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Tratto da "la Voce di Milazzo"

La Battaglia di Milazzo

(Mary Cowden Clarke)* Sulla battaglia garibaldina di Milazzo del 20 Luglio 1860, Girolamo Fuduli ha scoperto una lirica della poetessa inglese Mary Cowden Clarke.

La pubblichiamo insieme a un breve commento.

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La Battaglia di Milazzo1

La Battaglia di Milazzo2

La Battaglia di Milazzo che non c'è stata

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Garibaldi a Milazzo

Il nostro bivacco notturno su quel terreno solitario, il castello in rovina sulla collina,
i nostri soldati sparsi qua e là,
l'aria estiva così calma, così immobile,
i fuochi dei bivacchi sprigionavano una luce irregolare -
ora ombre più oscure si levavano da una parte e dall'altra,
ora macchie di un rosso scialbo, ora vivide, -tutto tenuamente stava divenendo meno intenso là dove
il cielo lontano verso oriente cominciava ad impallidire e a screziarsi per l'imminente aurora,
quell'alba per ciascun uomo foriera della battaglia contro il servaggio che ne aveva tormentato
io spirito: la vedo adesso, -tutta quella scena impressionante, -
i miei compagni distesi
immersi in quel sonno sereno simile alla morte, -
(ahimè, ben presto potrebbero essere morti
davvero, pensai!) - la notte -, il mattino, -
l'alzarsi bruscamente con un profondo respiro, -
il raccogliere in fretta quelle armi da noi impugnate
altre volte per la sacra causa -
l'entusiasmo di soldati che si mettono in formazione,
senza pensarci un attimo e senza alcun indugio, -
per unirsi alla gloriosa impavida schiera
di colui che ci spronava a realizzare le nostre aspirazioni, la fiducia del nostro paese,
la totale libertà dalle opprimenti catene
che a lungo ci avevano tenuti nella polvere.
Lo trovammo, Garibaldi, lì
vigile e pronto alla battaglia;
la sua bocca rigida e immobile, composto il suo contegno;
tuttavia lo sguardo ardente e vivace
esprimeva un appassionato proposito, risoluto,
inestinguibile, come sin dall'inizio
era sempre stato: lì tra tutti noi incombeva, il suo sguardo desideroso
di agire; quieto tutto il resto,
e calmo e naturale; l'audace mano
sulla spada, l'altra sul fianco; il suo petto
non era più avvolto dal corsetto ma dalla fascia
che con non-curanza cingeva la rossa, celebre marziale camicia.
Mandò avanti il nostro piccolo battaglione
per favorire il passaggio
di un ponte ritenendo ciò assai importante:
con qualche successo e con qualche perdita,
affrontammo una batteria difesa
da alcuni Cacciatori napoletani:
da ciò, lo sapevamo bene, dipendeva
la grande, auspicabile gloria, -
la conquista del ponte. Un fragore
di armi da fuoco ora ci faceva indietreggiare
e ancora di più: gli spari fragorosi
del cannone, e l'azione fulminante
di baionette contrassegnavano il luogo:
lì stava ritto il nostro Generale, faccia al nemico,
impassibile in mezzo al grandinare di colpi,
come se fosse un condannato, o non
avesse percezione del grave rischio:
Alla vista di lui, così magnificamente coraggioso,
così sicuro, incurante del pericolo, i miei compagni esplosero in delirio
diffuso di "Viva Garibaldi!"
e "Viva l'Italia" squarciò il cielo:
io guidavo la carica mentre correvamo veloci in avanti:
non appena ci vide, levò in alto le braccia; e correndo verso di me
con forti pugni colpì
il mio petto, urlando chiaramente:
"Andate indietro, pazzi! Indietro! Desistete!
Qui sarete fatti a pezzi tutti"!
Ma niente avrebbe potuto spingermi indietro:
mi resi conto che guadagnare quella posizione era tutto;
una seconda corsa, un attacco, e una carica, davanti alla palla di cannone
distante non più di quaranta passi:
lanciai uno sguardo: ma in quattro o cinque mi erano accanto,
miei fedeli "valorosi", legati
da fratellanza nel pagare caro
un successo fortemente desiderato, finalmente ottenuto,:
la via era cosparsa di morenti, di morti;
alcuni colpiti a morte giacevano a terra
con larghe ferite da cui sgorgava copioso sangue;
altri con occhi fissi sbarrati e irrigiditi;
altri placidamente sorridenti come bambini;
altri ancora con un ultimo disperato bisbiglio,
con un'accorata preghiera, con un confuso addio.
Accanto a me tenevo il mio valoroso amico,
il coraggioso Lombardi, che si era scagliato
tra i primi; un crudele scoppio di moschetto aveva fatto saltare la sua mano destra:
ed io ero stato colpito al petto in modo così assordante, che pensai quasi
di dover morire: ma poi un segno che ero ancora vivo, prese rapidamente
forma di dolore, - un'altra palla
colpì perforando, la mia gamba, e mi fece
capire che ero ancora vivo: la mia caduta
vi fu ma su un terreno riparato: da qui rotolai
e strisciai per mettermi a riparo di una casa:
lì dietro l'angolo trovai un gruppo di compagni che si erano rifugiati in quei pressi,
con Garibaldi sano e salvo;
sebbene tutt'intorno a loro volassero ancora
proiettili con fischi forti e acuti.
Il coraggioso Migliavacca improvvisamente cadde,
un proiettile lo aveva colpito in testa;
il nostro concitato parlare era da poco cessato,
prima che lo scorgessimo senza vita, morto!
E mentre con pietoso e fremente sguardo
lo osservavamo, Cosenz subito dopo
ricevette un colpo che gli squarciò
la gola; ma lui con un sorriso indifferente esclama: "Non è niente, non è una ferita
importante". Sì, noi tutti
avevamo ragione di esultare e celebrare
una vittoria; poiché la fine di quel giorno
ci vide padroni del campo.
L'importante ponte era stato preso e oltrepassato,
la stessa Milazzo fu costretta ad arrendersi,
una conquista e certamente non la nostra ultima. 'Le vere parole di Garibaldi sono anche più severe e vigorose nel suo vernacolo: "Indietro canaglie che andate a farvi massacrare".
*Mary Cadwen Clarke curò insieme al marito Charles un'opera omnia su William Shakespeare.

Nel variegato panorama delle opere poetiche dedicate alla battaglia garibaldina di Milazzo del 20 Luglio 1860, al di là della letteratura così detta alta (quella di D'Annunzio o di Pascoli, tanto per intenderci), bisogna prendere atto che e 'è tutto un fiorire di componimenti per così dire "minori" : tanto per fare qualche citazione, il romanzo storico del milazzese Antonino Marulli, la poesia popolare di Mario La Fata e di Antonino Giunta, anche in vernacolo. Sono opere che si conoscono. è stata, invece, per me una grande sorpresa l'apprendere di una lirica composta nel 1860, pochi mesi dopo il sanguinoso scontro, da una poetessa inglese, Mary Cowden Clarke, che la pubblicò nella prestigiosa rivista "The Atheneum" di Londra il 22 Settembre 1860. C'è da chiedersi, anzitutto, come la scrittrice inglese, assai lontana dai fatti liricamente raccontati, abbia potuto ritrarre con così potente realismo una fase particolarmente drammatica della battaglia garibaldina di Milazzo, quella che si svolse in quella parte della città che una volta era denominata contrada ponte. A me è venuto da pensare che l'autrice, più che attingere al racconto dal vivo di un testimone diretto dello scontro, abbia tratto ispirazione da uno dei reportage giornalistici che in quei giorni fiorirono in buon numero e da Milazzo seppero raccontare con dovizia di particolari l'epico scontro a una opinione pubblica inglese ammiratrice di Garibaldi e assetata di novità. Non a caso la poetessa intesta il racconto a un combattente che non può che essere un garibaldino italiano: in prima persona egli parla di Garibaldi, inneggia all'Eroe e all'Italia, racconta dei morti e dei feriti lì presso il Ponte. è un racconto al quale la Mary Cowden Clarke imprime l'andamento di una cronaca in diretta, senza svolazzi retorici e con quella asciuttezza di toni, che nella seconda metà dell''800 caratterizzò la letteratura del realismo europeo. Se, all'inizio della lunga lirica, l'autrice sembra indulgere a una sorta di romanticismo nella descrizione del paesaggio corrusco dello scontro, con "il castello in rovina sulla collina" e il gioco delle ombre e delle luci sul far dell'alba, ben presto il discorso poetico si fa racconto minuto e preciso della battaglia, con i suoi morti e i suoi feriti, con Migliavacca e Cosenz e altre decine di garibaldini che giacciono presso il Ponte. Alla fine viene conquistato, ma a quale prezzo! Impassibile lo sguardo della poetessa registra uno scenario di morte.

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