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Pagina dedicata alla grande ins.te Mirella Spinella

Tyndaris ed Epactén

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Alla scoperta delle nostre radici greche e romane.. a cura dei ragazzi del Modulo Terze Classi del G. Piaggia: appunti da una gita.

Per la realizzazione di questa pagina web, Claudio Italiano ringrazia personalmente il personale dell'AAST Patti, le insegnanti del Modulo Classi III della Scuola Elementare Piaggia ed i ragazzi tutti.

Il pretesto è stato quello di ideare una gita che potesse accoppiare l'utile al dilettevole.. ed ecco i ragazzi della Scuola Elementare Piaggia, modulo Terze Classi, in una splendida giornata di sole primaverile, del nostro Maggio odoroso, esattamente il cinque Maggio, proprio come recita quella famosa poesia, andare alla scoperta delle nostre  radici greche e romane. Prima tappa del viaggio, dunque, i resti del famoso Teatro greco di Tindari, sulla costa nord-orientale, di fronte le Eolie, sul colle dove si erge il famoso Santuario della Madonna Bruna, là dove già dall'età del Bronzo esistevano i primi insediamenti , tra una natura rigogliosa e di straordinaria bellezza, con boschi di querce ed olivi, ginestre e cespugli odorosi. Dopo le ultime raccomandazioni di mamma e papà, ecco i ns ragazzi felici sui bus, per arrivare puntuali alle ore 9:00 al Santuario della Madonnina di Tindari.

E perché no? Eccoli in chiesa per salutare la Vergine Bruna di Tindari. Il Santuario della Madonna Bruna, voluto da Mons. Giuseppe Pullano nel 1957 ed ultimato nel 1975, sorge su di un tempio pagano del IX-XII sec., sulle cui fondamenta fu dapprima edificata l'antica chiesa che si può apprezzare nella parte posteriore del tempio.

Al suo interno, sotto la semicalotta del catino absidale si possono ammirare le statue della S. Vergine Bruna con in braccio il bambino, sopra un trono di metallo dorato, di recente restaurate Perché mai la Madonna è bruna, come quella di Loreto? L'origine della devozione alla Madonna bruna risale al periodo della persecuzione iconoclasta (750 d.C.). La leggenda  vuole che una nave di ritorno dall'Oriente, tra le altre cose, portava nascosta nella stiva un'immagine della Madonna perché fosse sottratta alla persecuzione iconoclasta.

Mentre la nave solcava le acque del Tirreno, improvvisamente si levò una tempesta che la costrinse ad interrompere il viaggio ed a rifugiarsi nella baia del Tindari, oggi Marinello. I marinai, quando si calmò la tempesta, riuscirono a spostare la nave che sembrava incagliata nel porto e quindi ripartire soltanto dopo aver scaricato in mare la cassa contenente il Simulacro della Vergine.

La cassa fu ritrovata sulla riva dai marinai della baia di Tindari che decisero in seguito di trasportare l'immagine della Madonna nel luogo più alto del colle di Tindari dove già da qualche tempo esisteva una fiorente comunità cristiana. Oriente tra il V ed il VI secolo d.C. Il venerato Simulacro è, appunto, di legno di cedro, di stile bizantino, di colore bruno, del tipo iconografico, della "Teotokos-Madre di Dio". Le parti scolpite sono: il trono, il Bambino - Gesù, la testa, il collo, le mani ed i piedi della Madonna; il resto del corpo dell'immagine è rivestito da una tunica blu e da un manto rosso trapuntato da alcune stelline dorate. La Madonna porta in capo una specie di turbante, ricavato nello stesso legno, decorato con leggeri arabeschi dorati.

La bellezza di una Natura rigogliosa ed incontaminata a Patti.

E siamo a Tyndaris, dove una leggenda vuole che in una grotta del costone, là dove ora si trovano i laghetti, ci fosse l'antro di una magara o majara (magha), Donna Villa, come la Circe di Omero che adescava i marinai con il suo canto sublime e poi li divorava. Fra essi citiamo un uomo che ammaliato dalla bellezza di questa Donna che è Tindari, scrisse: " Tindari mite ti so"... parliamo ovviamente del grande Salvatore Quasimodo.

VENTO A TINDARI

Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull'acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m'assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m'accompagna
s'allontana nell'aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d'ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d'anima.

A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l'esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d'armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m'ha cercato.

E siamo giunti da Milazzo fin qui,  a 230 mt di altezza sul mare, con lo spettacolo unico del "mare morto" ossia dei laghetti di Marinello, formati da cordoni di sabbia e ghiaia, che variano la loro conformazione e che si estendono in mare come lingue di terra, contenendo in un abbraccio i tre laghetti di Verde, Marinello e Vergolo, Le prime notizie sulle strisce di sabbia di Marinello, risalgono al 1808, sono riportate nella Carta degli Itinerari della Sicilia, epoca in cui sono state eseguite trasformazioni agricole del bacino del torrente Timeto, tra cui opere di disboscamento, che hanno prodotto un incremento di trasporto in mare di materiale solido e di sedimenti i quali, su rifrazione determinata dal Capo Tindari e per le deviazioni causate da una conoide sottomarina, hanno formato la lingua di sabbia, che in tempi diversi ha creato la laguna. Attualmente esistono sette stagni con caratteristiche biologiche estreme, ognuno dei quali vive e si sviluppa autonomamente. I più grandi sono, come dicevamo sopra,  il lago Marinello, isolato dal mare, che ospita vegetazione lacustre e palustre, il Mergolo, detto della Tonnara e il Verde, che hanno assunto carattere marino. Le acque dei laghetti più interni sono dolci, salmastre, mentre le lagune più vicine al mare sono più salate. Fenomeni come le variazioni di marea, le correnti marine, l'evaporazione, l'insabbiamento, l'apporto di materiale detritico, la presenza dei rifiuti, della pianta ailantus e della garipa, tipica della laguna, causano una progressiva riduzione della superficie dei laghetti. In essi è presente un'interessante fauna, costituita da 57 specie vegetali appartenenti a 29 famiglie botaniche ed, in particolare, da alcune specie endemiche piuttosto rare delle acque salmastre come il Piovanello Maggiore, la Xyrichthys novacula, la Pittima Minore, il Giunco pungente, l'Ampelodesmos Mauritanica e l'Albastrello dalle zampe verdastre. Di recente si è costatata la presenza della Buenia affinis, pesciolino di grande importanza scientifica e della vongoletta locale, quasi in estinzione.

L'area rappresenta anche il luogo ideale di sosta degli uccelli migratori. La flora è presente in ambienti diversi che vanno dalla vegetazione tipica delle acque salmastre e delle dune, a quella caratteristica della macchia mediterranea - canna arundinaria, erica, mirto, euforbia, fichi d'india, capperi.

Venendo meno le lagune sparirebbero le comunità biologiche esistenti in esse. è il torrente Timeto quello che apporta maggiori detriti e sedimenti alle lagune ed è il sistema biologico contenuto in esso che alimenta lo sviluppo della fauna. Purtroppo i laghetti e le distese di sabbia vanno scomparendo a vista d'occhio è questo è dovuto soprattutto al continuo prelevamento di sabbia dal torrente Timeto da destinare ad uso edilizio, impedendo così  il normale rifornimento verso il mare della sabbia, che viene invece trasformata in cave per le costruzioni.

Complessivamente la laguna di Marinello si estende su di un'area protetta di 401,25 ettari, di cui 248,13 ettari della Zona A (Riserva integrale) e 153,12 ettari della Zona B (Pre-riserva).

Nel mese di febbraio ed in particolare nelle prime ore del mattino, nelle acque di mare di fronte ai laghetti si pescano le neonate delle sarde.

E finalmente eccoci al tanto agognato Teatro di Tindari

Tyndaris fu una delle ultime colonie greche, fondata nel 396 a.C. da Dionigi I, tiranno di Siracusa, come fortezza ed avamposto militare, che vide nel promontorio il luogo ideale dove insediarsi, così come lo era Mylae (Milazzo) e Zancle (Messina);  dedicata ai Dioscuri, Castore e Polluce, figli di Leda e di Tindaro; da quest'ultimo personaggio la città prenderebbe il nome. La storia di Tyndari è travagliata da guerre, essendo un luogo ambito: occupata dai Cartaginesi, guidati da Annibale, nel 264 a.C., fu conquistata dai romani dieci anni dopo, deve la fine della sua epoca ad una frana prima, poi ad un terremoto intorno al 365 d.C., ed infine alla devastazione degli Arabi nell'836 d.C. Infine decadde sotto il dominio dei Normanni  perché nel 1094, infatti, Ruggero d'Altavilla istituisce a Patti il monastero benedettino del SS. Salvatore, punto di partenza per l'istituzione del vescovado (1122), ignorando Tindari perché legata alla tradizione bizantina.

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Ma la bellezza di Tindari sopravvive ancora oggi nei suoi resti. Il teatro greco-romano costruito con blocchi di pietra arenaria dai greci nel V secolo a.C., modificato dai romani per adattarlo ai giochi circensi: l'Agorà (I sec. a.C.) percorsa da tre grandi arterie parallele (decumani), intersecate perpendicolarmente da diverse strade più strette (cardines); l'agorà porticato, oltre la quale, nella zona più elevata (oggi occupata dal nuovo Santuario) era situata l'acropoli sacrale della città; i resti di due abitazioni (I secolo a.C.) del tipo a peristilio con tablinium; le terme composte di un cortile, un frigidarium con vasca da bagno, due tepidari, un calidarium; il propileo monumentale che è un edificio costituito da quattro archi (ma di un quinto mancante si intuisce la presenza), costruito dai romani con grosse pietre arenarie e destinato a Basilica per le pubbliche riunioni, o a Ginnasio per lo svolgimento di esercizi atletici; i resti delle mura ciclopiche, fatte costruire da Dionigi; una torre (XVI - XVII sec.), situata nei pressi del teatro.

All'interno dell'Antiquarium, situato all'ingresso degli scavi, sono esposti statue marmoree di personaggi togati, una testa dell'imperatore Augusto, un capitello corinzio, ceramiche dell'età del bronzo, lucerne romane di età repubblicano-imperiale, attrezzi da lavoro e tanti altri reperti storici ritrovati in loco.. INFO +39 941 241136. Si ringrazia AAST di Patti per la cortese collaborazione ed il materiale gentilmente messo a disposizone per il nostro sito.

La villa Romana a Patti Marina

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Lasciato con rimpianto Tyndari, eccoci alla volta di Patti Marina, dopo aver percorso una graziosa strada nazionale, un po' intrigata dalle curve ma che certamente ci consente di godere della lussureggiante campagna pattese. Infatti si possono ammirare i campi coltivati a vigneti ed uliveti; ben presto dopo qualche chilometro, ecocci alla meta, per ammirare i resti della famosa Villa Romana, che ci ricorda da vicino Piazza Armerina. Sopra di noi ecco i piloni  dell'autostrada ME-PA, ma è proprio grazie agli scavi autostradali che fu possibile repertare nel 1975 una sontuosa villa, su ben 20.000 mq (!), molti dei quali ancora inesplorati. La villa è datata al I-II sec e reca mosaici di periodo tardo-romano.

 Essa si estrinseca attorno ad un vistoso peristilio porticato porticato, dove si possono scorgere ambienti di cui il più noto è la sala triabsidata che presenta il mosaico di maggior interesse: con figure geometriche e zoomorfe molto ben conservate. Un secondo nucleo è rappresentato dal complesso teramle che testimonia il lusso dei proprietari. La villa è stata distrutta da un terremoto nella seconda meta del IV sec. DC., ma è stata riadattata e forse abitata fino al sec. VII d.C..

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alla prossima gita e grazie per essere stati con noi anche se in maniera virtuale e grazie, ancora, per  l'attenzione!

Claudio Italiano