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Federico II e la sua cara Milazzo

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appunti del dott. Claudio Italiano

Chi era Federico II ?

Fu uomo di gran cuore, ma la sapienza che molta era in lui lo portò a procedere con la maturità della ragione..." così scrisse di Federico II imperatore Nicolò Jamsilla, amico del figlio Manfredi.

Sapienza e ragione lo portarono a quella fusione fra il mondo latino e quello mussulmano-normanno, cosa auspicabile da attuarsi anche ai nostri tempi, quando la cultura araba si scontra con quella occidentale. E questa modo di vivere e di assimilare le culture, che era già stato un tempo il modo cui i romani si confrontavano con gli altri popoli, basta citare la celebre frase di Orazio: "Graecia capta, Romam cepit et artes intulit agresti latio", cioè " conquistata la Grecia, Roma fu conquistata a sua volta e le arti entrarono nel Lazio rustico", che è la vera novità dell' epoca di Federico II.

Infatti l'imperatore governò con estrema saggezza ed equilibrio e seppe far sue le usanze dei popoli dei quali aveva il dominio. A Milazzo visse e si dilettò di caccia e di cucina, riunendosi con i suoi uomini nella famosa Sala del Parlamento Siciliano, che si trova nel Dongion del Castello, vale a dire nella Torre Normanna,  quella in cima, dove un enorme camino crea un'atmosfera di rilassata convivialità. Federico II fu un buongustaio ma la sua mensa non fu mai volgarmente imbandita, anzi assai raffinata e curata secondo principi di medicina che aveva appreso dalla  Regola sanitaria salernitana. Infatti si deve a lui una gastronomia  integrata ad una cucina salutare, dando vita a quella scienza dell'alimentazione che si espresse nel banchetto di corte assurto a simbolo socio-gastronomico.

L' uomo è ciò che mangia.

Dei fasti della celebre cucina siciliana d'epoca greca poco restava: i terreni abbandonati e incolti poco potevano dare alla cucina prima dell'arrivo dei musulmani. I Milazzesi avevano tanto da apprendere dagli Arabi, che introdussero la pesca del tonno, fondarono 5 tonnare a Milazzo ed insegnarono a cucinare una serie di piatti, fra cui perfino gli arancini di carne, che furono poi impanati con la caratteristica panatura dorata dai normanni.

Si deve agli arabi, a Milazzo, la costruzione degli acquedotti, i tetti che raccoglievano al Capo l'acqua nelle cisterne, l'invenzione della "saja", che è parola araba e significa i canaletti di coccio per le irragazioni e per portare l'acqua nelle case dei nobili e così molte parole siciliane sono di uso comune, per es. le pietre della spiaggia, si chiamano " a' ghiara", che in arabo significa " le pietre" e la parola "alcol ed elisir", sono arabe, perchè essi erano anche validi medici e sapevano curare l'impaccio allo stomaco, le febbri, le piaghe, le scottature, fare pozioni d'amore con lo stramonio, leggere le stelle, misurare il tempo con le meridiane, essere bravi astronomi,  non per niente erano arrivati da Gesù a Betlemme ecc. ecc.
Portarono, infine, anche le carrube ed il "karat", che è il seme del carrubo, misura usata per misurare il valore delle pietre preziose in "carati". Insomma Milazzo è Araba, ma anche sveva, normanna, angioina, inglese e francese e garibaldina, cioè italiana, ed i figli dei garibaldini si chiamavano " figlio di italiano", da cui il mio cognome, che è un vanto! Cioè figlio di "mamma" , in sostanza, della canzone napulitana, perchè anche i Borbone furono di stazza tra Milazzo e Messina.

Il Castello di Milazzo, sede del Parlamento Siciliano

Il Focolaio - Sala del Parlamento, Castello di Milazzo

L'agricoltura crebbe e si sviluppò in Sicilia grazie al periodo di pace e prosperità che Federico II seppe portare ai popoli. Così dal X sec. e fino alla fine del XIV ci fu un graduale ritorno alla terra, sopratutto grazie ai nuovi sistemi di irrigazione, stante la penuria di acqua che da sempre ha caraterizzato questa terra.

Al tempo di Federico II, a Milazzo, esistevano terreni incolti, infestati dal rovo e boschi di leccio (Quercus ilex , tanto che si parlava del famoso "Parco di Federico II", che sorge pressappoco dove oggi c'è la chiesa della Madonna del Boschetto e cominciano le industrie pesanti con loro olezzo. Ma un tempo non era così, perchè l'imperatore si recava a cavallo col suo falco inseparabile a caccia, scortato dai suoi cavalieri.
All'epoca i banchetti reali prevedevano la selvaggina e, dunque, grandi quantità di carne, sopratutto cacciagione: cervo al pepe, spalla di cinghiale, polli al lardo, pavoni, cigni e aironi in salse, oggi stucchevoli, al chiodo di garofano; anatre, fagiani, capponi, colombi ecc.,sempre ricchi di spezie per nascondere gli odori della eccessiva frollatura. Ma Federico II rivoluzionò tali usanze ed introdusse la carne fresca, per cui le spezie divennero più leggere e furono sostituite addirittura da aromi mediterranei della sicilia, basilico, menta, salvia e prezzemolo.  Il dessert prevedeva pane speziato e dolci al miele; fichi e melograni come frutta, che però sovente si serviva all'inizio del pasto.

Sotto Federico II La tavola diventò, quindi, sistema di comunicazione, occasione, cioè, di convivialità e per ostentare ricchezze e sopratutto la potenza del signore in tutta la sua pompa. Fu la rinascita della cucina siciliana: si riprese l'uso degli umidi della cucina greco-romana, accanto alla quantità di arabica tradizione. Nella Sicilia federiciana si coltivavano riso, cetrioli, melanzane, zucchini, cavolfiori, spinaci, asparagi, porri, rape e fagioli, già introdotti dai mussulmani. Infatti il fagiolo, al contrario di quanto si possa ammette, non giunse da noi dalle americhe, ma in Sicilia, al tempo dell'imperatore Federico, una specie di  fagiolo nero veniva coltivato già nel X secolo.

Proveniva dai territori della Mezzaluna fertile (Siria, Libano, Egitto) ed era destinato alla cucina di corte. Poi questa piccola delizia, sconosciuta nel resto d'Europa, finirà nel Ménagier de Paris (fine XIVsec.).

Fra i cibi per iniziare c'è sempre un passato di fagioli. Poi le frutta rappresentate da fichi e melograni furono sostituiti da mandorle fresche, pesche, albicocche e angurie, mai prima di allora mangiati da ricchi e da poveri al tempo stesso.
I viaggiatori capitati in Sicilia parlarono delle meraviglie delle pesche su cui erano scritti versetti del Corano e dediche. Si trattava di un'usanza araba di grande effetto e di facilissima realizzazione: si incollavano con la farina le lettere sui frutti acerbi, quindi si toglievano le  foglie per esporre quei frutti al sole che li colorava di rosso. Al momento di servire si toglievano le lettere e appariva di colore verde la parte coperta.

Un dessert elegante prevedeva frutta secca, gelatine di frutta, i canditi all'uso arabo assieme all'uva sultanina. Ad un certo punto la cucina normanna e quella araba si fusero nella cucina della sicilia, dove lo zucchero di canna, portato dagli arabi e prodotto in Sicilia, servì per sciroppi medicinali e per tanti buoni dolci, primo fra questi la celebre" cassata siciliana", così definita dalla parola latina  caseatus (?) , ma forse è più esatto dire dalla parola araba qasàt, dove ricotta di pecora, zucchero e canditi finiscono per rappresentare l'aspirazione al sublime di un popolo sempre incerto fra la Bibbia e il Corano.
Le salse più importanti dell'epoca furono la agresta e la camellina.


La prima, con succo di limone o di uva verde è paragonabile all'odierno salmoriglio; mentre la camellina è salsa d'aceto di vino con cannella, zenzero,pepe chiodi di garofano.

Con Federico II la bevuta a tavola diventa espressione di opulenza e di normalità, una sorta di "bere sociale", anche se il sovrano sembra fosse sempre moderato nel bere e nel mangiare. Gustava solo cibi raffinati che richiedeva espressamente: pare che mangiasse una volta al giorno, ed appunto sembra che fosse quasi astemio e che facesse regolari periodi di digiuno. La scuola medica salernitana recita: "Si, tibi noceat serotina potatio vini, horu matutina rebibas, et erit medicina!"

Cioè se di sera ti ha fatto male la bevuta, ritorna a bere di mattino e questo ti farà da rimedio.

In realtà anche noi oggi sappiamo che il vino rosso, se bevuto con moderazione, fa bene ai vasi sanguigni. E Milazzo fu la patria del vino, sin dai tempi dei Romani che a Milazzo si rifornivano di Vino (cfr città del vino).

Alla corte federiciana si mangiò seduti davanti a bassi tavoli (piccoli banchi, banchetti) attingendo al piatto di portata; si usarono coltelli a punta e si portò il cibo alla bocca con le mani che si risciacquavano spesso in bacinelle portate dai servi. Il vino, aromatizzato con mirto dei nebrodi, fu sempre servito in coppe preziose. Federico II si distinse per la sua frugalità che gli veniva da una parte dalla cultura popolare (non dimentichiamo che fu bambino fra i vicoli palermitani) e dall'altra dai consigli medico-dietetici di Teodoro.

 Il suo cuoco restò famoso per la preparazione dello scapèce un piatto attribuito per tradizione al gastronomica romana, che in realtà era di derivazione araba; infatti la parola deriva dall'arabo volgare "iskebeq",cioè pesce marinato.

A lui si devono i piatti che ancora oggi abbiamo in sicilia: le caponate di melenzane, pesci o verdure fritti o fatte arrostire alla brace, che sanno preparare ad hoc sui Nebrodi, in alcune osterie tipiche, accompagnandole ad un vino rosso, dolce e colorato come l'inchiostro! Iin genere melanzane e zucchine si fanno marinare in una salsa d'aceto profumata con zafferano e foglie di menta. 

La qualità e la raffinatezza dei piatti di corte era evidenziata dalle carni che furono sempre fresche e pesci assolutamente di giornata, profumati con aglio, cipolla, rosmarino, timo, salvia... I formaggi elencati nei documenti di corte sono, ancora oggi, fra i migliori formaggi italiani: Federico, a quanto pare, amò i formaggi freschi come la ricotta e i tanti pecorini che sono vanto della tradizione siciliana. Nel testo sulla falconeria si trova indicata una speciale ricotta di latte di pecora e di mucca che si raccomanda come importante alimento per i falchi. Alla corte di  Federico II, Castello di Milazzo compreso, è la fiamma del caminetto che accarezza gli spiedi, e la brace dove lentamente cuociono ortaggi e verdure.

Naturalmente tutte queste delizie si prepararono sempre nelle enormi cucine reali; non si può parlare di arte culinaria alla sua pittoresca corte itinerante dove però si mangiò sempre il pane di frumento, di cui vanno fieri i contadini di nebrodi e peloritani, per esempio famoso è quello di Montalbano Elicona (ME) e grande e antica è la tradizione del pane dell'isola dove I'orzo s'usò solo per nutrire il bestiame.
 Federico anticipò il signore del Rinascimento con i suoi poeti e filosofi. Alla sua tavola furono ospiti genti di ogni lingua e religione che recavano un bene prezioso, ieri come oggi, l'infor-mazione. Erano notizie scientifiche, note di cronaca e di costume, storie di mare e di cacce, echi di narratori e musici che con la buona cucina e I'ospitalità regale andavano ricambiate Tenero e crudele, violento e cortese, autoritario e generoso  fu I'ultimo imperatore medievale e il primo signore laico e mondano.
Come usava fare da piccolo, per il suo arrivo a casa voleva trovare le violette candite che reputava ricche di energia terapeutica e che piluccava mentre accarezzava i suoi falconi.

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