Ritorno all’Acropoli di Milazzo

 

La città fortificata tra passato e futuro. cfr anche : Milazzo antica come appariva attraverso il racconto del De Roberto

 
Tratto da Milazzo Nostra,  il webmaster ringrazia la preziosa collaborazione de “ La Società Milazzese di Storia Patria”.

 Il titolo suona come un annuncio propiziatorio o, più semplicemente, come un invito a conoscere, ma sarebbe meglio dire a "riconoscere sul campo", le sembianze della scomparsa "città madre", e un auspicio; un modo figurato per dire: si torni sul Colle per ritrovare le tracce della città abbandonata- il 'cuore antico' di Milazzo - e per riparare ad una colpevole negligenza della città contemporanea che ha rimosso dalla denominazione della Rocca ( per tutti il "Castello") anche la memoria onomastica di "città murata".

Francesco Negro, Carlo Ventimiglia, Atlante di Città e Fortezze del Regno di Sicilia, 1640, Castello di MilazzoIn un documento topografico databile alla metà del '700 (circa 1755), che si suole indicare come la "Carta di Napoli", con riferimento all'Archivio di Stato partenopeo, che ne custodisce I' originale manoscritto,s i legge quanto della città murata restava ancora in piedi in condizioni di apparente integrità,e quanta parte della stessa appariva a quella data non più esistente. Le informazioni si spingono oltre. Gli autori della rappresentazione appartenenti con tutta probabilità al Corpo Tecnico dell"'Officio Topografico" di Napoli, hanno rilevato anche i contorni dei comparti privi di edifici attraverso linee puntinate, restituendoci così il disegno dell'antica trama viaria, delle piazze, delle aree libere e di quelle verdi. I documenti d 'archivio ci consentono oggi di riempire mentalmente quei comparti svuotati. Nei loro contorni vanno sicuramente inseriti edifici abitativi, di culto e di servizio di quella popolazione stimata in 300 fuochi e circa 1200 individui nella "informativa" raccolta dal viceré di Sicilia e indirizzata a Filippo II di Spagna nel 1582. E si può andare più in là. Un sommario calcolo dell'ampiezza degli stessi isolati e della densità edilizia da essi sostenibile ci porta a valutare le superfici disegnate come adeguate ad un insediamento di 500 fuochi e di 2500 abitanti circa, concordemente a quanto si ottiene disaggregando i dati fiscali dei registri angioini del 1277, e distinguendo fra insediamenti fuori e dentro le mura.I documenti dell'Archivio Storico del Comune (quel che resta di essi) consentono di ricostruire le vicende che hanno portato al lento svuotamento e, infine, all'abbandono del sito. Dalle prime richieste di trasferimento fuori le mura, accolte da Ferdinando il Cattolico a partire dal 1498, ai numerosi tentativi dei viceré di trattenere la popolazione, reiterati per tutto il sec. XVII e sempre falliti. Per le autorità regie I'esodo, inarrestabile, costituiva ormai il più grave pregiudizio per la gestione in sicurezza dell'imponente sistema difensivo della piazzaforte. La vicenda, come si sa, si è conclusa con I'abbandono del sito e culminò con un Evento tragicamente simbolico: una notte di marzo del 1778 un incendio, certamente doloso, sancì con la distruzione della sede municipale anche la fine fisica della città entro le mura. Altri contenuti importanti qualificano la Carta e la rendono particolarmente significativa per ogni indagine sulla struttura urbana. Il giudizio vale anche per uno studio complessivo delle fortificazioni che voglia affrontare allo stesso tempo il rapporto tra la tipologia delle difese e il sito. E’ come consultare un grande Atlante di situazioni che aspettano di essere esplorate per conoscere, abbandonando i luoghi comuni, i condizionamenti, le finalità generali e le ragioni contingenti accumulati nella storia edilizia e urbanistica della città presa nella sua intera estensione.

L'Impianto urbano

che l'impianto urbano è nel suo insieme sufficientemente integro da consentire la lettura delle principali fasi costruttive. Faccio due esempi pescati fuori dai confini dell'Acropoli, anche per non perdere di vista la interdipendenza tra città alta, collinare e bassa, poiché se trascurassimo questa fondamentale condizione non sapremmo spiegare quasi nulla della evoluzione delle singole parti e dell'insieme, e nemmeno le ragioni dell'abbandono della città alta. Il primo esempio: l’assenza del tracciato novecentesco di via Cumbo Borgia (alla cui costruzione si accompagnarono demolizioni e smembramenti) consente una buona lettura ricostruttiva dell’ impianto dei Casali, resi in forma non dissimile da quella originaria, secondo una tipologia che richiama quella di un fortificato insediamento di supporto alle attività portuali. Il secondo: l' assenza del tracciato novecentesco di via Impallomeni e degli edifici che vi si allineano, riporta alla sua naturale orografia I'intera collina di S. Rocco e restituisce alla sua originaria funzione di unico collegamento carraio tra mare e monte la "strada maestra" di S Francesco. Il ritrovamento di questi assetti, cancellati dalle urbanizzazioni del secolo scorso, ci consente di valutare meglio l 'effetto di chiusura che il muro di re Giacomo ha generato ai piedi del Borgo sul finire del XIII sec. Altri sbarramenti avevano preceduto e accompagnato l'intervento del sovrano aragonese dentro e ai margini della città murata, creando altre interruzioni e compartimentazioni dei tessuti residenziali. Il tema delle divisioni interne generate dalle servitù militari emerge come una costante nella storia degli insediamenti milazzesi di età medievale e moderna e fa sentire i suoi effetti fino alle soglie del XIX sec. Ma è anche vero che, sul tema, si sono registrati momenti di reazione decisa con scelte di segno opposto fatte dalla società civile. Il progetto di costruire la Nuova Cattedrale a ridosso della cinta cinquecentesca, superando abbondantemente con la sua mole il profilo degli spalti, rappresenta una presa di distanza clamorosa dalle prevaricazioni dei militari. Il Duomo che sopravanza lo sbarramento difensivo diventa anche simbolicamente il segno di una volontà di cucitura nella "città tripartita".Oggi si può postulare senza retorica (oppure con una misura giusta di retorica) il raggiungimento dello stesso obiettivo di ricucitura ideale e culturale tra città murata e città fuori le mura, finalizzando nella maniera più appropriata gli interventi di restauro e di recupero in corso nella cittadella. Svolgerò questo personale auspicio nella parte che segue.  Dalla movimentata e necessariamente sommaria rappresentazione dello stato di fatto, nella quale si è tentato di calare anche i segni della vitalità passata, cercherò di entrare nella seconda parte del titolo con qualche ottimistica suggestione più che con idee progettuali, che non mi competono, perché quel patrimonio di cultura, di storia e di natura oggi ancora dormiente, o in stato di sonnolenza, possa riprendere fiato e muscoli (almeno nelle intenzioni dello scrivente).

Quale il senso della seconda parte del titolo: "la città fortificata tra passato e futuro"?

Tornati sull'Acropoli proveremo ad osservare lo 'stato di fatto' non più con lo spirito con cui si compila un inventario di frammenti archeologici; i visitatori sono troppo spesso indotti a leggere i monumenti sulla Rocca, al di qua e al di là della Porta di S. Maria, come realtà disancorate dal loro originario contesto urbano e al di fuori di una anche minima cronologia complessiva: la Cinta Spagnola, il Bastione di S. Maria, il Duomo antico, il Convento delle Benedettine, la Porla Aragonese e via elencando fino al Castello, la cui instabile paternità viene suddivisa in parti uguali fra Arabi, Normanni, Svevi e Aragonesi, per non scontenta nessuno! Sottraendomi a questo rito propongo una ricognizione dei luoghi anteponendo una verità semplice per lo più taciuta:
quella parata di "antichità" (per qualcuno solo anticaglie) e di spazi vuoti era fino a qualche centinaio di anni addietro un complesso unitario di edifici e di spazi abitati da una comunità di cittadini vivi e indaffarati. Rompendo dunque con le modalità, della visita turistica, dirò di attraversare la Porta di S. Maria rimescolando realtà percepite, realtà immaginate, conoscenze storiche e suggestioni, alla ricerca delle perdute 'relazioni urbane'. Il grande spazio della città abbandonata apparirà allora come un teatro a cielo aperto, luogo delle associazioni mentali per eccellenza. Nell'impresa ci accompagnano, come accennavo, le informazioni della cartografia storica, segnatamente di quelle particolareggiate della 'Carta di Napoli', e la ricca variata raccolta di reperti ritrovati all'interno del perimetro murato, di varia natura e datazione, tutti riconducibili alle attività quotidiane di una comunità insediata in quel sito almeno dall'età greca, che da alcuni anni sono custoditi, ad opera della Società Milazzese di Storia Patria, nella sagrestia del Duomo Antico. Le carte disegnate del '500,del '600 e del '700, rappresentano I'area confinata entro le mura come spazio organizzato attraversato da strade, vicoli, piazze e incroci; i resti delle ceramiche ornamentali, le monete, il vasellame di cucina, le brocche, gli oggetti di devozione e di uso quotidiano, gli arnesi da lavoro e le pipe, riempiono quegli spazi di testimonianze di vita vissuta e di quotidiane abitudini. I reperti di più lontana datazione come le monete bizantine, i "follari" normanni, le ceramiche dipinte aragonesi, danno la prova tangibile della continuità della residenza nel sito.
Ogni edificio ritrova così la sua condizione cittadina. Ciascuna delle parti della città diventa elemento essenziale dello stesso luogo abitato; dello stesso sistema urbano, della stessa storia civile della Milazzo scomparsa, ogni edificio piccolo e grande, ogni opera di difesa, ogni dispositivo per incanalare e conservare l’acqua, ogni cisterna o fontana, diventerà così brano importante di una comune vicenda insediativa. Varcata la Porta di S. Maria possiamo già evocare gli apprestamenti difensivi costruiti dai milazzesi per fronteggiare I'assalto che gli Angioini di Napoli sferrarono in quel punto il 17 settembre del 1341,e non era la prima volta, con scale, congegni da tiro e catapulte, senza successo. Poco dopo, una biforcazione ci invita a scegliere:
si può salire al Castello percorrendo la "Via di Ponente"con un tragitto breve ma più faticoso, passando dietro la "tribona" di S. Maria e davanti al palazzetto dei D'Amico, oppure piegando sulla destra, accanto alla "Nuova" Cattedrale, per raggiungere la piazza di S. Nicolò chiusa tra il Duomo in bella vista e il palazzo della Città. “ Qui troviamo il centro religioso e amministrativo della Milazzo medievale e moderna. Gli scritti degli storici seicenteschi ci informano che intorno alla 'Platea Magna' si erano raccolte tre o quattro chiese, di rito greco e di rito latino, la sede del governo locale e gli uffici finanziari. La 'Strada di levante' corre parallelamente a due cinte sovrapposte, quella trecentesca (di fine duecento se di Giacomo) cui I'ingegnere Antonio Tomasello aveva addossato la nuova cortina con antiquate caditoie non del tutto convinto delle innovazioni cinquecentesche. Da qui la salita al Castello ci allontana dalla Porta delle Isole e dalla Chiesa dell'Annunziata, presso la quale i resti delle fortificazioni trecentesche tornano ad essere facilmente leggibili tra le aggiunte e le sovrapposizioni più tarde.
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