Onori a Giorgio Rizzo !
Sono gli ultimi momenti dell'esistenza di Giorgio Rizzo, la cui nobile figura è filtrata attraverso il ricordo del C.te Bellone De Grecis, l'ultimo degli uomini del Mas di Giorgio Rizzo. L'uomo di mare, avendo avuto notizie del sito che curo, dove tra l'altro celebro i Rizzo, mi ha pregiato di inviarmi queste righe, a testimonianza del Valore e dell'Onore di un grande Eroe, Giorgio, emulo del Padre Luigi. Giorgio sa bene che lo aspettano i nemici per mettere vigliaccamente fine ai suoi giorni ed ordina al giovane Bellone De Grecis di andare a comprare i tabacchi a Bari, per risparmiare al ragazzo la giovane vita....
a cura del STV (MD) Claudio Italiano
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C.te Giorgio Rizzo
"Chi scrive fa parte di quei "solini blu" che dopo l '8 settembre 1943 hanno consentito di mantenere, a bordo e a terra, la compattezza della Marina Militare Italiana. Sono vecchio e pieno di ricordi di un periodo ormai tanto lontano, ma denso di avvenimenti che restano indelebilmente impressi nella mia mente e nel mio cuore. Dei miei 51 anni, 8 mesi e 13 giorni di servizio militare, desidero raccontare il primo impatto con la Marina, con la guerra, la seconda guerra mondiale. Nel 1940 ho conseguito il diploma di terza media. Avevo 16 anni, l'Italia era in guerra e fui preso dall'entusiasmo, allora dilagante, di servire la Patria. Fu bandito un concorso in Marina, ma bisognava mediamente aver compiuto 17 anni, mentre per la categoria di motorista si poteva accedere anche a 16 anni e tre mesi; quindi optai per quella categoria. Passai la prima visita a Bari, risultai idoneo e fui destinato a Gaeta, luogo di accentramento di tutti i volontari del meridione, dove passai una seconda visita medica ed il 14 giugno 1941, con altri volontari, partii per Pola dove entrai a far parte del C.R.E.M..
Superai il corso e
chiesi come destinazione l'imbarco sui M.A.S. o motosiluranti.
Così, all'inizio del 1943, insieme ad altri motoristi fummo inviati a Navalgenio Milano e dopo qualche settimana di frequenza del corso sui
motori all'Isotta Fraschini, fummo destinati a La Spezia; dopo pochi
giorni di permanenza nella città ligure, ero tra i sette allievi inviati
presso la 2A flottiglia M.A.S. a Trapani. Questa destinazione non fu
certo felice, perchè dopo solo due giorni ebbi il primo duro impatto con
la guerra, infatti a Trapani vi fu il primo bombardamento dei
quadrimotori americani in Italia. Al termine di quell'orribile
bombardamento, io ed i miei compagni siamo usciti dal ricovero per dare
aiuto alla popolazione. La Via dei Biscottai, che costeggiava il porto,
era ridotta ad un cumulo di macerie. Un disastro, preferisco non
indulgere in macabri e dilanianti particolari.
Il Comando della 2A flottiglia M.A.S. era diretto dal Comandante Michelangelo e dal Comandante Ghittoni, peraltro non ricordo con precisione il loro grado. Essi per ordini ricevuti spostarono la base dei M.A.S. da Trapani a Mazzara del Vallo e così l'intero gruppo di "massisti" fu trasferito. Per i M.A.S. Fu un periodo negativo perchè ne furono affondati due all'isola di Lampedusa e un altro a Pantelleria prese fuoco e andò completamente distrutto. A questo punto il Comando destinò sei allievi motoristi in Italia ed io, il settimo, fui destinato a Pantelleria; mi fu detto perentoriamente che l'indomani dovevo imbarcare sul peschereccio San Ciro diretto a Pantelleria.
Al momento mi sembrò
strano che tutti i miei amici tornavano indietro, mentre io scendevo
verso quel lembo estremo del nostro Paese. Tant'è.
Sbarcato a Pantelleria, vidi una casermetta sulla strada alla fine della
banchina, vi era un solo MAS., il numero 531; il motto del naviglio era:
"Ibis et redibis". Il proverbio latino, per intero, suona così: "Ibis et
redibis, non morieris in bello", andrai e ritornerai non morirai in
guerra. è davvero singolare questo proverbio, con particolare
riferimento alla storia che vado narrando, spesso mi soffermo a
pensare. Secondo la leggenda, infatti, i soldati romani, prima di
partire per la guerra, si recavano dalla Sibilla Cumana, la quale
pronunciava sempre le stesse parole, quelle del proverbio appunto. E però, la Sibilla per modificare il vaticinio bastava che si soffermasse
o meno, sulla negazione "non", in tal modo scaturivano due diversi
oracoli: Ibis et redibis, non morieris in bello (andrai e tornerai, non
morirai in guerra); Ibis et redibis non, morieris in bello (andrai e non
ritornerai, morirai in guerra).
Mi presentai ad un marinaio che era sulla porta della casermetta e
questi mi portò dal Comandante. Non so se egli sapesse del mio arrivo,
mi guardò mi squadrò e quasi sorridente mi domandò quanti anni avessi,
gli risposi:
- Quasi diciotto.
Mi diede un benevolo scappellotto e mi disse che lui era del 1921 e che
era Giorgio Rizzo; sì, Rizzo di Grado e di Premuda. Rimasi incredulo. Lo
avevo studiato, mi trovavo di fronte al figlio dell'Ammiraglio Luigi
Rizzo di Grado e di Premuda, Eroe della prima guerra mondiale, il
celebre affondatore delle corazzate tedesche "Viribus Unitìs" e "Santo
Stefano". Il Comandante percepì il mio stupore e quasi a soddisfare la
mia innata curiosità mi accennò, comunque umilmente, alle gesta del
padre, alle due Medaglie d'Oro e alle quattro d'Argento, se mal non
ricordo. Il Comandante Rizzo, per il suo comportamento con tutti gli
uomini dell'equipaggio, sembrava quasi un fratello maggiore. Nei miei
quaranta anni d'imbarco raramente ho avuto modo di incontrare una
persona dotata delle sue qualità morali.
Tutte le notti eravamo in mare per tendere l'agguato al naviglio nemico
e al rientro il primo lavoro era rifornire i serbatoi di benzina,
controllare bene i motori e pulire le sentine e siccome ero il più
giovane e smilzo, mi prendevano in giro: questo compito toccava a me.
Quando si rientrava alla palazzina, il Comandante domandava sempre al
Direttore (era un maresciallo motorista) come andavano i motori e questi
rispondeva:
- Sono pronti al fiammifero.
Dopo un lungo periodo dì navigazione i motori iniziavano a scadere di potenza per cui fummo costretti a ritornare a Mazzara del Vallo per eseguire lavori. Quasi alla fine del porto-canale vi era lo scalo dei pescherecci, mentre dal lato opposto vi era l'officina il cui tecnico Milanese si chiamava Scalabino; erano arrivati da Firenze due motori già revisionati. Ci mettemmo tutti al lavoro, il Comandante Rizzo era al paranco e ci dava istruzioni per la messa a punto dei motore sulla base dello scalo; mi era toccato il compito di collegare i tubi dell'olio dal motore al refrigerante, vista la mia magrezza; infatti, il refrigerante era posto sulla paratia dello scafo e per arrivare a collegare i tubi bisognava fare delle contorsioni quasi impossibili. Mettemmo a posto il motore di dritta e non avemmo nessuna brutta sorpresa quando lo mettemmo in moto. Eravamo tutti felici per il nostro operato e così iniziammo a mettere sul basamento anche il motore di sinistra. Collegammo tutti i tubi, anche quelli dell'olio al refrigerante, ma successivamente notammo che l'olio aspirato dal motore non tornava tutto alla cassa.
Mediante il motore ausiliario aspirammo tutto l'olio dal motore principale, scollegammo dal basamento il motore, togliemmo la sottocoppa e notammo che vicino alla pigna di aspirazione dell'olio vi era un batuffolo di stoffa, lo togliemmo, pulimmo per bene, rimettemmo al suo posto il motore, ma ancora una volta nel verificare il livello della cassa dell'olio eravamo ancora costretti a constatare che non tutto l'olio veniva aspirato dal motore. A questo punto nacque il dubbio che la pompa di recupero non aspirasse tutto. Infatti, i motori dei MAS. avevano due pompe una di mandata e una di recupero, entrambe azionate dallo stesso asse; la pompa di recupero doveva avere una portata maggiore di quella di mandata perchè l'olio riscaldandosi aumenta di volume, ebbene verificammo che le pompe erano state scambiate e pertanto l'olio rimaneva nel motore: errore di montaggio! Rimontammo correttamente il tutto, eseguii nuovamente le mie contorsioni ed il giorno dopo facemmo le prove. Abbiamo percorso quarantacinque miglia, eravamo soddisfatti del nostro lavoro: il MAS. n. 531 era il più veloce della squadriglia. Il Comandante Rizzo era contentissimo, si congratulò e noi eravamo orgogliosi.
Ricominciarono le nostre missioni quotidiane. Allora i M.A.S. uscivano
in coppia di notte e al rientro al mattino con una piccola pompa
dovevamo caricare 5.000 litri di benzina e rimettere tutto in ordine per
una nuova missione. Quando i motori erano "pronti al fiammifero" si
andava fuori del paese, lì dove la vecchia centrale del latte era
adibita a refettorio, mentre nel vecchio macello era allestito il
camerone per dormire in brande di legno. Nonostante le ristrettezze e i
conseguenti forti disagi, eravamo sempre allegri e scherzavamo
prendendoci in giro.
Dopo tante missioni, si iniziò a temere lo sbarco degli alleati e
pertanto ci mandarono con due M.A.S. a Licata e a Sciacca, dove si
presumeva potesse avvenire l'invasione. Al contrario gli alleati
sbarcarono ad Augusta.
Nuovamente, dopo tante missioni, i motori iniziarono a scadere di
potenza; in quest'ultimo periodo avevamo il compito di posare le bombe
Beta di profondità, in previ-sione del passaggio di navi nemiche. Ad
invasione avvenuta fummo inviati a La Spezia e precisamente a Bocca di
Magra, per i lavori necessari, ed il Comandante Rizzo così scriveva a
suo padre: "Purtroppo la grande superiorità nemica ci ha tolto la bella
terra d'Italia, bisogna aver fede e lavorare. Ho fatto il mio dovere per
il bene del servizio e per l'onore del mio nome".
Avevamo percorso circa 1.800 miglia marine.
Dopo due giorni di permanenza il Comandante mi chiamò e mi disse:
- Hai lavorato duramente, perciò meriti un permesso.
Non nascondo che fui molto contento. Mi disse che dovevo tornare a Bari
a prendere i tabacchi; io però temevo che mi potessero fermare e riferii
le mie perplessità, ma il Comandante mi rispose di non preoccuparmi
perchè nessuno mi avrebbe ostacolato e mi salutò con il consueto
affetto.
Non potevo sapere che era l'ultima volta che lo vedevo!
Così presi la mia valigetta, la riempii di capi di biancheria e partii.
Giunto a Bari dopo tante peripezie, I '8 settembre fu dichiarato
l'armistizio. Non potevo più ripartire e mi presentai al Comando Marina
di Bari.
Del MAS. n. 531 non seppi più nulla!
Dopo tanti anni ho appreso quanto era accaduto: il Comandante Rizzo
aveva preso tutti i documenti di bordo (da distruggere) e con una
motobarca si era diretto all'isola d'Elba, ma qui durante un
bombardamento tedesco perse la vita.
Oggi, all'età di 86 anni mi viene da pensare, nelle notti insonni, che
io invece sono ancora vivo! Questo perchè il caso o meglio il mio
Comandante, Giorgio Rizzo di Grado e di Premuda, ha voluto così, lo sono
andato in guerra e sono ritornato, al contrario il motto del 531 non è
servito a proteggere il suo Comandante!
Spesso penso all'equipaggio del M.A.S. n. 531, al mio direttore di
macchine, agli altri amici: eravamo sempre d'accordo e in armonia.
Eravamo sempre "Pronti al fiammifero".
Qualora questo scritto venga pubblicato, desidero che il mio nome resti
sconosciuto, non vi è la necessità di renderlo noto; al contrario, ho
ritenuto doveroso narrare episodi della seconda guerra mondiale che
hanno visto il sacrificio, tra gli altri; dì un uomo come Giorgio Rizzo
di Grado e di Premuda."
IL NASTRO AZZURRO