un po’. Io sto facendo una conferenza, non vi conosco, vi sto dando delle indicazioni, non so cosa ne farete delle mie indicazioni. Stamattina state facendo un consulto con una persona più competente di voi. A proposito del consiglio, c’è una pagina del Vangelo che tutti ricordate sicuramente, è quella del giovane ricco, (io la leggo a modo mio naturalmente); il giovane ricco va da Gesù e gli chiede: “Maestro buono, cosa devo fare per fare il bravo bambino?” E Gesù risponde: “Se vuoi fare il bravo bambino, segui i comandamenti. “ “ Ma io finora sono stato un bravo bambino, io i comandamenti li ho sempre osservati.” Ed è lì che aspetta qualcosa di nuovo, qualcosa di più forte; che doveva osservare i comandamenti lo sapeva già, cioè “se tu sei il nuovo profeta dimmi qualche cosa di più solido.” Allora Gesù aggiunge: “Se oltre a fare il bravo bambino, vuoi fare l’uomo adulto, va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Il Vangelo dice che Gesù ha guardato con amore questo giovane che poi se ne va via triste perché era molto ricco, non pensiamo sempre ai soldi; questo giovane, come tutti i giovani, è ricco di tante cose, di energie, di entusiasmo, di potenzialità. Noi critichiamo tanto la Chiesa cattolica, i preti eccetera, siamo i bambini dell’asilo che criticano sempre i papà preti. La nostra religione cattolica è la migliore in assoluto sulla faccia della terra, anche dal punto di vista psicologico e psicanalitico. Io non ho dubbi che Gesù ha continuato a guardare con amore quel giovane anche dopo che se ne è andato via, perché Gesù non dice mai a nessuno guarda che devi fare, ti consiglio di, se non fai così vedrai cosa ti succede, assolutamente mai; al massimo Gesù dice: “Se vuoi” e basta . C’è un personaggio importante nel Vangelo che è Pietro, una persona bellissima, generosa, istintiva, che capisce anche le cose al volo ogni tanto, ma prende di quelle cantonate, proprio come noi. “Se anche tutti ti tradiranno, io non ti tradirò mai”, dopo poche ore lo aveva tradito tre volte. Quando Gesù rincontra Pietro, noi cosa avremo detto? “Visto Pietro, io te l’avevo detto che sarebbe andata a finire così.” Gesù assolutamente niente, silenzio assoluto; quando rincontra Pietro gli fa solo una domandina, che è una domandina che ci facciamo sempre noi due, e gliela fa per tre volte: “Pietro mi vuoi bene? e basta. C’è un altro passo del Vangelo che riassume tutti i libri di psicoterapia che abbiamo scritto; sicuramente vi ricordate anche questa pagina. C’è un paralitico da molti anni sul suo lettuccio e lo portano da Gesù perché lo guarisca; il Vangelo è pienissimo di domande più che di risposte, domande di tutti i tipi, balorde, interessanti, intelligenti; questa è la domanda più strana che c’è in tutto il Vangelo. Allora c’è il paralitico sul suo lettuccio, la gente intorno che aspetta il miracolo e Gesù fa questa domanda al paralitico: “Vuoi guarire?”, sicuramente la gente intorno avrà detto: “Ma insomma certo che vuol guarire se è ammalato da molti anni, è sottinteso.” Ma Gesù non lo dà per scontato, anche perché noi, quando aiutiamo le persone, pensiamo sempre di dover buttare addosso l’aiuto agli altri; in realtà, avessimo anche di fronte una persona che sta morendo di fame, noi dovremmo chiederle. “Vuoi il mio panino?” e rispettarla anche se ci dice di no, noi invece violentiamo quando vogliamo aiutare le persone. Sicuramente la gente intorno avrà pensato e anche detto: “Gesù è sempre stato un po’ strano, ma oggi è fuori di testa; cosa chiede a quest’uomo?” ma Gesù non lo dà per scontato che voglia guarire e poi aggiunge: “Prendi il tuo lettuccio e vai a casa tua.” Bisogna stare attenti alle virgole nel Vangelo perché noi lo sappiamo a memoria ma non lo abbiamo mai ascoltato bene. Gesù non dice: “Aspetta che ti prendo il lettuccio e ti accompagno a casa io” no, dice: “Prendi tu il tuo lettuccio e va a casa tua, cioè io ti do la parola che ti guarisce, la faticaccia falla tu” che sono i miracoli metà e metà; metà la facciamo noi e metà la fa Lui ed è bello anche questo da considerare. E questa domanda io la faccio spesso nel mio lavoro; anch’io chiedo alle persone spesso: “Lei vuol veramente guarire?.” Naturalmente la gente mi guarda ed io capisco che sta pensando: “Questo è cretino” però escono con un’altra espressione e mi dicono: “Scusi ma se sono qui da lei?”. E io dico: “Guardi che io non lo dò per scontato; se lei vuole veramente guarire, torna da me la settimana prossima e mi dice cosa ha cominciato a cambiare nella sua vita, allora ci credo che vuole guarire” cioè io ti dò gli strumenti psicologici per guarire, la faticaccia devi farla tu, non posso venire al tuo posto e farla per te, anche perché dopo alla fine il merito è tuo perché la fatica l’hai fatta tu ma il merito è tuo. Allora a questo punto ai fidanzati dico sempre: “Visto che state facendo la scelta più importante della vostra vita, il matrimonio, o sentite dalla punta dei vostri capelli fino al mignolo del vostro piede destro che state facendo la scelta più importante della vostra vita, altrimenti io vi prego di non sposarvi.” E il "vi prego" lo urlo proprio, perché dico "vi prego" per tre volte e "vi supplico di non sposarvi". E il "vi prego" mi permetto di dirglielo perché ascoltando la gente che si separa, c’è sempre un momento, dopo una mia domandina che dicono: “Sì, è vero, nel fidanzamento il nostro problema c’era già, tre mesi prima di sposarmi, avevo sentito, avevo intuito…” e io dico: “Ma perché l’hai sposato lo stesso?” “Ma io credevo, ma io pensavo.” Ecco non bisogna credere e pensare, bisogna ascoltarsi perché il nostro corpo ce lo dice se facciamo una scelta felice o no. Devo dire cose che vedo come un segno positivo. In questi ultimi dieci giorni ho ricevuto tre persone che, a un mese dalle nozze, hanno fatto saltare il matrimonio e io ho detto: “Meno male, meglio adesso che dopo. E meno male che avete avuto il coraggio di farlo perché tanti per dar ragione alle mamme, per tutte queste menate qui non lo fanno". Attenzione noi mamme! Se una figlia la sera prima delle nozze ci dicesse: “Mamma, non sono convinta”. Noi cosa diremmo? “Non farmi fare brutte figure, proprio adesso è impossibile. Adesso ti sposi.” E no! Una brava mamma dice: “Ascolta, se non sei convinta, fermati subito, a me non me ne importa niente della gente; la gente parla, dopo due giorni parla d’altro. E anche se parla chi se ne importa? A me interessa che tu sia contenta. Se non sei convinta fermati subito! ”E se uno è innamorato, lo sente dentro che è innamorato; quindi bisogna sposarsi innamorati e sposarsi innamorati vuol dire che ci devono essere alcune cose. Concludo soltanto il pensiero dicendo questo. Il sessanta per cento delle coppie che si sposano non era innamorato, confonde l’innamoramento con il volersi molto bene; sono due cose diverse. Se io chiedo: “Sei innamorata di lui?” , di solito mi rispondono: “Gli voglio molto bene”. “Guarda che non ti ho chiesto se gli vuoi bene, ti ho chiesto se sei innamorata”. Io voglio bene a un sacco di gente, bisogna essere innamorati. L’innamoramento e l’amore sono la stessa cosa; io non posso amare una persona se non ne sono innamorata. E se ne sono innamorata, certamente l’amo. Le persone dicono: “I primi anni eravamo innamorati, adesso è rimasto l’affetto”. L’innamoramento non viene mai meno, neanche dopo trent’anni di matrimonio. È la coppia che dice: “Siamo più innamorati oggi di quando ci siamo sposati. ”Per amore di realtà aggiungo: una coppia può andare avanti bene tutta la vita con grande affetto, senza essere innamorata, però sono due cose diverse. Io devo dare il nome giusto alle cose. Quand’è che possiamo dire di essere innamorati? Quando ci sono tre gambe in un tavolo, è chiaro che se ne manca una il tavolo cade quindi ci devono essere tutte tre, non solo devono essere tutte tre molto solide; ai fidanzati dico sempre: “Se anche una sola traballa, non sposatevi”.
La prima gamba è una FORTE ATTRAZIONE FISICA. Capita a tutti in un matrimonio di provare simpatie o emozioni per qualcun altro, questo è normale; al marito bisogna dire tutto e quando dico tutto, intendo dire tutto, anche le sciocchezze, tranne questa cosa qua, questa è l’eccezione. Al coniuge non si dice questa cosa perché dopo tre mesi può essere passata a me, a mio marito il pugno nello stomaco difficilmente passa e quindi se sono abbastanza matura devo essere in grado di gestirmi da sola questa cosa senza disturbare mio marito e la mia coppia, anche perché di solito lo si dice al coniuge per liberarsi; devi essere abbastanza maturo da gestirti tu a meno che non abbia l’intenzione di buttare all’aria il matrimonio, allora lo posso anche dire; in tutti gli altri casi no. Attenzione attrazione fisica non vuol dire che mi piaccia tutto dai capelli ai piedi; ci possono essere delle parti del corpo dell’altro che non mi piacciono, ma ci sono quei due o tre elementi che mi fanno piacere quel corpo più di qualsiasi altro. Nella attrazione fisica entrano anche lo sguardo, il sorriso, la mimica facciale, il modo di parlare, di gesticolare, di camminare, la personalità, il fascino. Il fascino non ha niente a che vedere con la bellezza, secondo i canoni estetici televisivi: ci possono essere della donne molto belle che sono dei baccalà e ci sono delle donne bruttine che hanno un fascino splendido, quindi bellezza e fascino sono due cose diverse, altrimenti si sposerebbero solo i belli; per fortuna mia e anche vostra ci sposiamo tutti quindi…. Quando un fidanzato o un marito continua a rompere le scatole: “Dovresti truccarti un po’ meglio, dovresti vestirti in maniera diversa, dovresti dimagrire eccetera, vuol dire che non è innamorato; la persona innamorata parla in un altro modo: “Se dimagrisci qualche chilo stai meglio anche tu, però a me piaci lo stesso”, questo è essere innamorati. Quando anche in consultorio appunto un marito dice: “Ma io vorrei che lei facesse queste cose”, vuol dire che non è molto innamorato. Poi tra i fidanzati dico sempre: “Se il moroso guarda le altre qualche volta per la strada è normale, se le guarda con insistenza, non sposatelo perché non è convinto."
 
Seconda gamba del tavolo è LA STIMA. Noi possiamo stimare tante persone e non amarle, ma se amiamo una persona la stimiamo più di qualsiasi altra persona al mondo. Stima vuol dire non vedo l’ora di arrivare a casa stasera per raccontare le cose a mio marito e quindi di sentire anche il suo parere su questa situazione perché so che lui mi farà vedere degli aspetti che io non ho pensato. Stima vuol dire mettere l’altro sul trono e sul trono ci sta una sola persona, un solo re, una sola regina. Qui il test da fare è questo qui: mettete a confronto il moroso, il marito, papà, moglie, madre ecc., chi è che stimate di più e che risulta vincente? Dovremo rispondere subito mio marito, mia moglie, altrimenti manca la stima.
Faccio un paio di esempi.
Ad una signora chiedo: “Mi parli del suo papà”. E lei mi dice: “Mio papà era una persona molto in gamba”. Dico: “Vedo che stimava molto il suo papà”. E lei mi dice: “Mio papà era una persona eccezionale” e lo dice proprio illuminandosi. Allora io dico: “ Ma suo marito dove sta? Perché se sul trono c’è ancora il papà che è così bravo, come fa il marito a salire sul trono? non potrà mai salirci”. Infatti hanno anche dei problemi a letto. Naturalmente questo non significa non stimare più i genitori, noi possiamo stimare molto i genitori ma sentiamo che la persona che abbiamo sposato ci lascia la possibilità di affidarci completamente.

Un altro caso è questo. Una ragazza è sposata da quattro, cinque mesi e anche a lei chiedo: “Metti al confronto il marito col papà, chi è che risulta vincente?”. Lei risponde: “Ma io non lo so, sono due cose diverse, come faccio a rispondere?”. E così non rispondendo mi ha già risposto. Allora riprendo: “Ascolta, non contartela tanto su. Hai sulla barchetta il marito e il papà, chi salvi?”.Purtroppo non mi ha saputo rispondere: bisogna rispondere subito "il marito". Il papà si arrangerà. Se è sulla barchetta, devo salvare mio marito. Questa è la stima.
A proposito della stima, la gelosia. La gelosia è un test velocissimo di non innamoramento. La persona gelosa non è innamorata; sto parlando della gelosia di chi tormenta, controlla, vuol saper tutto, perché se io voglio controllare tutto, non ho fiducia di te, non ho stima di te quindi non ti amo.
Quando in una coppia si comincia a dirsi le parolacce, sicuramente è venuto meno qualche cosa; possiamo dirci stupido qualche volta affettuosamente oppure ce lo diciamo arrabbiati quella volta all’anno che facciamo un litigio solido ma se anche davanti a me uno mi dice: “Non vede che moglie imbecille che è, dottoressa”, allora non c’è più la stima, non c’è più niente.
La terza gamba del tavolo è il “PER SEMPRE”.
Se siamo davvero innamorati noi pensiamo di stare insieme novant’anni, non possiamo immaginare che il rapporto finisca.
Quindi quando coppie di fidanzati dicono: “Adesso andiamo a convivere un po’ per verificarci” non è possibile perché chi è innamorato lo sente dentro, non ha bisogno di convivere per verificarlo. E se abbiamo bisogno di qualcosa per convincerci vuol dire che non siamo convinti sennò lo saremmo già e la maggior parte delle convivenze sapete che va a finir male.
Oppure anche quando alcuni uomini dicono: “Ma io a lei ho proposto la convivenza perché tanto il matrimonio che cos’è, un pezzo di carta, cosa c’entrano i preti? Basta volersi bene e tocca il nostro amore, una cosa nostra privata.”
Il nostro amore non è una cosa privata, è una cosa pubblica, è ufficiale, anche con degli aspetti privati.
Ecco questi ragionamenti sono ragionamenti da quindicenni. La persona matura dice: “Io ti sposo”, la persona innamorata si sposa; se propone la convivenza, vuol dire che non è convinto e infatti la convivenza è una proposta da adolescenti.

Noi diciamo che la Chiesa ci butta addosso dei pesi, la fedeltà, l’indissolubilità; siamo noi che parliamo così. “Mi amerai per sempre? Io ti amerò per sempre”, siamo noi che diciamo per sempre, allora la Chiesa dice: “Io raccolgo il vostro per sempre e ve lo ridò illuminato da una luce nuova che è la grazia del sacramento”. E chi si sposa in chiesa ha un problema in meno; io e te litigheremo su tutto, metteremo in discussione anche l’universo, tranne questa cosa qui: che io e te staremo insieme tutta la vita. Per gli altri può valere la domanda: “Questo litigio è sufficiente per una separazione o no?”, noi questo problema non ce l’avremo.

Allora una forte attrazione fisica, la stima (il re sul trono), il “per sempre”; queste sono le tre gambe.
Per fare il tavolo ci vuole il ripiano sopra. E sul ripiano c’è scritto: “L’INFINITA PAZIENZA DEL RICOMINCIARE”. Infinita non vuol dire un po’, non vuol dire tanta. Infinita, lo dice la parola, significa senza fine. L’infinita pazienza del ricominciare: chi è veramente innamorato ricomincia sempre da capo. Per tre giorni strozzerei mio marito ma il quarto giorno mi vien voglia di ricominciare con lo stesso entusiasmo.
Questo è essere innamorati.


7. Il vermiciattolo.


Chiusa la sesta margherita, passiamo alla settima che è il verme delle donne e il verme degli uomini.
Cominciamo dal verme delle donne che abbiamo tutte, nessuna esclusa e ci fa comportare così. Noi donne abbiamo questa voglia dentro di tormentare il marito. Il marito guarda la televisione, alla moglie viene voglia di fare rumore coi piatti o di passare con l’aspirapolvere; il marito sta leggendo il giornale in poltrona tranquillo, alla moglie viene voglia di fare una domanda urgentissima così interrompe la lettura del marito. Il marito si alza la domenica mattina canticchiando e alla moglie viene voglia di fargli un’osservazione. Questo è il nostro verme femminile, la voglia di tormentare il marito. Scartiamo i casi in cui si lavora fuori casa tutti e due, allora è giusto begare col marito perché appena arriva in casa faccia anche lui la sua metà; io sto dicendo un’altra cosa, di quando il marito si sta godendo una cosa in santa pace, allora lì la spiegazione è un’altra. Se io faccio fatica a vedere mio marito contento, vuol dire che faccio fatica a vedere me contenta perché non posso dare a lui quello che non dò a me stessa e avrò dei problemi anche a letto. Per essere felici nella vita di coppia bisogna strozzare il verme della moglie, non la moglie; per strozzare il verme della moglie bisogna sapere che c’è; adesso sapete che c’è, quindi il marito può dire alla moglie: “Non ti sembra che sia il tuo verme che vien fuori?”, ci fate una risata su e allora andati avanti, altrimenti col verme ci cascate per vent’anni.
E poi un po’ di sano umorismo nella coppia è essenziale; bisogna imparare a sorridere anche un po’ di noi stessi.
Poi c’è il verme degli uomini, che gli uomini proprio loro non ci arrivano; pensare di mettere insieme un uomo e una donna che vadano d’accordo per tutta la vita è un’idea balordissima: un uomo e una donna non potranno mai andare d’accordo perché sono troppo diversi.
Non c’è niente di così diverso come un uomo e una donna, lo sappiamo però ce ne dimentichiamo per cui noi pensiamo che amare significhi condividere tutto, ma cosa volete che condivida con uno che ha la testa completamente diversa dalla mia? Possiamo condividere le scelte, quelle sì ma tutto il resto no, se no mi chiedo cosa condividono non so un’italiana che sposa un musulmano eppure io ho visto coppie che vanno bene, poche ma ne ho viste che vanno bene. Cioè non è che amare significhi condividere tutto altrimenti si cade in questo imbroglio. Come fai tu a dire di amarmi se vuoi guardare la partita e io ho voglia di fare una passeggiata? Allora amarsi vuol dire desiderare la stessa cosa nella stesso momento, nello stesso modo? Evidentemente no, tu guardati la tua partita, io vado a farmi una passeggiata poi ci rincontriamo; invece noi pensiamo che l’altro ci ama di più se la pensa come noi, se desidera come noi e abbiamo sempre i nostri imbrogli.
Nella realtà è possibile un’altra cosa, cioè che un uomo e una donna riescano a costruire una buona comunicazione di coppia, questa è la felicità ma ci vogliono almeno dieci anni di faticacce nel matrimonio. Sto sempre parlando del verme degli uomini. Quando siamo fidanzate noi donne stiamo bene perché abbiamo quello che desideriamo, lui ci corteggia, siamo al centro della sua attenzione, non si dimentica mai niente, ci telefona, ci porta il fiorellino, è attento a tutto e lì noi stiamo bene. Nel momento in cui ci sposiamo l’uomo cambia e lì è la nostra fregatura; noi donne restiamo fregate perché nel momento in cui ci sposiamo, l’uomo che ha una testa diversa dalla nostra, ragiona in questo modo: “Amo mia moglie, mia moglie ama me, mantengo la mia famiglia, le consegno la busta paga, non vado mai al bar, sono all’altezza a letto, va tutto bene no?” per un marito va tutto bene, per la moglie no.
La moglie si sposa aspettandosi tutte quelle robe là di prima.
E far capire questa cosa a un marito, altro che dieci anni di faticaccia.
La battuta più bella che faccio da anni è questa qui.
La moglie pone al marito la solita domandina: “Mi vuoi bene?”. Risposta del marito: “Se sono sempre qui”, cioè per il marito il fatto di essere lì è una prova di grande amore; a tua moglie non basta che tu sia sempre lì, vuole anche qualcosa d’altro.
Scena da un matrimonio. Il marito guarda la televisione e la moglie parla; dopo un po’ la moglie dice: “Ma mi hai sentito?” “Certo che ti ho sentito”. “Ripeti quello che ti ho detto!”. Il marito ripete le parole della moglie, ha sentito la moglie ma non l’ha ascoltata: sono due cose molto diverse.
Questa margherita la troviamo nel Vangelo nella pagina delle tentazioni di Gesù.
Gesù è stato tentato come noi su tutto, con tutte le belle donne che lo seguivano sarà stato tentato anche su questo, ma il Vangelo ricorda tre tentazioni e infatti quella pagina comincia proprio così: dopo aver tentato in tutti i modi Gesù, Satana lo porta nel deserto.
Prima tentazione, la tentazione del pane: “Di' che queste pietre diventino pane”. Essere tentati sul pane a stomaco pieno non sarebbe stata una gran tentazione ma dopo un po’ di giorni di digiuno non era male.
Quando recitiamo il Padre nostro, noi recitiamo: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, oggi, quotidiano, cioè dacci il pane che è adatto per oggi, che non è il pane che mi andava bene ieri, non è il pane che mi andrà bene domani.
Anche nella coppia c’è un pane quotidiano e tutti i giorni c’è un pane diverso, non può essere lo stesso pane tutti i giorni. Allora ci può essere il giorno in cui ci diciamo solo buonanotte perché siamo stanchi, c’è il giorno che facciamo bene l’amore, il giorno che discutiamo due ore perché dobbiamo arrivare ad una scelta insieme, il giorno che parliamo beatamente per dieci ore di fila, il giorno che ci abbracciamo soltanto (...) ma tutti i giorni bisogna mangiare qualche cosa, cioè dar da mangiare al nostro amore, altrimenti il nostro amore digiuna, dimagrisce e poi muore.
Oppure, se mangiamo sempre lo stesso pane, si arriva ad una espressione popolare molto efficace, non so se la dite anche voi, il matrimonio è la solita minestra.
La seconda tentazione è quella del potere. Satana porta Gesù in alto e gli dice: “Tutto questo sarà tuo” gli fa vedere tutti i regni della terra; è la tentazione del potere. Il potere non è soltanto quello politico, il potere c’è anche nella coppia ed è una dinamica normale di tutte le coppie e va suddiviso bene. Ci può essere la coppia che dice: “Per queste cose decido io, per queste cose decidi tu” oppure ci può essere la coppia che dice: “Va bene, qualunque cosa ci sia da decidere, fosse anche il tipo di pane da mangiare, si decide sempre insieme.”
Però il potere è una cosa fondamentale in tutte le coppie perché sono due persone che devono mettersi d’accordo, quindi è importantissimo riuscire a suddividerlo bene.
Nella nostra coppia chi è che vuole sempre avere l’ultima parola, che vuol sempre aver ragione?
Quasi sempre le donne ed è una forma di potere perché in realtà è come dire: “Se io ho ragione, vuol dire che sono più brava di te, quindi ho più potere di te. Se dovessimo poi parlare del potere della donne a letto evidentemente staremo qui ancora un bel po’ perché se è il marito che chiede sempre il rapporto, il potere ce l’ha la moglie che ha il potere di dire di sì o di dire di no: che dica di sì, che dica di no, ha fregato suo marito.
La terza tentazione. Satana porta Gesù sul pinnacolo del tempio e gli dice: “Buttati perché c’è scritto che verranno gli angeli a sostenerti e non ti farai male.” È la tentazione dell’onnipotenza. Che cos’è l’onnipotenza? È la tentazione contro la realtà perché nella realtà se mi butto dal campanile mi sfracello per cui la tentazione dell’onnipotenza nella coppia è questa: quando a volte le fidanzate dicono: “Sì lui ha un brutto carattere però io dopo..” sottinteso io lo cambio. Non sei onnipotente, non hai il potere di cambiare l’altra persona anche perché o l’altra persona è disponibile a modificarsi un po’ altrimenti non cambierà mai, ma anche se si è disponibili, cambiamo di noi stessi qualcosa di superficiale, in profondità è difficilissimo cambiare noi stessi, è la cosa più difficile di questa terra.
Eppure sappiamo benissimo che stiamo arrivando a una cifra pazzesca di coppie che si separano, però tutte le coppie si sposano e non pensano assolutamente mai a questa cosa qui. Cioè c’è una forma di onnipotenza che dice. “Succede agli altri ma non a noi” e si esorcizza, si censura la difficoltà che può essere comunque di tutti.
 

8. Ambivalenza.


Ottava margherita. E’ il pilastro importantissimo di ogni matrimonio: si chiama ambivalenza. Che cosa è l’ambivalenza? E’ provare sentimenti opposti verso la persona che amiamo; cioè verso la persona che sposiamo non proviamo solo sentimenti di amore, affetto, tenerezza, disponibilità, desiderio, proviamo anche il contrario: rifiuto, non sopportazione, un po’ di odio, un po’ di rancore, un po’ ti strozzerei. Questa è l’ambivalenza. Tradotto, quante volte nella nostra coppia diciamo: “Come sono innamorata di mio marito” e altre volte ci chiediamo: “Ma come ho fatto io a sposare un uomo così?” Viceversa sempre dei giorni che desideriamo andare a letto col marito e dei giorni che guai se ci sfiora con un dito, dei giorni che daremo la vita per i nostri figli, dei giorni che proprio li butteremo dalla finestra. Questo non significa che non amiamo più il marito e i figli, questa è la realtà, fa parte della realtà provare queste cose opposte. Non parliamo di noi donne per questioni ormonali di ciclo, ci sono dei giorni al mese che facciamo fatica a sopportarci da sole, ci sono coppie che litigano per anni a scadenza mensile e non si rendono conto di cosa si tratta, siamo molto condizionate dagli ormoni. Anche gli uomini hanno un ciclo però è molto più lungo, non è visibile e soprattutto i cambiamenti ormonali nell’uomo sono molto leggeri, nella donna sono molto profondi per cui un uomo psicologicamente non riuscirebbe mai a sopportare i nostri sconvolgimenti ormonali; per fortuna degli uomini il Signore li ha affibbiati a noi donne. Chi non sa che c’è l’ambivalenza, quando prova i secondi sentimenti, mette in discussione tutto: l’amore, l’universo, il matrimonio. Se provo questa cosa qui vuol dire che non lo amo più e invece no, fa parte della realtà. Ambivalenza vuol anche dire: “Tu sei buono ma sei anche cattivo, mi vuoi bene ma sei anche in grado di farmi del male, proprio perché mi vuoi bene mi fai soffrire; delle volte mi capisci così bene e delle volte proprio non capisci un tubo, delle volte mi ami come io desidero, delle volte non ci riesci.” Questa è l’ambivalenza. Ambivalenza vuol anche dire, ammettiamo che mio marito oggi abbia un comportamento che io non mi sarei mai aspettata da lui, capita tante volte; se io accetto l’ambivalenza, cioè se sono abbastanza matura accetto l’immagine che oggi mio marito mi dà di sé stesso e faccio tacere e morire tutte le immagini che io ho avuto di mio marito finora perché la sera che ci siamo sposati eravamo già diversi, dopo un mese, dopo un anno, dopo anni, la vita ci cambia un po’, non profondamente, dicevo prima, però la vita ci cambia un po’.Per cui la coppia che va bene è la coppia che cambia, la coppia che si aggiusta in continuazione.

Sui cambiamenti reciproci; invece noi che cosa ci diciamo?“ Ma io ti pensavo diverso”
“Ma sono cambiato?”
Cioè uno non può essere come era cinque anni prima.

In consultorio: una donna. Parla lei perché parlano sempre le donne.
Dopo un quarto d’ora che parla lei, dò un’occhiata a lui per invitarlo; lui interviene e dice: “Mai io non so cosa vuole mia moglie, siamo sposati da dieci anni ma io sono ancora quello”
Dico: “Male, guardi che il problema sta proprio lì, uno non può essere come era dieci anni prima”.

E il test, la prova in assoluto più alta dell’amore qual è?
Che chi ama cambia. Per cui la persona che ama è la persona che dice: “Per far andar bene il mio matrimonio io sono cambiato, mi sono ribaltato, ho begato, ho pianto, ho rivoluzionato tutto”.
Questa è la persona che ama.
Se uno dice: “Io sono ancora quello”, di amore ne ha passato poco! E invece ci giustifichiamo così, come se fosse un vanto il non essere cambiati.

L’ambivalenza ha poi anche un bel significato: che noi non possiamo mai dare per scontato di conoscere l’altro.
Dopo quarant’anni di matrimonio non ci conosciamo ancora bene.

Allora nella coppia c’è sempre la novità, perché c’è sempre se ci vogliamo bene, se siamo innamorati, il gusto di conoscere sempre di più l’altro e non finiremo mai di conoscerlo perché anche dopo, quando avremo ottant’anni, se saremo ancora insieme, non so come si comporterà mio marito in una situazione, non so nemmeno come mi comporterò io. Quindi c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire dell’altro.
In questo senso la persona che sposiamo per noi è un mistero; Solo che la parola mistero la intendiamo come qualche cosa di incomprensibile, invece mistero vuol dire inesauribile. Tutti i misteri della fede sono inesauribili, non smettiamo mai di approfondirli, di conoscerli, di illuminarli.
Nel Vangelo questa margherita mi piace moltissimo perché è al centro di tutta la nostra fede; mettiamo insieme queste tre frasi: che Dio è amore, siate perfetti come il Padre vostro, se non diventerete come i bambini.
Allora la prima frase “Dio è amore”.
Quando ci dicono che Dio è amore diciamo: “Sì, va bene, lo so da anni che Dio è amore”. Però esattamente cosa vuol dire? E poi perché posso davvero dire che Dio è amore? Altrimenti sarebbe solo una frase. Posso dire e posso credere che Dio è amore, perché Dio è cambiato: da Dio è diventato uomo, il più grande cambiamento che Lui poteva fare l’ha fatto.
Dall’infinitamente grande all’ infinitamente piccolo di un ovicino fecondato, questo è il nostro Dio, allora io ci credo che Dio è amore. E per quanto ne dica s. Agostino, diceva che il mistero della Trinità non si può conoscere, credo che sia il mistero più facile da capire e per noi sposati dovrebbe essere anche più facile da capire. Se posso dire che Dio è amore, l’amore che cos’è? Se io chiedessi a ogni coppia qui che cos’è il vostro amore, potreste darmi tante definizioni ma quella più corretta è questa: “L’amore è una relazione.” E’ la relazione tra voi due; allora se Dio è amore e l’amore è una relazione, può essere un Dio da solo là sopra? Impossibile, se l’amore è una relazione, devono essere almeno in due.
E se l’amore è vero qual è la prima conseguenza della logica di quell’amore? Che quell’amore diventa fecondo, ecco il figlio, ecco la Trinità; per cui quando la coppia diventa gruppo con un figlio, è ancora di più immagine della Trinità e qualsiasi discorso che facciamo sulla spiritualità di coppia dovrebbe partire da questo.

La seconda frase “siate perfetti come il Padre vostro”.
Potremo anche pensare che è un modo di dire, come facciamo ad essere perfetti come Dio? Ma siccome il Signore la usa dobbiamo prenderla sul serio; solo che la parola perfezione noi la intendiamo così, un quadro perfetto, un’opera d’arte scolpita come la pietà di Michelangelo, però è immobile, fredda.
La parola perfezione deriva dal latino “per fare”, fare attraverso, quindi siamo di nuovo al significato del cambiare. Quindi siate perfetti come Dio cosa significa?
Siate in cambiamento, siate in movimento come è in movimento Dio nella storia dell’uomo."
Terzo “se non diventerete come bambini”, non infantili evidentemente.
Che cos’hanno i bambini di diverso da noi? Una cosa che si vede a occhio nudo, probabilmente l’avete vista anche stamattina dicendo ai vostri bambini: “Dai che andiamo là”.
I bambini non hanno paura della novità, non hanno paura del cambiamento, di fronte a un cambiamento i bambini hanno subito l’entusiasmo, siamo noi che abbiamo paura del cambiamento. Allora se non diventerete come bambini nella novità del cuore, cioè non sarete disposti al cambiamento o alla novità, non capirete un tubo della novità che io vi ho portato.
E a proposito del cambiamento, fra le pagine del Vangelo, per non dire in ogni riga, c’è questo invito: “Cambiate! Cambiate! Cambiate!”
Se cambiate avrete la mia gioia, questo è l’invito del Vangelo; siccome cambiare noi stessi è la cosa che odiamo di più perché richiede una faticaccia, allora l’umanità, cioè ciascuno di noi preferisce ammalarsi, soffrire, persino morire, ma non affrontare la faticaccia di cambiare noi stessi.
Questo è il motivo per cui il Vangelo viene capito poco ed è il motivo per cui non abbiamo molta gioia, altrimenti se come cristiani vedessero la nostra gioia, sicuramente gli altri avrebbero una testimonianza molto più efficace.


9. Noi.
La nona margherita è un altro test per sapere se una coppia sposata va bene. Basta ascoltarla parlare. Se una coppia parla usando “io, tu”, “io, lei”, “io , lui” e “la mia casa”, “tuo figlio” ma non vien mai fuori il “noi”, vuol dire che la coppia non c’è.  Quindi la coppia non c’è il giorno che ci siamo sposati in chiesa come regalo in più; la coppia c’è dopo dieci anni di faticaccia che abbiamo fatto per costruirla. Per tutti i lavori di questo mondo prevediamo scuole corsi eccetera, per costruire la coppia che in assoluto è la cosa più difficile, che cosa diciamo? “Basta volersi bene”, cioè ci prendiamo in giro. Infatti anche i corsi che facciamo per fidanzati sono veramente concentrati e miseri perché la cosa più importante della nostra vita richiede meno attenzione. Io sono del parere che la Chiesa è l’unica che ancora prepara e fa qualcosa per i fidanzati; può essere criticata finchè si vuole, però a volte, quando mi dicono: "Beh, però la Chiesa..." [rispondo] "...Perché lo Stato che cosa ha fatto per prepararvi al matrimonio? ...Niente! Saranno criticabili i nostri corsi, però almeno la Chiesa vi dà qualche cosa. Sono comunque del parere che dovremo fare corsi di fidanzati almeno di sei mesi, dove c’è la verifica della scelta, in questo modo salveremo i matrimoni prima e non dopo.
Questa margherita la troviamo nel Vangelo in due immagini di Gesù.
La prima è quella dell’uomo; se uno vuol fare la guerra al nemico, prima si siede a tavolino e poi studia se ha le forze sufficienti per fare la guerra se no è meglio che stia a casa sua perché va incontro a una sconfitta sicura; quindi ai fidanzati (la domanda è per i fidanzati ma vale anche per noi) chiedo: “Abbiamo studiato se abbiamo un esercito sufficiente? Cioè abbastanza senso di realtà per affrontare un matrimonio?”

La seconda immagine è quella della casa costruita sulla roccia o sulla sabbia: la differenza non ha bisogno di essere spiegata; e anche qui, abbiamo utilizzato il fidanzamento per piantare i pilastri nella roccia? Questo è il fidanzamento. Poi il matrimonio serve per finire la costruzione, per arredarla, per abbellirla ma se non abbiamo i pilastri nella roccia, al primo litigio solido, la casa costruita sulla sabbia crollerà.
10. Incompatibilità di carattere
La decima margherita è la seconda parola da cancellare dal nostro vocabolario di coppia; la prima parola da cancellare era la parola “colpa”, la seconda è “incompatibilità di carattere”. Di solito quando una coppia si separa si dice che è per incompatibilità, nella realtà noi nascondiamo dietro questa parola tutti i motivi per cui la coppia si sta separando, motivi che la coppia non conosce. Non esiste la “compatibilità di carattere”, cioè non esistono due persone col carattere compatibile, esistono persone che sgobbano da anni, abbiamo detto almeno dieci, per costruire una buona comunicazione di coppia. Non è una questione di compatibilità, è una questione di maturità; se io sono matura vado d’accordo con tutti i tipi di carattere, se non vado d’accordo con gli altri è perché non sono abbastanza matura. Nel Vangelo questa margheritina la troviamo quando Gesù dice: “Non separi l’uomo quello che Dio ha unito”; naturalmente anche quando in consultorio vengono le brave coppie vicino alla chiesa che mi dicono : “Ma il Signore ci ha fatto incontrare” e io dico: “Aspetta un attimo perché se adesso voi vi separate, cosa dite che il Signore adesso vi ha fatto separare?”; cioè non facciamo fare a Dio quello che non fa, i pasticci li facciamo noi, poi se volete, c’è anche lo zampino di Dio nel nostro matrimonio, nel nostro amore. Ci sono dei motivi molto profondi per cui sposiamo proprio una persona e anche se ci separiamo e andiamo a trovarci un’altra persona, pressappoco è simile alla prima. Quando in consultorio le persone si separano, sempre, c’è uno dei due che dice: “Io darei la vita per i miei figli”. E io a volte dico: “Ma si è accorto del verbo che ha usato?”. E loro ribadiscono il concetto. Allora dico: “Guardi che ha usato il condizionale. Io darei la vita sottintende un se. Eh no, io dò la vita per il miei figli. Allora le credo.” [Il matrimonio consumato ...] la parola consumare ci ricorda la candelina; se la cera non si consuma, la luce non si fa, allora il mio matrimonio è consumato quando io sono consumata per il mio matrimonio, non in senso masochistico, quando ho dato tutto per il mio matrimonio e non c’è amore più grande di colui che dà la vita. Per cui stiamo attenti a dire: “Buongiorno amore, ciao ti amo”, un momento, un momento, allora quel ti amo vuol dire: “Sono disposta a dare la mia vita per te”. Allora non c’è amore più grande di colui che dà la vita. Allora la domanda è questa:
“Io sono disposta a dare la vita per il mio matrimonio, per mio marito?”. Allora posso dire ti amo. Altrimenti sono parole vuote e quindi dare la vita non vuol dire andare in croce, per fortuna non ci viene chiesto questo, ma di accettare la propria croce si.Dare la vita e consumarsi vuol dire dare tutte le energie, tutto l’entusiasmo, tutta la nostra passionalità, tutta la nostra volontà per far andare bene quel matrimonio, allora è consumato e allora posso dire ti amo se no facciamo a meno di dirlo. Un gruppo di sposi che si incontrano per una messa l’ultimo sabato del mese e io dò sempre il mandato per il mese successivo, cioè un compito da fare. L’ultimo mandato era sulla domanda che Gesù fa a Pietro: “Mi vuoi bene?”. Ho dato alle coppie un compito molto provocatorio e facevo alcune domande: Se ci fosse stata presente la moglie di Pietro, lui cosa avrebbe risposto a Gesù? Sarebbe stato altrettanto libero di rispondere tu lo sai che ti amo?. La moglie sicuramente si sarebbe messa di mezzo ed avrebbe detto: “Ma come? E me?”. Però la domanda provocatoria era: “Noi diciamo che abbiamo fede; quando recitiamo: "O Gesù d’amore acceso..." alla fine diciamo queste parole qui "...perché ti amo sopra ogni cosa" e quel sopra non vuol dire sopra il tavolo e sopra le sedie evidentemente, vuol dire metterlo al primo posto. Questo è il timor di Dio. Timor di Dio non vuol dire avere paura di Dio, vuol dire metterlo al posto giusto, il posto giusto è il primo. Allora la domanda era: “Se dovessimo scegliere, tra perdere il marito, la moglie, un figlio e perdere la fede in Gesù Cristo, cosa sceglieremmo? Dovremmo essere in grado di dire non che non soffriremmo, posso essere disperata, però sarei disposta a perdere mio marito, i miei tre figli ma non a perdere la fede in Gesù Cristo perché questo è più importante dei miei figli. Aggiungo una cosa che qualcuno sicuramente ha già sentito ma non per farmi bella, è solo una testimonianza che dobbiamo dare anche ai figli. La mia ultima figlia quando era bambina, adesso è grande, è quella che mi ha sempre messo molto alla prova, è un tipo che osserva molto e veniva con le domandine un po’ tremendine, come fanno i bambini... Un giorno viene e mi dice: “Mamma qual è la persona più importante per te?”, naturalmente col sorrisino come dire: “Beh, dirai che sono io, è ovvio?”. Le ho risposto: “Guarda Ilaria, la persona più importante per me è il Signore, subito dopo vieni tu”. Non è mica andata via scontenta, è andata via contenta perché se mettiamo Dio al primo posto, tutte le persone saranno al primo posto, ma se mettiamo una persona al primo posto, tutte le persone, compresa quella persona lì, saranno al secondo posto.


11. Donne.
Undicesima margherita è il sacco in più sulle spalle delle donne. Noi donne abbiamo un sacco in più sulle spalle da portare che consiste in questo: tocca a noi donne impostare la vita di coppia, la comunicazione nella coppia. Tocca a noi donne per tre motivi.
Primo perché il bisogno di indagare, chiacchierare, insomma approfondire, noi donne ce lo ritroviamo dentro, per noi è istintivo; l’uomo questo bisogno lo sente di meno o lo sente in maniera diversa.
Secondo perché gli scienziati ci dicono che sono state le donne a inventare il linguaggio in tempi primitivi. L’uomo andava a caccia, la donna restava diciamo a casa e ha inventato l’agricoltura, il linguaggio e molte scoperte sicuramente le hanno fatte le donne.
Terzo perché il cervello della donna è diverso dal cervello dell’uomo, è vero che pesa un po’ di meno di circa due etti quello femminile ma i due emisferi del cervello destro e sinistro sono tenuti insieme dal corpo calloso, che nella donna è più esteso che nell’uomo di circa il quaranta per cento; questo significa che la comunicazione tra i due emisferi, quello razionale e quello emotivo nella donna è più veloce.
Quindi tocca alla donna impostare la comunicazione nella coppia. Tocca a noi donne insistere col marito. Non è necessario dirlo perché noi siamo già bravissime a farlo, ma in questo senso qui: “Tu cosa pensi, tu cosa provi?”.Il marito chiede alla moglie: “Cosa pensi?”. “Niente” [risponde lei].Quel niente vuol dire un sacco di cose. Ma perché non ci chiediamo mai "Cosa provi?", che è cento volte più importante di quello che pensi. E non fermatevi mai al “niente” di una donna. Perché il giorno dopo la moglie è più incavolata del giorno prima. Il marito si giustifica dicendo: “Ma tu ieri sera mi hai detto niente”... ma non era "niente". "Tu cosa pensi? Cosa provi? Cosa desideri? Cos’è che ti dà fastidio? Non ti sembra che ultimamente c’è qualcosa che non va? Oggi hai detto quella cosa lì ma la tua faccia diceva il contrario: adesso me lo chiarisci! Di questa cosa qui io e te dobbiamo parlare proprio stasera. "Questo lavoro spetta alle donne. Se la donna accetta questo sacco in più sulle spalle, non solo il marito la segue, i mariti sono bravi e buoni, seguono sempre le mogli, almeno i primi anni poi magari si stufano. I primi anni sono bravissimi, la moglie verrà anche ricompensata tantissimo della fatica che ha fatto da sola all’inizio. Ma se la moglie non accetta questo sacco sulle spalle... Questa è stata la proposta del femminismo: “Perché devo fare io donna da sola questa faticaccia? La faccia un po’ anche lui!”. Non la fa nessuno se non comincia la donna e quanto vi sto dicendo è sotto gli occhi di tutti, dove la donna ha mollato il sacco sulle spalle, la coppia o la famiglia non mi pare vada tanto bene. Anche qui ai fidanzati faccio la battuta: “Visto che vi sposate in chiesa, qualcosa crederete, forse vi sarete già chiesti come mai la chiesa cattolica ci tiene tanto alla Madonna? Perché dal sì di quella donna è derivata la salvezza. Se la Madonna non avesse detto di sì, noi non avremo avuto la salvezza o Dio doveva andare in giro con un lanternino a cercarsi un’altra donna disponibile.” E se ci pensate, tutta la storia della salvezza, è appesa a quel sì di una donna. Allora è come se la Chiesa dicesse ancora oggi a ciascuna di noi, in particolare il giorno che ci siamo sposati, nella liturgia del matrimonio, c’è una benedizione particolare per la sposa, non sarà mica un caso, è come se la Chiesa dicesse ancora oggi a ciascuna donna: “Dal tuo sì (io a livello psicologico dico dal sì alla fatica sulla comunicazione), ancora oggi deriva la salvezza della coppia, della famiglia, dei figli, della società. Per cui se mi chiedete “Qual è la coppia che va bene?”, l’unica risposta è questa: “È una coppia dove c’è una donna molto testarda, molto cocciuta che ha deciso di farla andare bene, perché la riuscita di una coppia è nelle mani di una donna.”Uomo e donna sono molto diversi, abbiamo detto. Dopo un litigio il marito dice: “Dai che andiamo a letto.” Lui intende a fare pace. Le mogli si incavolano di brutto: “Come puoi pretendere che io venga a letto con te se abbiamo appena litigato?”. Il marito dice andiamo a letto e lui dimentica tutto, le donne non dimenticano mai niente, loro segnano tutto ("tu l’anno scorso mi avevi detto che...", "non ti ricordi che...", "tre anni fa come è andata a finire?" e "Anche da fidanzati mi ricordo quella volta..."), non dimenticano mai niente.Allora la donna saggia che vuol fare andar bene la sua coppia, non è la donna che dice: “Taccio a fin di bene.” A parte che le donne non tacciono mai, ma se una donna tace è sempre a fin di male. Se una donna tace, oggi sta male, domani sta peggio, dopo sei mesi ha la gastrite o la colite, dopo un anno il rancore e ve la fa pagare, quasi sempre a letto, ma ve la fa pagare. Allora la donna saggia che vuol far andare bene la sua coppia è la donna che dice: “Guarda che io ho qui un rospo, dobbiamo parlarne proprio stasera”. Cioè è la donna che esaurisce le cose volta per volta perché le donne tendono ad accumulare e a furia di accumulare arrivano a un punto di non ritorno dove nessuno dopo le convince più. Se una donna pianta un chiodo, non si schioda più, l’uomo magari si schioda ancora, ma una donna no. Faccio ancora una battutaccia che faccio sempre. Per una moglie andare a fare la spesa col marito al supermercato è un preliminare sessuale, non perché il marito porta le borsine e spinge il carrello, ma perché per le donne è importante fare la cose insieme. L’uomo quando deve fare una cosa non vuole nessuno tra i piedi, invece per noi donne è importante fare le cose insieme e quindi per una moglie l’ideale cos’è? Che il marito parta alla mattina e dica: “Io oggi ti penserò”, che telefoni a metà giornata e dica: “Come ti va la vita, va tutto bene? ti sto pensando, avevo voglia di sentire la tua voce”, che torni a casa la sera e dica: “Come è andata la giornata, sei stanca, vuoi che ti aiuti a fare qualche cosa?”. Dopo una giornata così, una donna è sicuramente disponibile anche a letto perché per la donna è importante tutta una preparazione durante la giornata, per l’uomo no, all’uomo basta tirare il cassettino serale. Vediamo le donne nel Vangelo. Le donne nel Vangelo fanno una bellissima figura, gli uomini una figura un po’ magra, perché le donne sono più intelligenti degli uomini, intelligenti non nel senso che diamo noi, intelligenti nel senso di intus, dall’origine della parola; intus vuol dire profondità per cui le donne più intelligenti, più intuitive, vanno subito in profondità. Anche in consultorio le donne ci arrivano subito, gli uomini sono di là da venire a capire le cose psicologiche. E non dite che ce l’ho con le donne o con gli uomini perché avete visto che ce n’è un po’ per tutti e due. Le donne più intuitive avevano capito il messaggio di novità che portava Gesù Cristo, gli uomini l’hanno capito subito dopo la resurrezione e molte donne seguivano Gesù e sotto la croce sono rimaste le donne, gli uomini sono spariti tutti e piangere dietro una croce a quei tempi non era molto salutare e dopo la resurrezione Gesù appare per primo alle donne. Qualcuno malignamente dice che così era sicuro che la notizia si sarebbe sparsa prima. Di fatto appare per primo alle donne e ci sono molte pagine bellissime dove ci sono per protagoniste donne e molti messaggi belli Gesù li affida alle donne.
Pensate alla pagina dell’adultera.Quando la portano innanzi a Gesù, lui non dice niente, scrive per terra, cosa scrive nessuna lo saprà mai. Ma perché in silenzio la gente se ne va? Gesù sta in silenzio, non dice niente e se ne vanno lo stesso? Perché col suo silenzio Gesù ha mandato questo messaggio: “Voi mi state dando un incarico di fare da giudice a questa donna; va bene accetto l’incarico, giudico lei, ma appena finito con lei comincio con voi.” Ecco perché sono scappati. Anche perché Gesù ha mandato il messaggio: “Va bene, lei sarà un’adultera, ma chi l’ha resa adultera sarà qui presente.”
La seconda pagina è quella della Maddalena. Lei è stata una prostituta per tutta la vita e, da quello che dice il Vangelo, una prostituta tosta insomma: a questa donna fa un regalo che non fa ai bravi bambini farisei che ci sono intorno. Perché noi ci chiediamo anche: “Ma perché l’hanno messo in croce, era così buono, faceva del bene a tutti? E’ perché ne tirava giù per le orecchie... e per i suoi connazionali era una di quelle mazzate incredibili. Allora a questa donna fa questo regalo: ci sono dei farisei, che sono delle bravissime persone, intorno e a questa prostituta, per la quale tutti sono scandalizzati, Gesù dice: “Finchè ci sarà il mondo, si parlerà di questa donna”. Cioè “Di voi non si parlerà, ma di questa donna sì.”.
Immaginate chi ascoltava queste cose!
La terza pagina è quella della samaritana. Per capire questa pagina dobbiamo fare una premessa.
La Samaritana è una regione al centro tra la Galilea e la Giudea e i giudei per passare da una regione all’altra facevano un lungo percorso per non passare sulla terra dei samaritani perché si odiavano cordialmente. I samaritani, per ragioni storiche, si erano mescolati con altri popoli e quindi erano ritenuti "Illeggittimi".
Se non facciamo questa premessa, non riusciamo a capire alcune pagine del Vangelo.
Per esempio, Gesù guarisce dieci lebbrosi, nessuna torna a ringraziarlo, tranne uno, il samaritano, cioè nessuno di loro torna a ringraziarlo, il bastardo è tornato a ringraziarlo.
La pagina del buon samaritano: passa il prete e non si ferma, passa il consacrato e non si ferma, passa il samaritano, cioè il bastardo, e diventa il buon samaritano. Immaginate cosa arrivava alle orecchie dei farisei che si ritenevano così bravi ed erano anche bravi. Cioè Gesù che dice queste cose è come dirci, non so che proporzione potremo fare oggi ma certo noi non capiamo la portata rivoluzionaria di Gesù in quel tempo perché ha rivoluzionato tutto proprio.
Torniamo all'adultera. Dunque i samaritani erano considerati dei bastardi. Già vedere Gesù che si fermava a parlare con una donna era già un po’ di scandalo, una samaritana, una bastarda, per giunta poco di buono perché aveva avuto cinque mariti e il sesto non era neanche suo marito eppure con questa donna fa dei ragionamenti che non fa neanche con gli apostoli. Con questa donna parla della verità e dell’adorazione di Dio. C’è un’altra pagina dov’è protagonista una donna ed è una cananea. Anche con i cananei i giudei non avevano buoni rapporti perché i cananei erano dei pagani rispetto ai giudei. Questa donna sta chiedendo la guarigione di sua figlia, quindi una donna che ha una grossa sofferenza e Gesù con questa donna è di una crudeltà che noi non troviamo più in nessun altro passo del Vangelo perché Gesù è venuto per i giudei, quindi non deve dar niente ai pagani che sono fuori dal popolo ebreo; a questa donna dice: “Non è lecito prendere il pane dalla tavola dei figli per darlo ai cani”. Sta dando della cagna a questa donna, eppure questa donna che è l’esempio della bella cocciutaggine femminile, dice: “Va bene, sono una cagna, lo accetto, però le briciole che cadono dalla tavola dei figli sono leccate dai cagnolini” e allora Gesù conclude: “Non ho mai visto una fede così grande, sia fatto come vuoi tu”.
Attenzione alle parole del Vangelo, "come vuoi tu", non "come voglio io", cioè il miracolo, la fede fa fare quello che vuoi tu. Un’altra pagina dove la protagonista è una donna è la donna emorroissa. Quella donna di cui si dice che aveva perdite di sangue da più di dieci anni. Noi pensiamo che questa donna avesse un tumore all’utero, no, impossibile, se avesse avuto un tumore all’utero sarebbe morta, non poteva sopravvivere più di dieci anni, vuol dire che il disturbo era un altro. Le donne mestruate presso gli ebrei erano ritenute impure e quindi alla prima goccia di sangue dovevano immediatamente avvisare l’uomo di casa, non potevano più toccare cibo e avevano tutti i loro rituali di purificazione. I giudei avevano 613 rituali da osservare, già tenerli a memoria non era semplice e allora li avevano suddivisi in due gruppi: 365 come i giorni dell’anno e 248, che sono il numero delle ossa del corpo umano; chi era che poteva ricordare e mettere in pratica tutti i 613 rituali? I farisei non avevano niente da fare, potevano seguire la legge alla lettera. Gesù non se la prende con i farisei perché non fossero delle brave persone, loro erano più bravi degli altri, solo che disprezzavano quelli che non ce le facevano, questo era il loro peccato.
Vi ricorderete anche la pagina del fariseo e del pubblicano al tempio; il fariseo lì davanti cosa dice: “Signore io ti ringrazio perché io sono bravo. Come sono bravo io non c’è nessuno.” Il pubblicano in fondo al tempio dice: “Signore abbi pietà di me povero peccatore.” Qual è la differenza? Che il fariseo si parla addosso, il pubblicano stabilisce una relazione, cioè sta veramente pregando. E naturalmente questo fariseo era davvero molto bravo, non è che dicesse bugie perché non so bene la proporzione ma se lui, per legge, doveva pagare dieci di tasse, ne pagava cento.
Torniamo al disturbo di questa donna, lei aveva un ciclo irregolare per cui era sempre impura, il guaio di questa donne era che nessuno poteva mai avvicinarla e questa donna fa un pensiero che soltanto una donna poteva fare: “Se anche solo tocco il lembo del mantello di Gesù…” e la scena è anche abbastanza ironica perché nel Vangelo ci son anche delle scene un po’ ironiche. C’è la folla che spintona Gesù da tutte le parti, non riesce neanche a camminare e Gesù ad un certo punto chiede: “Chi mi ha toccato?” e allora gli apostoli, un po’ sorridendo, dicono: “Ma maestro, non riesci neanche a camminare e chiedi chi ti ha toccato?” Gesù sapeva di aver guarito la donna e anche a questa donna cosa dice: “La tua fede ti ha salvato.” Attenzione alle parole, Gesù non dice: “Io ti ho salvata”, non dice “io ti ho guarita”, non dice “io ti ho fatto il miracolo” ma dice “la tua fede ti ha salvata” cioè sei stata tu a fare il miracolo. Il Signore è talmente bravo che ci lascia anche il merito del miracolo.
A proposito della fede, il Signore non ci chiede di essere perfetti, bravissimi e di non peccare mai. Sa già che non lo possiamo fare [da soli]; il Signore ci chiede solo di avere fede, cioè di avere fiducia in Lui. Tutto il resto per Lui è secondario. Avere fede cosa vuol dire? Io lo spiego a livello psicologico: io faccio tutto come se Dio non esistesse e tutto dipendesse da me, perché sono i bambini dell’asilo che danno la colpa a tutti e dicono “è colpa dei genitori, è colpa degli insegnanti, tutti ce l’hanno con me, è colpa della società, è colpa dei preti“, è sempre colpa di qualcuno; questo è il bambino, la persona adulta dice: “Tocca proprio a me”. Allora la fede vuol dire faccio tutto come se tutto dipendesse da me e Dio non esistesse; quando proprio ho fatto tutto il possibile, rimetto tutto nelle mani di Dio, come se tutto dipendesse da Lui, che, tradotto col proverbio, popolare significa: “Aiutati che Dio ti aiuta.” Cioè tu fai tutto il possibile, poi viene Dio a riconoscere quello che hai fatto perché Dio è un bravo papà e ci fa fare la fatica per lasciarci il merito di quello che abbiamo ottenuto. Della stessa pagina della guarigione dell’emorroissa, c’è un’altra guarigione, proprio prima, all’inizio del brano: è la guarigione di una ragazzina di dodici anni di cui Gesù dice: “Non è morta, ma dorme.“ Io penso che sia un caso di anoressia nel Vangelo, ma è una idea mia naturalmente perché quando questa ragazzina si alza, ci sono i suoi genitori e Gesù dice loro: “Datele da mangiare”. Vuol dire che mangiava poco.
Nella stessa pagina la guarigione di una ragazzina all’inizio della sua femminilità, a dodici anni, e la guarigione di una donna da un disturbo della sua femminilità; vedete come Gesù è attento anche alle donne.

12. Testa e pancia.
La lingua, la testa e la pancia

con la lingua diciamo le cose, con la testa le pensiamo, con la pancia le proviamo.
Testa e pancia è il nostro cervello.
L’emisfero di sinistra è quello razionale che ragiona, che ha buon senso, che capisce le cose; questo è quello di sinistra che io chiamo testa. La testa è cresciuta con noi, ha la nostra età, quindi noi ragioniamo benissimo per l’età che abbiamo.
Quest’altro emisfero è quello emotivo, quello che prova le cose. Qui ragioniamo e proviamo emozioni, sentimenti, affetti, istinti, paure, desideri, gioie, insofferenze, rabbie, delusioni. Questo emisfero io lo chiamo pancia per dare un po’ un’immagine che poi è anche vero che le cose le proviamo con la pancia: se siamo tesi, agitati, ansiosi, l’intestino è quello che ne va di mezzo.
La testa che ragiona ha la nostra età, la pancia che prova non ha la nostra età; è solo il vecchio saggio che ha testa e pancia sullo stesso livello, ma noi che non siamo vecchi saggi abbiamo la pancia ferma indietro e possiamo avere anche pezzi di pancia fermi a età diverse. Un pezzo di pancia fermo a due anni, un pezzo a cinque, a dodici, a quindici ecc.
Facciamo qualche esempio.
Penso sia capitato a tutti di dire: “Domani vado là e vedrai cosa gli dico, vedrai cosa faccio”, questa è la testa che ragiona; la pancia quando arriviamo là ci frega e facciamo il contrario perché i sentimenti, le emozioni sono più forti dei nostri ragionamenti altrimenti basterebbe sederci a tavolino dieci minuti e non ci sarebbero le guerre, non ci sarebbero certe cose col ragionamento, è che le emozioni sono più forti e hanno il sopravvento.
Nella nostra società sono in aumento le donne che quando hanno un bambino cominciano a star male: esaurimenti, depressioni post-parto ecc. Vediamo di capire il perché. Quando nasce un bambino, sicuramente la mamma è sopra i vent’anni, quindi la sua testa che ragiona bene dice: “Questo bambino dipende in tutto da me, sono io responsabile, tocca proprio a me”, questa è la testa che ragiona. La pancia delle donne depresse è ferma da zero a due anni di età, è sempre successo qualcosa entro i due anni, ma arrotondo a cinque; la pancia di cinque dice: “Ma che cavolo ti è saltato in mente di fare un bambino vero? Io al massimo gioco con una bambola a cinque anni.” La testa dice “tocca proprio a te”, la pancia dice “che cavolo t’è saltato in mente di fare un bambino vero?”; nella guerra tra testa e pancia ecco la malattia. La malattia qui non ce la manda Dio, ce la fabbrichiamo in casa quando testa e pancia non vanno d’accordo. Sono le donne che, oltre che a fare una faticaccia ad alzarsi di notte per il bambino, quella la facciamo tutti, sentono il rifiuto di farlo e molti fatti di cronaca si spiegano solo con la pancia se no sarebbero inspiegabili.
Bambini maltrattati: è la pancia di cinque che maltratta il bambino di cinque perché con la testa di trenta non si maltratta un bambino; non so, i sassi dal cavalcavia, due anni di età, le violenze, la pedofilia, queste cose qui, è un bambino di cinque che fa le cose con un bambino e con la testa di quaranta, cinquant’anni non potrei mai pensare di fare delle cose del genere.
E anche l’aborto si può spiegare solo con la pancia. Un cervellino, anche solo di tre anni, non butterebbe mai via un bambino vero nella spazzatura, ma questo è possibile a una pancia di sei mesi che dal seggiolone prende il bambolino e lo butta in un angolo perché si è stufato. Poi noi possiamo girarla, pirlarla e contarcela su come vogliamo, ma l’aborto è solo esclusivamente questo: prendere un bambino vero e buttarlo nella spazzatura. Allora io non entro nel merito della sofferenza delle donne che abortiscono perché le vedo, ma non ho mai visto donne pentite di aver tenuto un figlio, mai. Ne ho viste diverse pentite di non averlo tenuto. Dal punto di vista di un’analisi psicologica, la legge dell’aborto, sta urlando che viviamo in una società dove le pance sono ferme molto ma molto indietro. Una pancia adulta non concepisce un figlio che non desidera perché sta attenta e se proprio capita un figlio, la pancia adulta è in grado di accoglierlo serenamente, qualunque sia il problema da affrontare.  Facciamo un esempio anche sui mariti così pareggiamo il conto, comunque vale anche per le mogli. Un marito che sfarfalleggia ancora in giro, vuol dire che ha la pancia ferma a diciassette anni d’età perché è a diciassette anni che uno si guarda intorno e dice: “Ma io devo chiudermi in casa tutta la vita con questa qui? Con tutto il ben di Dio che c’è in giro, dò ancora un’occhiata.” Per cui la fedeltà è una questione di maturità di pancia, una pancia adulta rimane fedele per sempre, chi non è fedele è perché ha la pancia ferma a diciassette anni di età.  E questa è la margherita più grossa e siccome è la più grossa, nessuno la vede: che scegliere vuol dire rinunciare a tutto il resto, è talmente evidente ma nessuno ci bada mai. Se scelgo un lavoro devo rinunciare a tutti gli altri, se sposo questo uomo devo rinunciare a tutti quanti gli altri uomini passati, presenti e futuri, a tutte quante le altre donne passate, presenti, future ed è soltanto una pancia adulta che può fare una scelta di questo genere. Dico che è ferma a diciassette anni perché dopo i diciassette vengono i diciotto, cioè quella per cui, secondo la legge, solo secondo la legge, è la maturità. Per cui dai diciassette ai diciotto ho l’ultimo gradino della maturità da fare; la mia pancia si trova in cima alla scala e dice: “Sta attenta perché se fai questo gradino qui, ti butti nella maturità una volta per tutte, non puoi più tornare indietro a giocherellare, a fare la diciassettenne". E l’ultimo gradino è il più difficile.
Quindi se vi chiedete: “Come faccio a capire dove è ferma la mia pancia?”, date per scontato che un bel pezzo è fermo a diciassette anni di età per il motivo che ho appena detto.Poi in consultorio, da come le donne piangono si capisce il livello di pancia, prima ancora che comincino a parlare; ci son donne che piangono come neonati, donne che piangono come bambini con i singhiozzi, donne che piangono come ragazzine, è un test abbastanza attendibile.Questo vale anche per le donne che piangono quando fanno l’amore: non sono innamorate.Facciamo anche un altro esempio che merita una premessa. Quando succede qualcosa di grave a noi, per esempio un incidente, continuiamo a raccontare quello che ci è capitato perché raccontandolo ci liberiamo la pancia di quello che abbiamo provato, emozioni, paure ecc.; infatti diciamo “mi sono sfogata”; chissà perché ai bambini non riconosciamo questo bisogno, questo diritto, se succede qualcosa di grave a un bambino, la cosa più grave è che muoia un genitore, gli adulti come si comportano? “Taci che sta arrivando il bambino”, cioè nessuno parla a quel bambino lì, invece il bambino avrebbe bisogno di una persona adulta che gli dicesse: “Vieni qui, scrivi quello che hai dentro, disegnalo, urlalo, butta per aria qualcosa ma tira fuori quello che c’è in te!", altrimenti la pancia e le emozioni si bloccano lì. Un signore mi diceva: “Io ho perso il mio papà a sette anni, venivano le donne a consolare la mia mamma, quando andavano via, pacche sulla mia spalluccia e mi dicevano “Mi raccomando fai il bravo ometto, stai vicino alla tua mamma!”. Questa è una crudeltà, forse non avete ancora ben messo a fuoco la crudeltà di una frase del genere detta a un bambino. La mamma poteva piangere e disperarsi, lui a sette anni doveva fare l’ometto e ha fatto talmente bene l’ometto che quando è arrivato da me con sua moglie gli ho detto: “Guardi che lei è una persona miracolata se si è sposato perché uscire da una mamma così non è mica facile.” Infatti questo uomo, da ragazzo, gli piaceva andare a fare la sua partita di calcio; tutte le domeniche pomeriggio si preparava con la sua sacca e tutte le domeniche pomeriggio, mentre stava uscendo, la mamma era seduta sul divano che piangeva e lui stava lì a far compagnia alla sua mamma: queste sono le fregature di una mamma. Quindi che sia riuscito a sposarsi era già un miracolo: figlio unico di madre vedova!Sapete qual è la cosa più importante nell’educazione di un bambino? Vi stupirà ma è aiutare il bambino a tirar fuori la rabbia che noi gli accumuliamo dentro perché noi siamo tremendi con i bambini: "E stai fermo!", "E stai zitto!", "E ti sei bagnato!", "E mi fai tribolare!", "E guarda come sei disordinato!". Tutto il giorno noi facciamo così e non ce ne accorgiamo. Dovrebbero filmarci; noi non sopporteremo alle spalle una persona così tutto il santo giorno, però con i nostri bambini ci permettiamo di farlo, e questo tormento osiamo chiamarlo educazione? Ma si chiama tormento! La cosa più tremenda che fa una mamma col bambino: quando il bambino è arrabbiato la mamma lo sgrida, lo punisce, gli dice: “Un bravo bambino non fa così”. E che cosa deve fare? Accumulare. A vent’anni scoppierà. La cosa più tremenda che fa la mamma è dire al bambino arrabbiato “Sei cattivo”. Allora spiego la differenza tra senso del peccato e senso di colpa. Il senso del peccato è il senso morale per peccati che realmente commetto: ho sbagliato, questo è il senso del peccato. Il senso di colpa è psicologico per colpe che non ho commesso. Quindi il senso di colpa è questa cosa qua. Un bambino non amato dai suoi genitori non dice: “Che cavolo hanno questi due qui che non mi vogliono bene?”. Magari potesse dire così ma non può. Il bambino prova di pancia: “Cosa ho fatto io di male se i miei genitori non mi vogliono bene? Sicuramente sono io che ho qualcosa che non va, i miei genitori non possono sbagliare quindi io sono sbagliato.” Autostima zero. E poi tutte le scelte sbagliate che facciamo nella vita, anche i matrimoni che saltano, saltano per sensi di colpa, pensiamo di non meritarci un matrimonio felice. Questo è il senso di colpa. Se la mamma dice al bambino arrabbiato “sei cattivo”, lui registra nel suo computerino la sequenza: sono arrabbiato, sono cattivo, mi sento in colpa di essere cattivo, adesso ne combino una più grossa così la mia mamma mi punisce e io faccio tacere il mio senso di colpa. Cioè ho sbagliato, ho pagato, ho pareggiato il conto. Ecco perché le mamme spesso dicono ai bambini: “Ma le vuoi proprio prendere eh?” Certo che le vuole prendere, perché prendendole fa tacere il suo senso di colpa.
L’umanità, cioè noi, è in grado di sopportare qualsiasi sofferenza, non un senso di colpa. Un senso di colpa, la storia dell’umanità insegna, chiama subito una sofferenza per essere messo a tacere; quindi dove trovate una sofferenza, c’è sempre dietro un senso di colpa da pagare.
Cosa bisogna dire al bambino arrabbiato? “Vedo che sei molto arrabbiato, hai anche ragione perché la mamma ti ha detto di no, adesso puoi fare la lotta con papà. Quando si ha un bambino si va a prendere al mercato un cuscino di quelli belli grossi e si dice: “Questo è il cuscino della rabbia; quando sei arrabbiato vai a dare i pugni al cuscino”. “Qui ci sono dei giornali stracciali con rabbia, fai i coriandoli poi raccogliamo tutto” ma permettiamo al bambino di tirarla fuori la rabbia. Se andate a vedere la storia delle persone che commettono reati nella nostra società, anche gli ultimi fatti familiari, troverete sempre questa cosa qua: sono persone che da bambini hanno accumulato molta rabbia e ad un certo punto è esplosa. E infatti se leggete le interviste ai vicini di casa, cos’è che sorprende sempre? “Ma era così buono”, appunto era troppo buono, ne aveva accumulata troppa.Ho fatto tutta questa premessa per il caso seguente. Una bambina perde la mamma all’età di otto anni, la bambina non può ragionare e dire: “Perché la mia mamma è morta?” ma abbiamo detto, la pancia prova: “Cosa ho fatto io di male se la mia mamma è morta?”. Siccome non c’è nessuna che aiuta la bambina a tirar fuori quello che prova, la pancia si blocca lì a otto anni, poi cresce e sui vent’anni ha i disturbi in aumento vertiginoso, nella nostra società sono le famose crisi di panico; non riesce a guidare la macchina da sola, non riesce a far l’amore con suo marito. Con la testa ragiona e dice: “Perché io non devo far l’amore con mio marito? Gli voglio bene l’ho sposato? Perché non devo andare in macchina da sola?”. Questa è la testa che ragiona, ma la pancia si è fermata a otto anni di età e manda a dire: “Guarda che una bambina di otto anni non va in macchina da sola e non fa queste cose a letto con un uomo.”. Per cui questo marito ha a letto una donna di vent’anni come testa, ma come pancia -a livello affettivo, emotivo- ha una bambina di otto anni; cosa farebbe con una bambina di otto anni? Certamente non farebbe l’amore, infatti lei dice: “Ma io la sento una violenza.” Naturalmente anche lui ha la pancia ferma a otto anni se no non si sarebbero sposati. Cosa bisogna fare? Bisogna tornare indietro, vedere dove si è fermata la pancia, qui è facile, la morte della mamma a otto anni- e aiutare questa pancia a crescere fino ad arrivare a vent’anni ma sarà una faticaccia tremenda, richiede molti anni e anche tutta la vita. Infatti quando mai noi arriviamo alla saggezza, testa e pancia sullo stesso livello ? Quindi è un impegno per tutta la vita quello di far crescere le nostre pance. Questo caso mi aiuta a spiegarvi tre disturbi sessuali in aumento nella nostra società.
Coppie giovani che non consumano il matrimonio.
Perché si beccano proprio loro due che hanno lo stesso problema? [Lei ha paura di subire, lui di agire]: perché si sono incontrati proprio loro due? O non sono innamorati oppure quasi sempre queste persona chiedono dopo un po’ la dichiarazioni di nullità, non l’annullamento del matrimonio che non è mai esistito. È che sono due pance di cinque anni che al massimo si abbracciano, non possono andare a letto.
Secondo disturbo ancora più in aumento: coppie giovani che vanno bene per un po’, anche a letto, poi diminuiscono la frequenza dei rapporti, poi non fanno più niente. Arrivano in consultorio e mi dicono: “Noi stiamo tanto bene insieme, in sintonia perfetta, ci divertiamo, ma a letto non facciamo più niente.” Cosa c’è che non va? O anche qui non sono tanto innamorati, che noi critichiamo tanto la Chiesa che ci dice di aspettare, andiamo a letto con facilità e saltiamo tutte le tappe per costruire un buon rapporto sessuale. Andiamo a letto e facciamo del sesso, della ginnastica, piacevole ma sempre ginnastica è: questo è il sesso.
Far l’amore è un’altra cosa, significa costruire una buona comunicazione di coppia a tutti i livelli della nostra personalità, per cui far l’amore significa comunicare, non chiacchierare. A livello fisico, ma non basta perché altrimenti è ginnastica, e molto spesso quando ho davanti coppie che si separano e chiedo: “Come andavate a letto?” mi dicono: “L’unica cosa che funzionava era questa.” Allora non basta la ginnastica buona, ma una buona comunicazione a livello emotivo, dirci tutto quello che proviamo “quando tu fai così provo questo, oggi ti sei comportato in questo modo e io mi sono sentita così, rifai quel gesto più lentamente su di me che voglio ascoltarmi bene poi ti dico cosa ho provato”; questa è l’intimità. L’intimità non è andare a letto ma denudarsi, farsi conoscere profondamente dall’altro. A livello affettivo siamo cresciuti nel nostro modo di volerci nene, siamo più maturi, facciamo l’amore in maniera più completa rispetto a un anno fa, a livello intellettivo: “Cosa ne pensi di questa notizia del telegiornale?", "Leggi questo articolo che poi ne parliamo insieme!", "Che riflessioni hai fatto su quello che ci è capitato oggi in casa?”. A livello spirituale, la dimensione spirituale è importantissima nelle persone. Quando la gente viene da me, dopo un po’ di sedute dico: “Guardi se c’è un problema fisico, c’è il medico che glielo cura, se c’è un problema psicologico io sono qui e le curo la parte psicologica, ma se dimentica la parte spirituale lei non guarirà mai”. Sono le tre componenti della persona, fisico, psichico, spirituale, ma se non curi lo spirituale che significato hai dato alla tua vita? Che significato vogliamo dare al nostro matrimonio? Che rapporti hai tu con quello là sopra del primo piano?
Una buona comunicazione a livello dell’immaginario, delle fantasie (anche erotiche); costruire una buona comunicazione a tutti questi livelli non è mica facile.
E allora va tutto bene finchè va tutto bene nella coppia, poi basta un litigio più grosso, quasi sempre la nascita di un figlio che sconvolge le pance non cresciute -perché lì dobbiamo metterci l’ultimo vestito che è quello dei genitori ed è il più difficile- la pancia va in tilt e dice:
“Io adesso non mi muovo di qui finchè non mi fai rifare tutte la tappe che mi hai fatto saltare.”
Terzo disturbo sessuale: una coppia molto giovane, sposata da pochi mesi; lei piange e lui è molto a disagio, potrei dirglielo io il problema che ha:
“Hai scoperto tuo marito [...da solo]?”.
“Sì”.
“Tuo marito guarda anche film porno?”.
“Sì”.
“Tuo marito vuole uscire spesso con gli amici?”.
“Sì, come fa lei a sapere queste cose?”.
Mettete tutto insieme, che pancia vien fuori? Una pancia di quindici anni; è a quindici anni che [...da soli], è a quindici anni che uno guarda dal buco della serratura quel che fanno gli altri, e se pensate al giro di miliardi a livello porno, capite il grado di maturità della nostra società. E poi è una questione di intelligenza. Cioè se io sono innamorata, non ne ho abbastanza di una vita intera per realizzare la mia fantasia erotica, ma se devo guardare certi film, faccio un torto alla mia intelligenza, alla mia creatività. Poi non mi sembrano film tanto creativi, sono sempre le solite tre cose. Allora la giovane moglie smette di piangere e mi dice:
“Va bene, mi curi mio marito se ha la pancia a quindici anni.”
“Aspetta, ho una domandina da fare anche a te, e so già la risposta:
"[In quale di questi due modi ... provi il massimo del piacere ... con tuo marito]?”
“Solo con la manipolazione.”
“Ecco hai quindici anni di pancia anche tu.”
Il sessanta per cento delle donne ha questo problema; due possibilità:
Prima possibilità: non si è innamorate, perché se non provo [piacere con mio marito], vuol dire che non mi lascio andare del tutto, se non mi lascio andare del tutto, vuol dire che non mi affido, se non mi affido vuol dire che lui non mi ha convinto, non l’ho messo sul trono, insomma c’è qualcosa che non va.
Seconda possibilità : si è innamorati però la sessualità è ferma a quindici anni, bisogna fare ancora l’ultimo gradino della maturità sessuale.
Facciamo anche due esempi sui bambini.
Un bambino di tre anni che va all’asilo, di solito piange perché lascia la sua mamma; di fronte al bambino che piange la mamma cosa dice?
“Non piangere, tanto dopo la mamma torna a prenderti.”
A queste parole il bambino piange di più, vediamo di capire il perché.
Il bambino piangendo ha comunicato con la pancia “sto male a lasciare la mia mamma”. La mamma risponde “dopo torno”, dice al bambino una cosa senza senso. Un cervellino di tre anni non è ancora in grado di capire il concetto del prima e del dopo, lo capisce a sei sette anni.
Un bambino fino a sei anni parla così: “domani sono stato”, “ieri andremo”. Quindi cosa vuol dire dopo? Ma la mamma rispondendo così risponde con la testa; il bambino parla di pancia, la mamma di testa, non si capiscono, il bambino piange di più perché lui che è molto logico e nella sua testolina, si dirà:
“Ma come fa la mia mamma a non capirlo, glielo sto gridando che sto male?” e allora il bambino pensa:
“La mia mamma non mi ha capito forse, devo alzare il volume, piango un po’ di più, forse la mia mamma capirà.”
Tutti i problemi che abbiamo coi bambini li abbiamo per questo, che i bambini urlano sempre di pancia, noi andiamo sempre giù di testa con i nostri ragionamentini.
Una bambina di sei anni ricomincia a farsi la pipì addosso, la mamma che crede di essere brava, cosa dice alla bambina?
“Ragiona, spiegami, perché fai così, sei grande, sei sempre stata così brava”.
Vedete i ragionamentini, ma la bambina lo sta già urlando perché fa così, è nato il fratellino, cosa resta da fare a quella bambina lì? Alzare il volume, farsela addosso dieci volte di più: "Forse la mia mamma capirà; questa è la logica dei bambini che è la vera logica. Poi sul discorso dei bambini che alzano il volume, dovremo star qui delle ore perché loro continuano ad alzare il volume, noi andiamo giù a punire, non capiamo niente, non capiamo i loro messaggi. Dico solo tra parentesi: tutti i problemi dei bambini sono problemi dei genitori che i bambini si addossano. Ieri ho ricevuto un ragazzo di trent’anni che fuma hascisc, marijuana eccetera “Ma la smetti di metterti sulle spalle il problema di tua mamma?” Ha la madre che va dalle cartomanti ed è dipendente dal mago e lui è dipendente dal fumo. Gli dico: “Ma cosa continui ad urlare a tua madre che è dipendente? Non è un problema tuo, lasciala dov’è tua madre!” I figli si addossano i problemi dei genitori e lo urlano ai genitori senza riuscirci per cui oltre al danno hanno la beffa. Questo comunque è tutto un altro discorso, ve lo farò la prossima volta. Per cui cosa bisogna dire al bambino che piange?
Gli dico: “Siediti, piangi finchè dentro senti la voglia di piangere”.
Potete fare tutte le prove che volete, il bambino smette di piangere perché gli avete riconosciuto il diritto di piangere, di star male, cosa che coi bambini non facciamo mai: i bambini devono star male quando lo diciamo noi e come lo diciamo noi. Il bambino dice: “Mamma ho mal di pancia.”
Spesso le mamme rispondono: “Impossibile, non t’ho dato niente che ti facesse male ieri”.
Cioè è come se uno di voi dicesse: “Io oggi ho un gran male di pancia” e dicessi “Lei oggi non deve avere il mal di pancia”. "Ma io ce l’ho!".“Sto male oggi a lasciare la mia mamma”. “Non devi star male, tanto dopo torno”.
“Ma io sto male.”
Non so se capite le cavolate che facciamo coi bambini.
Comunque la spiegazione è un’altra: non è il bambino che sta male a lasciare la mamma, è la mamma che sta male a lasciare il bambino altrimenti il bambino piangerebbe il primo giorno, è normale, poi non piangerebbe più. Allora i bambini, che hanno le antenne lunghe, capiscono il problema della mamma e piangono per accontentarla; appena la mamma gira l’angolo il bambino non piange più.
Problema del lettone.
Tutti i bambini vogliono andare nel lettone coi genitori ed è una cosa normale fino a sei anni, va presa con pazienza, anche perché il bambino, che è logico, dice: “Ma com’è che loro due sono insieme e io sono da solo a dormire?”
Logico, ma quando la cosa diventa esagerata oltre quell’età, allora la spiegazione è diversa. La mamma con la lingua dice al bambino il bel ragionamento di testa: “Ragiona, vedi che stiamo stretti, che bello il tuo lettino, ti faccio trovare il regalino sotto il cuscino”. La mamma non si rende conto ma passa con la faccia un’altra cosa al bambino, che il bambino capisce: “Per favore vieni!”. La mamma non sa di dirlo. Se c’è il bambino in mezzo, si fa poco; allora il bambino non capisce di cosa si tratta ma intuisce che deve fare un piacere alla sua mamma e difatti il piacere glielo fa: risolve il problema sessuale della sua mamma.
E questo è un altro test per le coppie: dove la coppia va bene, questo problema non esiste, se non nei termini normali di età che ho detto prima.
Fuori i bambini dalla camera da letto. Quando si torna a casa dall’ospedale si tiene in camera fino ad un anno di età; in questo modo eviterete le morti bianche nella culla, perché un bambino in una stanza da solo ha più ossigeno, fa più fatica a respirare ma soprattutto non mettiamo i bambini a dormire a pancia in giù perché è pericoloso; i bambini devono dormire come noi, sul fianco destro, rannicchiati. Comunque se si ha intenzione di fare qualche cosa o spostate il bambino o vi spostate voi, andate in bagno, in cucina, in salotto, compratevi un sacco a pelo di riserva, ma NON in una stanza dove c’è un bambino.
Il mondo è pieno di bambini che dormivano e che hanno visto e sentito tutto e per un bambino è un trauma che corrisponde a una violenza.

Tutta questa margheritona la troviamo nel Vangelo in una frasettina di Gesù: “Non preoccupatevi di quello che entra nel vostro corpo, perché dopo esce e va nelle fogne; preoccupatevi di quello che avete detto e che può uscire”. Cioè preoccupatevi di quello che avete nel cuore, dei vostri sentimenti, purificate i vostri sentimenti. Una volta si diceva cuore, oggi si dice “inconscio”. Io l’ho chiamata pancia ma è sempre la stessa cosa.
A proposito di purificare i sentimenti: quando leggiamo nel Vangelo: “Perdona il tuo nemico”, d’ora in poi non leggerete più quella frase lì, cioè le parole stampate rimango queste, ma voi leggerete un’altra frase: “Il nemico non esiste.” Se io ti considero nemico, per definizione, io devo odiarti perché se ti vedo come un nemico, come faccio a perdonarti? È impossibile; ma se io ti vedo come un povero Cristo, un povero diavolo, come si usa dire, un povero fratello stolto che non ha capito niente, forse arrivo a perdonarti. Cioè nessuno sceglie il male per il male: io ti ammazzo perché per me è meglio che tu scompaia dalla faccia della terra; confondo quel male come bene. Quindi il nemico non esiste, sei solo un fratello stolto che non ha capito niente, allora, con fatica, posso arrivare a perdonarti. Se la suocera mi fa incavolare, io sto dando a mia suocera il potere di agire sui miei sentimenti. Io devo toglierglielo quel potere lì: se voglio arrabbiarmi lo decido io, ho il potere io dei miei sentimenti, tu non ce l’hai. Cioè se io mi arrabbio, è perché dò il potere ad un altro di farmi arrabbiare, sulla strada, sul lavoro, eccetera; ma io te lo tolgo questo potere, ti sorrido, non hai il potere di agire dentro di me, tu non hai questo potere.
Quindi, quando il Signore dice “perdona” a noi è difficile perché pensiamo che se ti perdono faccio un regalo a te; “stolti, stolti” dice il Vangelo; se io non ti perdono sto male dentro perché mi viene l’odio, la vendetta, mi ammalo, insomma mi rovino la vita; se ti perdono faccio un regalo a me perché sto bene dopo, io sto bene se ti perdono.
Eh, bisogna rifletterci su. 13. Adamo ed Eva.
Ed ecco l’ultima margheritina.
Adamo ed Eva sono nella prima pagina della Bibbia. È la prima perché è la più importante, perché spiega questa cosa di tutta l’umanità. Cioè dice a ciascuno di noi la fatica che facciamo ad essere felici.
Noi vogliamo essere felici, ma chissà perché noi ce la roviniamo sempre. La frase che usiamo di più qual è? “Mi va tutto bene: mi succederà qualche cosa.”. Cioè quando le cose ci vanno bene, noi pensiamo che qualcuno là sopra, sadico, vedendoci felici ci manderà la tegolata. Questa è l’idea che abbiamo di Dio. Se l’umanità soffre così tanto, vuol dire che sente il bisogno di soffrire, io devo soffrire; se sento il bisogno di soffrire, vuol dire che con quella sofferenza lì, farò tacere un senso di colpa (questo l’abbiamo già spiegato). Ma siccome i bambini piccoli, non hanno ancora commesso colpe, ma hanno già dei sensi di colpa, allora vuol dire che la colpa c’è prima della nascita, neanche il giorno dopo, la becchiamo con la nascita questa colpa. Ma siccome sono le donne che soffrono di più... Apro una parentesi. Le donne dicono: “Gli uomini sono tutti egoisti”. Non è vero, gli uomini sono più generosi delle donne. Siamo noi le tremende, solo che l’uomo dà a sé stesso con più facilità il permesso di star bene. Dopo una discussione il marito dice: “Ascolta è tardi, dormiamo adesso”, lui si gira e dorme tutta notte. La moglie piange tutta notte, inviperita col marito perché lui si permette di dormire. Ma impariamo dagli uomini che sono più bravi di noi! Siccome è la donna che soffre di più, sarà stata lei a peccare di più. Infatti è lei che passa la mela. Visto dov’è ambientato il paradiso terrestre, non poteva essere una mela, doveva essere un’albicocca, ma non era neanche un’albicocca (poi vediamo).
Questo è l’Antico Testamento, poi arriva il Nuovo Testamento, cioè il Vangelo. La parola Vangelo sapete che significa “buona notizia”; qual’ è questa buona notizia? Arriva Gesù che ci dice: “Ve lo dò io il permesso di star bene, voi non siete capaci di darvelo, ma sono venuto io apposta a darvi il permesso di essere felici; vi cancello la colpa, non avete più bisogno di soffrire per cancellare i sensi di colpa.” Il Vangelo è un libro speciale, tenetelo sul comodino, leggetelo a piccole dosi perchè è semplice, ma le cose semplici sono le più difficili.
Con le margheritine: vi farete una terapia da soli, per di più gratuita, senza andar dagli psicologi.
Vi aggiungo altre tre pagine del Vangelo.
La prima è quella del battesimo. Perché battezziamo i bambini appena nati e non aspettiamo i diciotto anni di età, come molti ci criticano? Perché la Chiesa dice: “Questo bambino appena nato ha una cosa molto bella: siamo tutti fratelli, figli dello stesso Padre, ti faccio entrare nella grande famiglia della Chiesa.” A livello psicologico vuol dire siamo tutti nella stessa barca. Ma la Chiesa dice a questo bambino appena nato anche un’altra cosa: “Tu sei appena nato, io lo so che tra un po’ comincerai ad avere dei sensi di colpa”, tutti i bambini sono pieni di sensi di colpa verso i genitori, perché un bambino sente che ci rompe le scatole, che ci fa tribolare, che ci fa star su di notte; ha già dei sensi di colpa normali, poi noi genitori siamo così tanto bravi ad aumentarglieli: “sei disordinato, sei cattivo, mi fai tribolare, farai ammalare la tua mamma”. Allora la Chiesa che è saggia, dice a questo bambino: “Io ti cancello tutti i tuoi sensi di colpa subito, adesso che sei appena nato, non aspetto i diciotto anni perché ne avrai troppi com’è terapeutico il battesimo- così come lo è la confessione, se non ci fosse, bisognerebbe inventarla. Da quando la gente non va più dal prete a confessarsi - tra l’altro gratuitamente, che non è poco - fa il pellegrinaggio dai neurologi e dagli psicologi spendendo un sacco di soldi, va a confessarsi alla televisione che ormai è tutta una confessione, va dai maghi e dalle cartomanti che certo è molto peggio.
La seconda pagina è quella del cieco nato. Portano a Gesù un cieco dalla nascita e gli fanno questa domanda che è la più terribile di tutto il Vangelo: “Maestro chi ha peccato? Lui o i suoi genitori?” Perché c’erano queste idiozie negli ebrei, che noi cristiani abbiamo ereditato: se lui è nato cieco, qualcuno ha commesso una colpa e Dio l’ha punito mandandogli un figlio cieco. Noi abbiamo di Dio questa idea stupidissima; quando ci capita una disgrazia, cosa diciamo? Dio se la prende con me, cosa ho fatto io di male perché Dio mi mandasse questo? Vedete che uniamo sempre una sofferenza con una colpa. Ma che cavolo c’entra Dio con le nostre sofferenze? Quando diciamo che Dio ci manda la sofferenza, diciamo la bestemmia più grossa, l’ottanta per cento delle nostre sofferenze ce le procuriamo noi senza rendercene conto; il come l’ho già spiegato: quando testa e pancia non vanno d’accordo.
Il vecchio saggio è vecchio perché si permette di invecchiare, chi non è saggio muore giovane. Poi c’è un restante venti per cento dovuto al destino, alla sfortuna eccetera; se c’è un incidente in autostrada e io muoio oggi, io faccio il possibile per evitarlo, però è un po’ il destino; se c’è il terremoto, è il destino anche quello. Se penso che sia Dio che mi manda la sofferenza, penso che Dio è ingiusto: “Perché proprio a me e alla mia vicina di casa no?”. Anche questo ve lo spiego dopo. Allora Dio è ingiusto e questo contraddice con quello in cui credo, che Dio sia buono e giusto. Se penso che sia Dio che mi manda la sofferenza, penso che Dio là sopra si diverte col pallottoliere, conta e quando arriva a dieci dice: “Adesso ti becco, ti sistemo.” E se fosse davvero Dio che ci manda la sofferenza, sarebbe stata inutile la croce, bastava la sofferenza che veniva direttamente da Dio. Gesù cosa risponde a quella domanda terribile? Lo sapete già: “Non ha peccato né lui né i suoi genitori, questo è successo perché si manifestasse la gloria di Dio” con quel che segue. Cioè Gesù dice: “Ma smettetela di pensare a questa roba qui, che Dio castiga, punisce eccetera, sono venuto io apposta a dirvi un’altra cosa; sono venuto a dirvi che Dio è Padre. Se Dio è Padre come fa a mandarvi la sofferenza?” E in un altro passo del Vangelo Gesù dice: “Ma se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, a maggior ragione il Padre vostro dei cieli che è buono, vi darà cose buone.”
C’è scritto da duemila anni ancora a predicare che Dio ci manda la sofferenza; perché pensiamo questo di Dio? Bisogna tornare alla pancia di due anni di età; un bambino di due anni guarda il suo papà, lo vede come il grande mago che sa fare tutto, però poi il bambino cresce e impara che il suo papà non è il grande mago, è un uomo come tutti gli altri, per di più con dei difetti. Cioè crescendo il bambino aggiusta l’immagine di suo padre sulla realtà; chissà perché con Dio non l’aggiustiamo mai. Dio è il grande papà mago. Perché fa morire i bimbi di fame, perché permette le guerre eccetera? Ma che cavolo c’entra Dio, la nostra fede si blocca a due anni di età. Dio è stato un bravo papà, se vogliamo essere dei bravi genitori, dobbiamo dire al figlio con molto affetto, con molta decisione: “Arrangiati.” Questa è l’unica cosa che salverà i nostri figli; farli arrangiare il più presto possibile, cosa che oggi purtroppo non si fa più. Dio ha fatto questo per noi, ci ha affidato l’universo e ci ha detto “arrangiatevi”, si è fidato un po’ troppo, però lui si è fidato. E Dio non è onnipotente; ma nel momento in cui ci ha dato la libertà, si è diminuito il suo potere per darlo a noi ed è questo che fa un bravo genitore. Man mano che il figlio cresce, il genitore si tira in disparte per dare il suo potere al figlio: Dio ha fatto questo per noi.
La terza pagina del Vangelo è una frasettina, scrivetela sull’antina dei piatti così la leggete tutti i giorni: “Per ogni giorno basta la sua pena” vuol dire che nell’aprire gli occhi al mattino, ce n’è una bella pronta tutte le mattine e Gesù, che è un bravo psicologo, ci dice: “Accontentati di quella lì” che è legata alla quotidianità e che di solito è “sopportare”. Siccome non leggiamo il Vangelo, non ci accontentiamo e tutti i giorni andiamo a cercarci pene in più; vedete com’è terapeutico il Vangelo? Meglio che trenta sedute da uno psicologo. Allora un bravo cristiano si riconosce da questo: non è una persona che soffre, che si tormenta, questo è un masochista che deve andare a farsi curare, il bravo cristiano è una persona serena, contenta, che canta, che si fa andare bene le cose della vita, che cerca di ammalarsi il meno possibile, che vive a lungo e che si diverte come un matto, se no non ha capito niente del Vangelo.
Nel Vangelo c’è troppo ossigeno, con troppo ossigeno non si respira. Il Vangelo è troppo bello, siccome è troppo bello, noi non l’abbiamo sopportato; il Vangelo parla sempre di gioia, “sono venuto a portarvi la gioia” e non si ferma, “voglio che la vostra gioia sia piena, sia perfetta”, ci impiegherei un quarto d’ora a spiegarvi “piena e perfetta”, lo rimando a un’altra volta.
Siccome parlava sempre di gioia, noi non l’abbiamo sopportato, abbiamo stravolto il Vangelo, gliene abbiamo fatto dire di tutti i colori per poter continuare a soffrire, ma il Vangelo non dice così. Vi spiego il peccato originale poi ho finito. Adamo ed Eva nel paradiso terrestre: cosa vuol dire? Non vuol dire che era un bel giardinetto con le piante i frutti subito pronti, i fiorellini eccetera, anche quello perchè la natura è un giardino, ma significa un’altra cosa. Quando noi siamo molto felici a volte usiamo questa espressione: “Sono in paradiso”, allora leggere che Adamo era in Paradiso significa leggere che Adamo era molto felice. E perché era molto felice? C’è scritto: perché Adamo passeggiava e chiacchierava con Dio, Dio scendeva tutte le sere a parlare con un uomo. Allora Adamo era in paradiso perchè era molto felice ed era molto felice perché aveva la sapienza di Dio, era in contatto con la sapienza di Dio che è una delle qualità più alte. Il peccato in che cosa è consistito? Che Adamo non vuol dire quell’uomo là, quel giorno là; Adamo è ciascuno di noi, ogni uomo. L’uomo ha rifiutato la sapienza di Dio, infatti come si chiama quell’albero? Perché noi potremo anche dire: “Ma insomma Dio è stato un po’ sadico, non poteva nasconderlo un po’ in un angolino questo alberello, doveva proprio metterglielo sotto il naso, al centro”, ma quell’albero doveva stare al centro perché era l’albero della conoscenza del bene e del male, cioè della saggezza. Il saggio chi è? Chi distingue chiaramente il bene dal male. Tutti i guai dell’umanità li facciamo derivare dal peccato originale, in realtà tutti i guai dell’umanità da che cosa derivano? Dalla mancanza di saggezza, cioè dall’ignoranza che è figlia della stupidità. La sapienza di Dio cosa aveva stabilito? “Creiamo l’uomo a nostra immagine”, la somiglianza spetta a noi, spetta a noi diventare sempre più simili a Dio. “Uomo e donna li ha creati” cioè Dio crea la coppia e dovunque nel mondo c’è una coppia che si ama è l’immagine di Dio che va in giro per il mondo, quindi voi due siete l’immagine di Dio che va in giro per il mondo. A questa coppia, simbolicamente vuol dire a tutte le coppie che si sposano, Dio fa un regalo che è un regalo di Dio, è un regalo da Dio: Qual’ è questo regalo che Dio fa a ogni coppia perchè possa per tutta la vita essere felice, cioè restare nel paradiso terrestre, c’è scritto terrestre, già qui sulla terra: è il dono della sessualità. Infatti la mela in psicologia è un simbolo sessuale; abbiamo ridotto questa cosa bellissima che Dio ci aveva dato per essere in paradiso tutta la vita, l’abbiamo ridotto a consumo di mela, a consumo di sesso.
 

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