Con grande gioia ed ammirazione per l’amico e compianto cancelliere, dr Gino Celebre, persona apprezzata e molto conosciuta a Milazzo, per l'impegno politico di consigliere comunale e provinciale ed assessore e per essere stato presidente della Direzione Nazionale del Sindacato di Categoria di Giustizia, nonchè cancelliere della Pretura di Milazzo, e, diremmo noi, un grande conoscitore della gente e della cultura Milazzese oltre che scrittore encomiabile, pubblichiamo alcune delle numerose storie milazzesi, che narrano di una Milazzo viva, popolana, fiera, sincera, paesana che non c’è più.
Per questo, ringraziandolo per la cortesia ricevuta nel permesso di pubblicare alcune pagine del suo libro ”Milazzo com’era” edito da SPES 1999, abbiamo voluto iniziare questo lavoro faticoso, cominciano con i fatti correlati alle vicende amorose, per come un tempo erano vissute nella nostra città. Iniziamo con una storia che parla del “bamparizzu”, cioè della grande vampa che i burloni accendevano ai vedovi che si risposavano, forse per invidia, stante la residua carica erotica che questi uomini d’un tempo avevano… ma dalla burla si passa al rischio di provocare danni irreparabili…
Seguono poi le vicende di Wanda, che come una Maddalena, dimostra di avere più cuore ed animo nobile rispetto a quelle che si definiscono sante donne, non fosse solo che per le opere amorose che elargisce alla città, che in cuor suo, nascostamente la adora nei salotti discreti della “Casa”, che per fortuna non è quella del “Grande Fratello”! E, per finire, il matrimonio siciliano degli anni sessanta, alla Grotta Poliremo, un’immensa spelonca che gli amici navigatori dovrebbero venire a conoscere, sita sotto il Castello di Milazzo, in località Tono, nei pressi del lungomare di Ponente, che già avrete ammirato nella nostra fatica “L’illusione”. Stavolta è un maestro scimunito che viene colpito, il quale si permette di suonare “malafemmina” nel corso dell’ingresso della sposina! Immaginate lo sconcerto, in un ambiente popolano dove l’onore e l’orgoglio viene prima di ogni cosa! Il milazzese è un bonario, ma se gli pesti i calli, diventa l’incredibile Hulk, specie se il misfatto avviene in pubblico o in situazioni speciali come questa che è narrata! Così il padre della sposa e lo sposo debbono intervenire per salvare l’onore muliebre, pena la diffamazione!
E’ ormai scomparsa,
da tempo, la consuetudine del “bamparizzu”. E forse se ne è persa anche la memoria,
e i più giovani non sanno, forse, cosa fosse.“U bamparizzu” era una burla, con l’accensione
di fuochi che sprigionavano vampate di fiamme (da qui il nome) e col canto di stornelli,
canzoni, motteggi di derisione, in occasione della “prima notte” si persone anziane
che si risposavano. L’ultimo fu fatto, alcuni decenni or sono, al Borgo, ove le
consuetudini locali durano molto più a lungo che in altre zone. Don Peppino, vedovo,
ed avanti negli anni e pieno di acciacchi, si sposò con altra vedova, sua coetanea.
Il matrimonio venne celebrato di sera, alla presenza dei soli testimoni. Non era
nelle intenzioni degli sposi, far pubblicità. Però, in una piccola comunità, la
cosa non sfugge. Ed ecco che, a tarda sera, un gruppo di buontemponi, raccolgono
legna, frasche, qualche straccio vecchio, sul quale buttano dell’olio; e accendono
il fuoco dietro la porta dei “novelli sposi”. Accompagnati dal suono di una chitarra
e di un tamburello, cominciano a cantare stornellate e canzoni improvvisate di sfottò,
anticipatrici e più ose, per contenuto, di quella cantata nella nota trasmissione:
“Quelli della notte”, di Renzo Arbore. Il fuoco lambisce la porta e la danneggia.
Naturalmente, l’indomani e nei giorni seguenti, divamparono vivaci discussioni.
Ed anche per questo, non si fecero più “bamparizzi”.
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Gli spettacoli al Castello, organizzati nel ciclo delle manifestazioni
dell’Estate milazzese, hanno il merito di fare incontrare vecchi amici che vivono
in altre località e tornano tra noi durante il periodo estivo. Tempo fa, al termine
di uno spettacolo, un mio vecchio amico che scendeva con me la scalinata del Castello
al Rosario, all’improvviso si fermò, per ricordare che al Borgo c’era l’ultima casa
di tolleranza, o “casa chiusa”, gestita dalla signora Wanda. E, fra il serio ed
il faceto, disse che, a ricordare il luogo, doveva essere posta una lapide. E incominciò
a declamare un improvvisato testo. -“Ma, cosa vai dicendo?!”, gli risposi, abbozzando
un sorriso di sufficienza. Ed egli riprese: -“ Lo so che non è possibile, però sarebbe
bello non fare perdere le memorie del passato”. Poi, disse provocatoriamente: -“
Perché non scrivi un’amarcod ?” Non ho potuto sottrarmi, e spero che i miei lettori
non me ne vorranno per questo ricordo dell’ultima sacerdotessa del tempio milazzese
di Venere. Giovanna X.X., detta Wanda, era subentrata nella gestione della “casa”,
ad Adalgisa X.; e la gestì fino alla chiusura, imposta dalla Legge Merlin.
Si era stabilita a Milazzo molti anni prima, ed era molto conosciuta, anche se le
sue apparizioni pubbliche non erano frequenti. In occasione della proiezione di
film romantici passionali, non mancava mai al cinema Trifiletti. Accompagnata dall’amico
del cuore, prendeva posto in uno dei palchi centrali; e anche chi non l’aveva visto
entrare o non la conosceva, non poteva non notarne la presenza durante la proiezione.
Infatti, nel più bello, si sentiva la voce della sig.ra Wanda che urlava, rivolta
alla protagonista, a seconda del film e della trama, frasi di questo genere: “ Non
gli credere: è un cornutazzo”; oppure. “Stai attenta che ti tradisce”; o; “ Sii
furba, puttava Eva”. Evidentemente, forse rivivendo vicende non liete che l’avevano
portata ad esercitare il mestiere più antico del mondo, si lasciava coinvolgere
dalla trama del film, rivelando così, in fondo, un animo buono. Altra apparizione
pubblica avveniva al cambio della quindicina (quando le ragazze della “casa” venivano
rimpiazzate con altre). Bisognava accompagnarle al Commissariato di Pubblica Sicurezza,
che sorgeva in Via Umberto I; e poi, dal medico. Le due ragazze e la signora Wanda
si recavano in carrozza per adempiere alle prescrizioni di legge. Nei giorni di
bel tempo, la signora Wanda ordinava al cocchiere di abbassare la cappotta della
carrozza. Prima di rientrare nella “Casa”, facevano il giro della città, per farsi
ammirare. E non erano poche le persone che guardavano sott’occhio e con finta noncuranza,
e che, poi, in tarda serata, si recavano a fa visita, celandosi agli occhi indiscreti,
nel salottino riservato.
Quando l’attività di night della Grotta Polifemo cominciò a cessare, divenne di moda affittarla per ricevimenti in occasione di matrimoni. Fare il ricevimento alla Grotta Polifemo era considerato molto “in” o, meglio, “un gradino in più”, nella considerazione altrui. Durante il ricevimento avvenivano le “passate” dei camerieri che, sui grandi vassoi d’argento, distribuivano, prima della paste secche, e, successivamente, confetti, dolci vari, gelati, intervallati da liquori vari (rosolio, vermouth, cognac, ecc.); ed infine la classica torta nuziale. Il pranzo per gli invitati divenne di moda solo molto più tardi, negli anni sessanta inoltrati. Il ricevimento era tanto più sontuoso se ai rinfreschi seguiva il ballo, al suono di una delle molte orchestrine che in quel tempo esistevano a Milazzo. Nelle orchestrine, composte da 4-5 elementi, il solista coincideva spesso col maestro. Gli sposi, come per consuetudine, arrivavano nella sala per ultimi e, in attesa del loro arrivo, l’orchestrina intratteneva i presenti allietandoli con ritmi allegri. Una volta, accadde che gli sposi giunsero prima della ormai classica ora di ritardo, per cui il maestro, colto alla sprovvista, cominciò a far squillare, dalla sua tromba, le note acute della famosa canzone di De Curtis: Malafemmina….Lo fece, evidentemente, pensando solo alla musica; e non alle parole. Ma la sposa, pur nell’emozione del momento, appena ricordò le parole della canzone, allora molto in voga, scoppiò in lacrime. Il padre della sposa e lo sposo protestarono vivacemente con il maestro; e poteva finire anche male, se questi, compunto, rattistrato ed umiliato, non fosse riuscito a persuaderli che si era trattato di uno spiacevole errore. L’episodio fece il giro della città; e, naturalmente, il maestro venne, per qualche tempo, soprannominato: “Malafemmina”.