BARTOLO CANNISTRA' -LUGLIO 2011 -MilazzoNostra
Quello che segue è un collage di frasi tratte da documenti e opere storiche di parte
borbonica dell'Ottocento e da libri e siti neoborbonici degli ultimi decenni Racconta
una battaglia che in realtà non c 'è mai stata, perché le forze in campo, lo svolgimento
e l'esito dello scontro, gli eventi successivi e il quadro politico generale furono
ben diversi da come vengono descritti. Cercare di ricostruire, con puntuale riferimento
ai documenti, come andarono effettivamente le cose è l'obiettivo di questo articolo
cfr prima La Battaglia che non c'è mai stata 1
Le celebrazioni del 150° dell'Unità d'Italia hanno prodotto un risveglio di interesse per le origini risorgimentali del nostro processo unitario e l'analisi dei suoi risultati, ma anche -per contrasto- una proliferazione di interventi critici, incrementando la pubblicazione o la nuova diffusione di libri' (in verità, talora pamphlets polemici, spesso senza note che rimandino a fonti e documenti controllabili, più che opere storiche frutto di nuove ricerche,) e la costruzione di siti web2 che -seppur con orientamenti e caratteristiche diversi- oltre ad esaltare l'orgoglio del Sud, quasi sempre rivendicano la monarchia borbonica, condannano la "colonizzazione piemontese", e si propongono come obiettivo la "demistificazione" del Risorgimento, la demolizione del "mito" dei suoi artefici, talora la delegittimazione dello stesso Stato unitario. I temi e i problemi che sono al centro di questo "revisioni- finora censurata e nascosta, 3 in realtà sono da più di un secolo ampiamente dibattuti dalla storiografia, e molte delle critiche rivolte oggi al processo unitario riprendono -consapevolmente o no- rilievi mossi fin dagli anni della sua conclusione da storici e politici soprattutto d'opposizione.
Finora, però, si era stati sempre attenti, da un lato, ad inserire questi rilievi nel contesto storico, dall'altro, a proiettarli in una prospettiva di soluzione, configurando il Risorgimento come un processo aperto, un'opera da completare. Negli ultimi decenni, invece, questa visione globale e prospettica ha subito duri colpi. Le insufficienze, gli errori, e anche storture -per usare un'espressione del Presidente della Repubblica- dell'unificazione, che furono oggetto in particolare del dibattito meridionalista, sono diventati, contestualmente alla crisi d'identità e di progettualità politica che attraversa il nostro Paese, all'emergere di incrinature territoriali e alla delusione storica per il fallimento delle politiche per il Mezzogiorno, motivi di pura recriminazione, fino a spingere taluni ad accarezzare antistoriche nostalgie per un passato dinastico vagheggiato come un paradiso perduto4, che qualcuno vorrebbe addirittura ripristinare.
In quest'opera di dissacrazione integrale del Risorgimento (perché di questo quasi sempre si tratta, e non di un riesame critico per mettere in rilievo le ombre accanto alle luci, come sarebbe assolutamente legittimo) acquistano particolare rilievo la contestazione del modo in cui è avvenuta l'unione del Sud col Nord e, soprattutto, la demolizione -con argomenti acri e spesso privi di qualunque supporto- del "mito di Garibaldi". Il protagonista del Risorgimento più popolare in Italia e più noto e amato in tutto il mondo viene da qualcuno addirittura dipinto come "un mercante di schiavi che diventa burattino dell'imperialismo massonico anglo-piemontese e criminale di guerra contro il popolo siciliano",5 un "mer-cenario senza scrupoli, un avventuriero lontano da ogni etica militare, un condottiero degno delle invasioni barbariche medievali"6, che o era "uno spietato conquistatore ai danni delle popolazioni meridionali" o "non sapeva nulla di quanto gli accadeva intorno", ed è quindi "condannabile anche se incapace di intendere e di volere" per "un comportamento che rasenterebbe una lucida follia".7
L'Impresa dei Mille viene presentata come "un'invasione piemontese" di cui si devono portare alla luce quelli che vengono definiti "i lati inconfessabili, i panni sporchi"8, perché non di un'epopea si è trattato ma di "una carnevalata", di una "grande recita"9: le vittorie dei volontari garibaldini, infatti, non sono state conquistate sui campi di battaglia, a prezzo di sangue, ma preparate dagli inglesi e dai massoni, realizzate con l'appoggio della mafia e comprate con l'oro che ha corrotto i comandanti e ministri borbonici. Conclusione obbligata (e citiamo quella più moderata, nella sostanza e nei toni): se "la corruttibilità di militari e funzionari borbonici, a 150 anni dagli eventi, appare come un fatto incontrovertibile e determinante per l'andamento degli episodi bellici", allora bisogna "ridimensionare l'entità delle vittorie sul campo ottenute da Garibaldi -almeno per quanto riguarda la campagna in Sicilia- e dare una più circoscritta rilevanza al mito che attorno al suo nome è stato, in buona parte artatamente, costruito". L'orizzonte tematico cittadino di questa rivista non con sente di esaminare tutto quello che è stato scritto sull'intera vicenda della Spedizione dei Mille, e induce a restringere il campo d'indagine ai soli eventi bellici del luglio 1860 culminati nella battaglia di Milazzo. Ma poiché è stata proprio questa la più importante -per tributo di sangue e decisive conseguenze militari e politiche- fra quelle combattute da Garibaldi nel Sud, crediamo sia di particolare interesse esaminare in che misura si riversino su di essa i giudizi negativi su Garibaldi. Infatti, questo restringimento di orizzonte consente di valutare meglio, nella concretezza del microcosmo di un solo luogo e di un solo momento di quella vicenda storica, la validità dei metodi di approccio e l'utilizzazione delle fonti da cui nascono certi giudizi. In altri termini, se è vero che dall'esame dei dettagli è possibile saggiare la validità dell'insieme, una ricerca limitata alle vicende di Milazzo può consentire di valutare quanto siano fondati, in generale, i giudizi espressi dal cosiddetto "revisionismo storico" sull'intera vicenda del 1860.
A proposito della giornata di Milazzo, Leonardo Sciascia,12 ha scritto che le descrizioni di essa lasciateci da Butta e da Bandi, messe a confronto, sembrano riferirsi a "due diverse battaglie". Eppure, sia il volontario garibaldino che il cappellano borbonico erano stati presenti sul campo per l'intera durata del combatti-mento, e scrivevano oltre vent'anni dopo l'evento, quando avrebbe dovuto essere più facile, sbiadite ormai le passioni del momento e attenuata la conseguente faziosità, proporsi una ricostruzione obiettiva dei fatti. Nota Sciascia: "Pier Giusto Jaeger13, nel suo libro su Francesco II di Borbone ha definito di ineguagliabile parzialità l'opera di Butta. Si può senz'altro consentire che è un libro di appassionata ed estrema parzialità, ma non ineguagliabile. Tanta letteratura garibaldina non è da meno, e I Mille di Giuseppe Bandi14 e I garibaldini di Alessandro Dumas15 lo eguagliano senza sforzo." Effettivamente, a partire dalla descrizione -più romanzesca e propagandistica che storica- di Dumas, il quale, pur scrivendo subito dopo l'evento, l'avvolge già in un'aura epica, molte ricostruzioni della battaglia di Milazzo risentono della parzialità del punto di osservazione e soprattutto delle passioni, -ammirazione, ostilità, risentimento- di chi scrive. Bisogna, quindi, compiere un'attenta analisi comparata delle fonti per potere fissare dei punti fermi e, partendo da essi, delineare una ricostruzione che superi le parzialità della visuale e le faziosità delle passioni politiche. Negli ultimi anni, poi, il proliferare di pubblicazioni e, soprattutto, di siti di ispirazione neoborbonica, caratterizzati da eccessi 'ci, ha prodotto certamente "narrazioni" diverse da quelle cui ci aveva abituato un secolo e mezzo di storiografia ufficiale (e, soprattutto, di pubblicistica popolareggiante, spesso fastidiosamente retorica o ingenuamente oleografica), ma non ha affatto contribuito all'auspicata nuova stagione di ricostruzioni più obiettive e interpretazioni critiche "demitizzate", per costruire una storia se non condivisa, almeno completa.
link correlati al tema:
La Battaglia di Milazzo -
Fine di un Regno
e nascita di una Nazione
Le idee politiche dei patrioti
milazzesi del Risorgimento
La battaglia di Milazzo:
la figura dell'eroe
Alessandro Pizzoli
La battaglia di Garibaldi
ed i Milazzesi
La battaglia di Milazzo:
Milazzo teatro di
scontri o i milazzesi a fianco
di Garibaldi?
La "novità" di queste "ricostruzioni storiche" in fondo consiste quasi sempre nel
fatto che si fondano su fonti diverse da quelle che erano state usate in modo prevalente
dalla storiografia "tradizionale" (accusata di aver celato o deformato la "storia
vera"). Questa è un'operazione assolutamente legittima, anzi doverosa, perché l'essenza
della ricerca storiografica sta proprio nello scoprire o recuperare altre fonti
rispetto a quelle fino al momento utilizzate e verificare se inficino la validità
del quadro consolidato della ricostruzione degli eventi e della definizione del
loro significato, e richiedano quindi una "riscrittura". Però tale operazione è
legittima solo se si è accertato l'attendibilità di queste fonti -prima non conosciute
o volutamente trascurate o non correttamente valutate- e si è dimostrato che esse
sono in grado di supportare le "nuove" interpretazioni, i nuovi giudizi di valore.
Nel caso di cui ci stiamo interessando, se esaminiamo le "nuove" ricostruzioni degli
eventi milazzesi del luglio 1860, contenute nei libri e nei siti web apparsi di
recente (parliamo sempre di libri e siti di ispirazione neoborbonica, o comunque
"revisionistica", insomma ostile al Risorgimento), scopriamo che quasi tutti gli
elementi su cui essi poggiano sono desunti da tre fonti: le relazioni del comandante
delle truppe borboniche che combatterono a Milazzo, col. Ferdinando Beneventano
del Bosco16, e gli scritti del cappellano militare di quelle truppe, padre Giuseppe
Butta17, e dello storico borbonico Giuseppe De Sivo8.
Viene così a configurarsi quello che si potrebbe definire un ribaltamento asimmetrico
delle fonti: ribaltamento perché, si utilizzano come fonti alternative quelle di
orientamento borbonico, che si asserisce essere state fino al momento "nascoste";
asimmetrico perché, mentre la storiografia "tradizionale" non ha ignorato del tutto
le fonti borboniche, questa nuova "storiografia alternativa" ripu-dia in modo pressoché
totale le fonti "italiane", utilizzando solo le "sue", in modo unilaterale. Vengono
presentati come accertati elementi tutt'altro che certi, o proposti come dati di
fatto oggettivi quelli che in realtà sono giudizi soggettivi. A ciò si aggiungono
forzature dei testi, bizzarri equivoci, vistosi errori, o addirittura dati di pura
invenzione. E tutto questo materiale rimbalza da un sito all'altro, quasi sempre,
senza alcuna citazione delle fonti che dovrebbero supportare ricostruzioni e giudizi.
Il risultato è che, frequentando i siti web, ma anche leggendo i testi cui attingono,
ci si trova davanti a descrizioni degli eventi bellici milazzesi che hanno scarsa
attinenza con la realtà. Insomma, ci si sente raccontare una battaglia che non c'è
mai stata.
Ci si potrebbe obiettare che bisogna interessarsi solo delle ricostruzioni compiute
da chi possiede la metodologia e la strumentazione proprie della storiografia, e
non perder tempo a inseguire le tante stranezze che circolano nel maremagnum del
web, ma, facendo così, si trascurerebbe il fatto che oggi è Internet la prima fonte
di informazione per i non specialisti, e soprattutto per i giovani, e che quindi
l'opinione comune su temi come questi si fonda su elementi desunti dal web e non
sulla lettura di veri testi storiografici. La conseguenza è che perfino su un autorevole
quotidiano nazionale19 può apparire un articolo ricco di "colore giornalistico"
ma carente di valore storico, che -come vedremo più avanti- mostra di fondare le
sue disinvolte descrizioni e affermazioni più su qualche sito poco credibile che
non su fonti valide o opere autenticamente storiche.
Il lavoro cui ci accingiamo è, dunque, quello di valutare l'attendibilità di quanto
gira sui siti web risalendo ai "testi borbonici" dell'800 -su cui si fondano, direttamente
o attraverso la mediazione delle pubblicazioni a stampa- ed esaminando la fondatezza
di quanto essi affermano.
Cominciamo dalla battaglia di Corriolo del 17 luglio,
preludio dell'altra battaglia -quella, decisiva, di Milazzo- che sarà combattuta
tre giorni dopo. Prima di riferire i giudizi espressi su di essa, diamo alcune informazioni
"oggettive" sul suo svolgimento. A Corriolo (o, per essere più precisi, fra Archi
e Olivarella) si svolgono due diversi combattimenti, uno la mattina e l'altro la
sera del 17, lungo la strada, allora provinciale, che porta a Messina da Barcellona
e Meri -dove ha il suo campo Medici-, e precisamente nella zona in cui si innestano
in essa le due vie per Milazzo, il cosiddetto "braccio" e la rotabile che parte
dal quadrivio di Olivarella. Il comandante borbonico, col. Ferdinando Beneventano
del Bosco è arrivato da due giorni a Milazzo con tre battaglioni di Cacciatori (fra
le truppe migliori dell'esercito borbonico), uno squadrone di cavalleria e una batteria
da campagna. L'obiettivo della sua azione del 17 luglio è di non farsi imbottigliare
dentro Milazzo e di allontanare da Archi i garibaldini per tenersi aperto il collegamento
con Messina, da cui possono arrivare i rinforzi. Il comandante garibaldino, gen.
Giacomo Medici, da Palermo è arrivato a Barcellona il 5 luglio, precedendo di cinque
giorni le sue truppe, costituite dai reggimenti Malenchini e Simonetta, cui si aggiungeranno
volontari dei paesi circostanti e di Messina: uomini entusiasti, ma contingenti
raccogliticci e poco organizzati, oltre che privi di cavalleria e artiglieria. Pone
il campo a Meri, località dalla quale può proteggere Barcellona e portare più da
vicino l'attacco a Milazzo, quando da Palermo gli saranno arrivati i rinforzi, e,
alla notizia dell'uscita della colonna borbonica da Messina, non sapendo che Bosco
ha l'ordine di limitarsi a "garantire la minacciata Piazza di Milazzo da un blocco,
assedio o colpo di mano" e di attendere "di essere attaccato" senza prendere l'iniziativa,20
e, temendo che abbia come obiettivo Barcellona, fa presidiare le alture del Mela
e si prepara a sostenere l'attacco. Ma Bosco, arrivato ad Archi, non prosegue per
Barcellona e piega verso Milazzo, per una strada - stretta, disagevole, ed estremamente
pericolosa-21 e si ritira dentro le mura della città, che trova deserta, abbandonata
da quasi tutti gli abitanti.22 Solo due giorni dopo, manda una colonna, formata
da quattro compagnie, una sezione di artiglieria e un plotone di cavalleria, al
comando del magg. Maringh, ad occupare Archi, che da qui avanza verso Olivarella,
scontrandosi con due compagnie di volontari garibaldini, in un combattimento furioso
e sanguinoso, con ripetuti capovolgimenti di fronte. Quindi Maringh rientra a Milazzo,
preceduto dal suono della banda militare e seguito dai garibaldini catturati durante
lo scontro.23 Vorrebbe presentarsi come vincitore, ma Bosco, accusandolo di viltà
per aver "lasciato la posizione", lo mette agli arresti 24 e ne chiede la sostituzione
al comandante della provincia di Messina, gen. Tommaso Clary. 25l pomeriggio dello
stesso 17 Bosco fa uscire da Milazzo una nuova, e più nutrita colonna (quattro compagnie,
mezza batteria di artiglieria e un plotone di cavalleria), stavolta al comando del
col. Marra, per rioccupare la posizione perché -dice- intende "distruggere le voci
che si spargevano, di essere stati battuti e respinti".26 La battaglia, con notevoli
perdite da entrambe le parti, si combatte fra Archi e Olivarella e, al termine di
essa, la colonna borbonica si attesta ad Archi, dove verso mezzanotte viene raggiunta
da nuove truppe -alcune compagnie, una sezione di artiglieria e un plotone di cavalleria-
comandate dallo stesso Bosco, che poi, prima dell'alba, abbandona il villaggio per
ritirarsi con tutto il contingente a Milazzo.
oppure cfr anche indice di Milazzo