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C'erano una volta i gelsomini, le gelsominaie e i furbetti,  a Milazzo

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Era doveroso per Sito Milazziano parlare della raccolta del gelsomino, non fosse altro perché la propria madre era una delle donne addette a tale pratica. Alla fine del brano, potete anche apprezzare una gustosa storiella veramente accaduta, grazie e buona lettura.

I famosi gelsomini profumati dal sole di Milazzo

Era l'epoca in cui veniva raccolta l'essenza dei bianchi fiori e commercializzata a Grasse, in Francia, capitale mondiale del profumo grazie a un'industria che risale al XVI secolo, basata sulle raffinate tecniche di lavorazione delle materie prime locali, fra cui il gelsomino di Milazzo, perchè il Dio Sole era particolarmente generoso con Milazzo e forniva l'energia necessaria perché la campagna desse frutti dolci e buoni, compreso il "vino da taglio", assai apprezzato dai cugini francesi, che lo utilizzavano, appunto, per "tagliare" il loro vino più sciocco con quello forte e generoso milazzese, nero come il sangue, corposo come la terra fertile ubertosa e gelsomini profumatissimi, candidi come la neve, che si aprivano la notte, come le stelle della sera,  quando ancora la sera, d'estate, la rugiada cadeva copiosa come benevola carezza per lenire la canicola estiva e si poteva respirare il loro profumo dolce ed intenso, quando il viandante procedeva lungo la strada che portava a Grazia, fra i platani antichi, in una zona che era un Paradiso terrestre. 

Era il tempo in cui ancora la sera d'estate ci si raccoglieva davanti ad una fioca lampadina, nei terrazzi o nei bagli, e si ammirava il lavoro solerte dei gechi, che sembravano agli occhi dei bimbi come degli enormi coccodrilli. Gli anziani invitavano i bambini ad osservare gli agguati che i gechi tendevano alle ignare falene che giravano attorno alle lampade, con questo modo di fare essi trasmettevano messaggi potenti di rispetto della natura e di coltura ambientale. Oggi, purtroppo, è raro vedere ancora i gechi sui muri vecchi delle campagne e le donne diventano isteriche se vedono uno di questi animaletti che tenta di entrare in casa! 

Era il tempo in cui non esisteva la calura sfiancante di questi tempi, ancora ci si copriva le spalle con un golf la sera, specie nelle campagne più interne, dove cadeva una fresca rugiada e mai il termometro segnava 30 o 40 gradi. 

Vedi Surriscaldamento globale Milazzo.

I gelsomini ancora crescevano rigogliosi nelle terre assolate  di contrada Grazia, Cacciola, Bozzello ed in parte al Ciantro, prima che il mostro industriale divorasse le terre di Milazzo, come in un brutto incubo, con enormi ganasce a mo' di pale meccaniche che sdradicavano i ceppi degli ulivi di Olivarella e li buttavano nelle discariche: finiva un mondo che nei secoli aveva sostenuto le nostre rustiche progenie!

 Ma qualcuno sosteneva che il progresso industriale avrebbe portato benessere alla Città e si poteva, finalmente, morire con la pancia piena, come il personaggio del Verga! Non importa se in salute, basta che ci fossero stati i soldi.

La guerra e la fame anche a Milazzo

A Milazzo la miseria e la fame, dopo la guerra, regnava sovrana; di meno nelle campagne dove si cercava di reperire e di mangiare quello che si poteva, industriandosi a realizzare farina dalle "favuzze" o dalla "segale", da cui si otteneva del pane scuro e poco appetibile, poco lievitato, ma intanto si mangiava. Sotto i letti, nelle campagne, in cassettoni, a parte la poca biancheria, si nascondeva la pasta che si riusciva ad ottenere dal mercato nero.

Al centro di Milazzo, la povertà era più sentita;  alcuni anziani che non erano al fronte, pescavano qualcosa a mare e si arrangiavano come potevano e se non potevano andare per mare, per paura di essere colpiti, raccoglievano "brogne", cioè bocconi di mare, al mare di levante,  dove c'era l'idroscalo degli aerei, da cui il famoso detto milazzese:
- Chi puttasti, pa' casa? 
- "Brogni, puttai!"

Il lavoro, infatti,  non esisteva e nemmeno la moneta girava.

Ma c'era la voglia di andare avanti e la speranza nel futuro; si tirava la vita per come si poteva e le ragazze da marito dovevano mettere insieme il "corredo nuziale" e raccogliere qualche soldo necessario per aiutare la famiglia.

 In genere il corredo era per tradizione compito della donna; c'era perfino il "diritto di famiglia", che fino al 1975 dettava norme in merito al corredo ed alla dote della donna, cose d'altri tempi.

Il corredo constava di 12 pezzi per ogni capo di biancheria, ma si poteva anche arriva a 24 pezzi, se la famiglia era ricca.

Per esempio 24 lenzuoli doppi di puro lino ricamati a mano, 24 semplici, 36 coppie di federe, 12 asciugamani di tela d'Olanda più 6 per gli ospiti, 12 tovaglie d'organza più 6 per tutti i giorni e così via. Le donne ancora sapevano rammendare e cucire. La parte personale del corredo, invece,  contemplava capi di biancheria, camicie da notte di seta, camicie di tela, mantelle, fazzoletti e via dicendo.

Questa usanza finalmente finì nel 1975.

La raccolta dei fiori di gelsomino

Le ragazze da marito, dunque, andavano a lavorare nelle campagne, sia nelle campagne dove il padre faceva il colono per "'u 'gnuri", cioè per il signorotto possidente locale, che in genere proveniva dalle famiglie notabili di Milazzo, ed era abbiente; ma il padre di certo non le poteva pagare, anche perchè nelle campagne la paga consisteva nel prodotto dei campi, fosse il vino, fossero gli ortaggi, la carne degli animali, vitelli, galline, suini ecc. Solo qualche tempo dopo vennero dei padroni intelligenti ed aperti alle esigenze dei loro coloni; ricordo che un mio parente, negli anni 60 percepiva 60 mila lire al mese oltre che prodotti di campagna, come 1 ettolitro di vino al mese ed una giara di olio al mese.
Così si andava nei campi dove si raccoglieva il famoso gelsomino. La paga per la raccolta di questi fiori era miserevole, e veniva calibrata sulla base della raccolta dei fiori, che avveniva rigorosamente di notte, dopo che i gelsomini erano stati innaffiati.
Anzi, si dice, che alcune ragazze più scostumate, per dispetto, addirittura si accovacciassero sui cesti di fiori per cospargerli di "piogge dorate"  e dare più peso al prodotto raccolto e pare, addirittura, che i fiori per tale ragione producessero essenze afrodisiache, molto ricercate a Grasse, in Francia, dove tali aromi giungevano per confezionare preziosi profumi!
Le ragazze erano costrette a lavorare chine per almeno 4-5 ore. Si coricavano alle 19 del pomeriggio e si alzavano alle 2,00.  Dalle 3:00 alle 7:00  erano già all'opera nei campi.

Anche mia madre vi andava.
Altre donne, come appunto, mia madre, che viveva nella contrada di quei della Madonna delle Grazie, dovevano attraversare di notte le campagne; non c'erano strade maestre, non c'era illuminazione; si procedeva al buio, a tentoni, con qualche fioca lucina di lanterna, cercando di   raggiungere faticosamente, a notte fonda, i campi di raccolta, per presentarsi in orario, spesso senza scarpe le più anziane, che avevano il "battistrada" nei piedi, o con vecchie ciabatte di legno, "le zoccole di legno" o addirittura  con i piedi nudi nel fango delle vigne, col rischio di buscarsi dei malanni.

Ricordiamoci che a Milazzo, nelle campagne, c'erano dei vermi che vivevano negli acquitrini ed entravano dalle pieghe delle dita dei piedi,  facendosi strada nel corpo delle povere contadine malcapitate; fra queste parassitosi,  per esempio, era famigerata l'ancylostomiasi, il cui verme  si posizionava nel duodeno.

 Si narra, per esempio, che le ragazze che diventavano anemiche per l'azione devastante del verme, dovevano fare delle iniezioni (vitamine? flebo con ferro? terapia antielmintica?) e si recavano all'ospedale di Milazzo, a Vaccarella, dove, per il fatto che fossero infestate dai parassiti, rimanevano praticamente fuori degli ambulatori e, talora, dovevano porgevano il braccio da un finestrino, all'infermiere di turno per fare le terapie ed incannulare la vena.  Quindi pativano quest'altra umiliazione. Ma si sa, le fogne ancora non esistevano, si beveva l'acqua dei pozzi e si facevano i bisogni ancora nel "cannito", nè c'era il servizio della nettezza urbana..

Ma questo era un altro discorso.

I primi sindacati di Sicilia, qui a Milazzo!

Ma torniamo alle ragazze.

Dicevamo prima che la paga percepita per la raccolta dei gelsomini era misera, qualche spicciolo; 25 lire per 1 kg  di fiori raccolti, praticamente anche i padroni succhiavano il sangue delle ragazze come >>l'ancylostoma !

Poi fu la volta di una donna con " le palle" dei seni (!),  Grazia Saporita, in arte " 'a bissagliera", in onore al film di De Sica, che innescò la protesta popolare e fece innalzare le paghe, fatto famosissimo in Sicilia, del quale volutamente se ne tacque, perchè anche allora, come oggi, le lobbies gestivano le cose umane.

Nell'agosto del 1946, subito dopo la guerra, dopo il primo sciopero delle contadine milazzesi, capitanato dal grande Tindaro La Rosa e Giuseppe Currò, le paghe per la raccolta del gelsomino lievitarono  e passarono a 50 lire al chilo, poi 80-90 lire fino a 1050 lire del 1975, ma per raccogliere un chilo di gelsomini, hai voglia! 

Le belle gelsominaie, come le mondine delle risaie del nord,  ottennero anche gli stivali ed il grembiule.

I gelsomini, di palo in frasca, e le malumbre

Spesso, quando la fame era ancora più nera, nel primo periodo dopo guerra, le vecchie madri, invidiose di alcune famiglie dove le figlie erano più apprezzate dal padrone gelsominaro, perché considerate grandi ed indefesse lavoratrici, cercavano in tutti i modi di dissuadere dalla raccolta dei fiori le ragazze altrui.

Allora si inventavano una serie di stratagemmi.

Si sapeva, per esempio, che nella contrada Bozzello, la sera qualcuno aveva visto delle "malombre"; si pensava ai soldati morti ammazzati, le cui anime ancora vagavano in alcuni quartieri di Milazzo,  a S.Papino, per esempio,  a mò di fiammelle azzurre, di cui ne aveva scritto perfino il nostro scrittore milazzese, Federico De Roberto, quello dei "Vicerè", nel libro l'Illusione (vedi Fantasmi Milazzesi).

Sfruttando questa paura atavica, nell'intendo di spaventare le ragazze più tenere per dissaduerle dalla raccolta dei fiori, queste donne più anziane facevano vestire da spettri i loro figli maschi, per giocare loro brutti scherzi.

Cosi mentre le ragazzine e le donne procedevano tra i viottoli bui di campagna, improvvisamente spuntavano da dietro le siepi gli spettri ululanti coperti da lenzuola bianche e le ragazze, spaventate,  piangevano, urlavano e scappavano per tornare indietro alle loro case.

Ma le madri più anziane e più coraggiose, come la buonanima di Nonna Mica,  come donne più coraggiose e forti si erano industriate: avrebbero accompagnato le ragazze e verificato la genuinità o meno dei fantasmi!

Cosi, non appena comparivano gli spettri, togliendosi dai piedi le "zoccole" di legno, le scagliavano con violenza sugli ectoplasmi per vedere cosa accadesse, ma mirando bene alla testa.

Poiché ne seguiva un urlo di dolore molto intenso, stavolta scappavano gli spettri ed il mistero dei fantasmi era bell'e risolto!

Si trattava ovviamente del tiro birbone di qualche sfaccendato, pilotato in questo dall'interesse di distogliere le altre ragazze dal lavoro di gelsominaia, ma dopo il colpo di "zoccola" in testa, di sicuro, il furbetto era rinsavito!

Così la vita a Milazzo procedeva come sempre, e del fatto se ne raccontava, poi, davanti al braciere, che rappresentava il televisore di un tempo....

 

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